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Franco Cardini
Noi e l'Islam - Non viviamo uno scontro fra civiltà ma una guerra per l'energia - In nome del dio petrolio
Quotidiano Nazionale - Lunedì 17 dicembre 2001 - Cultura e società

Il problema del mondo non è affatto modernizzare e occidentalizzare l'Islam. La sfida è obbligare l'Occidente e le multinazionali che ne gestiscono l'economia a fare un passo indietro sul sentiero dello sfruttamento e del profitto: a ridistribuire almeno in parte la ricchezza, a restituirla almeno in parte ai popoli che ne sono padroni...

Dico la verità: comincio ad essere stanco. Anzi, stufo. Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire: e ai sordi volontari è inutile parlare. Le polemiche sull'Islam e sul cosiddetto fondamentalismo, o "radicalismo islamico" - che, in quanto deriva ideologica della fede musulmana, sarebbe forse meglio definire "islamismo" - , si sono fatte parossistiche dopo l1 settembre. Ma non hanno fatto avanzare né migliorare in nulla le cognizioni comuni a proposito dell'Islam e del suo rapporto con il cosiddetto Occidente. Sono lì a dimostrarlo i due successivi contributi di Ernst Nolte e di Francis Fukuyama, usciti sul Quotidiano Nazionale di recente.

Fukuyama, il teorico della ridicola "fine della storia" di qualche anno fa, ha un unico, ma grande, pregio: quello di aver sempre denunziato la teoria del "conflitto di civiltà" di Sarnuel Huntington per quel ch'essa è: una colossale sciocchezza. Ma pretendere che "il motore essenziale della storia umana e dell'evoluzione del mondo" sia "la ricerca del progresso e della modernizzazione che s'incarna nella democrazia liberale e nell'economia di mercato" è un'affermazione intollerabilmente etnocentrica, degna del peggior neocolonialismo postdemocratico sostenuto dall'"impero invisibile" (ma non troppo ... delle multinazionali.

Ho molto rispetto per la dottrina, il coraggio e la lucidità di Ernst Nolte. Ma non ha senso affermare che "quella musulmana è una civiltà arretrata e ferma ai canoni dei nostro Medio Evo", come se la storia delle differenti civiltà dovesse per forza seguire un corso sempre deterministicamente obbligato, sul modello di quello seguito dall'Occidente. E poi, che cosa significa che l'Islam non abbia "conosciuto l'illuminismo"? Come se esso fosse solo il luogo delle virtù e delle libertà. Anche lo schiavismo, nella sua versione occidentale moderna, la tirannide giacobina e il colonialismo sono figli dell'illuminismo; anche il paradosso, la contraddizione e l'eterno conflitto interno di un Occidente lacerato tra i principi umanitari e la volontà di potenza lo sono.

Perfino il totalitarismo comunista e nazista lo sono: profondamente radicati in Rousseau e in Saint - Just. E che senso ha il gioco di bussolotti delle analogie tra Hitler e Saddain Hussein - La "nevrosi del potere" è tutt'altro che caratteristica esclusiva di quei due: vi sono stati e vi sono fior di politici liberaldemocratici che la condividono. Né si può paragonare l'antisemitismo hitleriano e l'antisionismo di Saddam, che hanno origini e significati del tutto diversi. Né è lecito infine tirar in ballo Saddam, laico ed ex alleato dell'Occidente finché ad esso ha fatto comodo, quando si parla del pericolo fondamentalista: del quale personaggi come Nasser, Gheddafi e Saddam sono sempre stati feroci avversari. Altrimenti si fa d'ogni erba un fascio e si rischia davvero di non capir più nulla.

Quando nel 410 il visigoto Alarico mise Roma a sacco, l'impero tremò: il caput mundi, ritenuto inviolabile, era stato violato. E un ingegno altissimo come Sant'Agostino si chiese, nel De civitate Dei, quali errori e quali peccati potevano aver condotto a tanto. Quando l'11 settembre del 2001 è stato violato il nuovo caput mundi, anch'esso ritenuto inviolabile, tutto l'Occidente ha reagito istericamente, negando qualunque addebito potesse essergli rivolto. Gli attentatori erano solo dei criminali, chi li sosteneva o simpatizzava per essi erano complici del crimine, gli Usa e la società della globalizzazione non potevano che rappresentare il Bene e il Giusto, la Libertà e il Benessere, contrapposti al livore, al fanatismo, alla barbarie.

Io credo che si debba smettere di raccontarci fiabe consolatorie di questo genere. Credo che ormai - a quasi due mesi dall'attacco statunitense all'Afganìstan e con tutto quel che ne è derivato (per quanto i mass media evitino accuratamente di parlarci delle sofferenze della popolazione civile, delle vittime dei bombardamenti, delle vendette tribali che non si è riusciti a evitare, dei profughi e delle loro sofferenze nell'ormai avanzato inverno afgano) - si debba smetterla di ciarlare di "guerre sante" di crociate e di jihad e si debba avere il coraggio di guardar dritta la realtà negli occhi.

Qui le guerre di religione e la "libertà infinita" non c'entrano nulla. Siamo dinanzi a una gigantesca ridefinizione degli alleati asiatici degli Stati Uniti e a un riassetto del mercato internazionale del petrolio. Siamo dinanzi all'avvio dell'emarginazione, in tale mercato, dell'Arabia Saudita e all'apertura di una nuova fase caratterizzata dalla collaborazione tra Stati Uniti e Russia, dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e metaniferi dell'Asia centrale fino ad oggi inaccessibili e a una ripresa dell'economia statunitense fondata sulla reintegrazione della produzione delle armi (ora che grazie ai bombardamenti afgani gli arsenali si sono svuotati) e alla trivellazione dell'Alaska. Bush e Bìn Laden sono due pedine di lusso d'una colossale guerra civile tra multinazionali per il controllo d'un settore fondamentale nell'economia mondiale.

Che cosa c'entra l'Islam con tutto questo - Quasi nulla. L'Islam è una religione in crisi non meno del cristianesimo. I falsi riciclatori di essa come ideologia della lotta all'Occidente sono dei cinici strateghi politici, che tentano di sfruttare la miseria e la frustrazione del mondo musulmano per crearsi una base di consenso di massa. Le stragi procurate da questa guerra faranno divenire tristi mestatori come Bin Laden altrettanti Robin Hood o Che Guevara: che è appunto quel che lo sceicco Osama voleva. E lasciamo perdere, per favore, gli orrori dei talebani: la signora Bush, che di recente li ha coraggiosamente denunziati, avrebbe dovuto pur sapere che essi infierivano in Afganistan dal 1995 proprio grazie all'appoggio statunitense, e che nel '97 una delegazione talebana fu accolta perfino al Dipartimento di Stato (si parlava, naturalmente, di petrolio).

Ma fra l'Occidente e l'Islam, si è detto, c'è lo scandalo dei diritti umani. Appunto. Quei diritti umani che gli occidentali hanno affermato e proclamato a parole (magari anche credendoci in buona fede), ma che nella pratica hanno sempre negato. Perché altrimenti nel mondo di oggi noialtri europei, statunitensi, canadesi e australiani (un miliardo di persone ìn tutto: un quinto della popolazione mondìale) potremmo gestire oltre l'80% delle ricchezze e delle risorse del mondo, mentre i restanti quattro quinti (4 miliardi) dovrebbero vedersi costretti ad accontentarsi di meno del 20%? Perché l'Occidente ha permesso in un decennio centinaia di migliaia di "morti bianche" (tra cui molti bambini) in seguito all'embargo all'Iraq? Perché in Africa si consente ancora che avvengano massacri tribali favoriti dalle multinazionali che se ne giovano per assicurarsi il monopolio nell'estrazione del "coltan", il metallo indispensabile per i microprocessori?

Tuttavia, i popoli musulmani non hanno conosciuto un corretto sviluppo - si è detto ? a causa del fallimento delle loro classi dirigenti. Già: solo che quelle classi dirigenti gliele abbiamo quasi sempre imposte noi. E' stata l'Inghilterra, nel 1918, a consegnar l'Arabia ai sauditi, musulmani rigoristi, sottraendola agli hashemiti ben più liberali e amici dell'Occidente (ma in grado di sviluppare una politica nazionale, che si voleva evitare perché avrebbe ostacolato le speculazioni sul petrolio). Furono gli Usa, nel '53, a impedire in Iran la rivoluzione liberale di Mossadeq, che aveva il torto però di voler nazionalizzare il petrolio: e fu questa scelta che pose le condizioni per la vittoria, 26 anni dopo, di Khomeini. Furono gli Stati Uniti, nel '95, a favorire i talebani in Afganistan.

Non è l'oscurantismo musulmano il colpevole, dell'attuale instabilità del mondo. Essa dipende solo dall'abissale sperequazione economica, dalla mancanza di libertà dal bisogno e dei livelli di vita al di sotto della dignità e della capacità di sopportazione dei quattro quinti del genere umano. I quali, adesso, ormai conoscono la verità su quest'ingiustizia, che la tv - con la vista dei paradisi occidentali dove si arciarricchisce e si straconsuma - pone ogni giorno dinanzi ai loro occhi.

E allora, il problema del mondo non è affatto modernizzare e occidentalizzare l'Islam. La sfida è obbligare l'Occidente e le multinazionali che ne gestiscono l'economia a fare un passo indietro sul sentiero dello sfruttamento e del profitto: a ridistribuire almeno in parte la ricchezza, a restituirla almeno in parte ai popoli che ne sono padroni. Oggi, dall'Asia profonda all'Africa centrale al Brasile, i popoli cominciano a rendersi sempre più conto che i loro piedi poggiano sui sottosuoli più ricchi del mondo e che quella ricchezza viene loro sistematicamente sottratta, drenata a favore di minoranze speculatrici che vivono altrove, lontano. 0 si rimedia almeno in parte agli esiti più scandalosi di tutto ciò, o non ci sarà mai pace; e morto un Bin Laden ne rinasceranno altri cento. Perché non c'è pace senza giustizia.




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