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editoriale di "Danas"
[Belgrado]
NATO illimitata, giustizia limitata
21 dicembre 2001

Il Tribunale europeo dichiara inammissibile le accuse contro i paesi NATO per il bombardamento della TV serba, ponendo così pesanti limiti alla giustizia e aprendo la via al principio della vendetta sul piano internazionale.

I CONFINI DEI DIRITTI UMANI

Il Tribunale europeo per i diritti umani ha dichiarato l'accusa mossa dalle famiglie dei lavoratori della RTS [televisione di stato serba - N.d.T.] morti nel corso del bombardamento dell'edificio di quest'ultima nella via Aberdarova nel 1999, come inammissibile, con la motivazione che i querelanti, nonché i loro famigliari rimasti vittime, non erano sotto la giurisdizione dei 17 stati membri della NATO oggetto dell'accusa. Il presidente della Corte suprema, Luzijus Vildhaber, si è preoccupato di mettere i puntini sulle i, comunicando per la prima volta nella storia del Tribunale una delibera chiara e univoca di inammissibilità dell'accusa. Il Tribunale ha inoltre deciso che "la Jugoslavia non rientra nello spazio giuridico" definito dai firmatari della Convenzione europea sui diritti umani e che pertanto non è stato violato l'"ordine giuridico" creato dalla Convenzione, né si crea un "vuoto passibile di querela" nella difesa dei diritti umani garantiti dalla Convenzione. Uno dei lavoratori sopravvissuti e cinque fammiglie dei dipendenti della RTS che sono morti il 23 aprile 1999 hanno sporto querela nell'ottobre del 1999 contro i 17 paesi europei membri della NATO per violazione del diritto alla vita, alla libertà di espressione e a ottenere un rimedio giuridico efficace, garantiti dalla delibera europea sui diritti umani. La Corte, tuttavia, secondo l'interpretazione dell'avvocato dei querelanti, Vojin Dimitrijevic, si è attenuta all'approccio standard nei confronti della competenza, secondo cui lo stato è competente solo per il proprio territorio e i propri cittadini. In qualità di sostenitore dell'accusa, Dimitrijevic ha anche preso atto del fallimento della speranza che "il Tribunale non fosse a tal punto convenzionale e che, sul modello di alcune precedenti sentenze, esaminasse anche questa situazione specifica, nella quale le persone si trovavano di fatto sotto il controllo dei membri della NATO". Le famiglie dei lavoratori della RTS uccisi sono stati deluse, nei fatti, anche dalla giustizia del loro paese: il procuratore della Repubblica ha deciso di incriminare l'allora direttore della RTS, Dragoljub Milanovic, per la creazione di pericolo pubblico poiché non aveva trasferito i dipendenti e le strutture tecniche nonostante un'apposita disposizione, ma non per l'uccisione di numerose persone. Il procedimento giuridico nel quale verrà confermata l'eventuale responsabilità di Milanovic e di alcuni altri alti dirigenti della RTS è stato contrassegnato da un vero e proprio scandalo quando il principale accusato è stato liberato di prigione letteralmente nel giorno stesso del secondo anniversario della strage. Analogamente alla giustizia serba, che con le indagini ormai pluriennali non è riuscita a rendere giustizia alle vittime e alle loro famiglie, la giustizia europea non ha accettato la tesi secondo cui la responsabilità dei governi accusati dovrebbe essere commisurata al controllo che essi detenevano sul territorio che veniva bombardato dalle loro forze comuni. Il Tribunale europeo, inoltre, non ha accettato nemmeno la valutazione secondo cui vi sarebbe stata una violazione del diritto alla vita delle vittime del bombardamento contro l'edificio della RTS. E' indubbio che le preoccupate controparti del regime di Slobodan Milosevic individueranno nella sentenza di Strasburgo un elemento di "giustizia universale", aggrappandosi al fatto notorio che la Serbia, essendo "l'ultimo macellaio dei Balcani", si è messa essa stessa non solo in un isolamento senza precedenti, ma si è anche esposta a un rischio mortale che è culminato con il bombardamento. Di conseguenza, tutti coloro che si trovavano sul territorio della Jugoslavia erano un obiettivo legittimo ed erano tutti, come si è espresso eufemisticamente Jamie Shea, un danno collaterale. Una tale giustizia in bianco e nero, tuttavia, ricorda più di ogni altra cosa l'antichissimo principio dell'occhio per occhio, dente per dente e rinuncia al di fuori di ogni dubbio a ogni principio di umanità e di equità al quale si richiama l'Europa contemporanea. Inoltre, questo precedente potrebbe essere il preludio a una nuova prassi (giuridica?) che si ridurrebbe, almeno sul piano internazionale, alla più volgare vendetta. Non nuoce certo ricordare anche che il mondo, sotto la guida degli USA e dell'UE, cerca di ottenere dalla Serbia del post-Milosevic la consegna di coloro che non si sono attenuti alla Convenzione di Ginevra sulle regole e le consuetudini di guerra e che, pure in presenza di tensioni di entità variabile, la Serbia lo ritiene un modo legittimo per tornare a fare parte della comunità internazionale. Da questo punto di vista, si impone la domanda del perché la Serbia (la Jugoslavia) venga accettata come un partecipante a pari diritto alla guerra solo quando sono in questione delle incriminazioni, mentre quando sono in gioco le sue vittime non vi sono "vuoti passibili di querela"?

[Lo stesso quotidiano "Danas" riferisce nel suo numero del 27 dicembre della testimonianza a porte chiuse resa da Mitar Djeric, ex direttore della difesa e della protezione della RTS, nell'ambito del procedimento giuridico contro Milanovic. Djeric avrebbe confermato che Milanovic avrebbe impedito il trasferimento del personale e delle strutture della RTS in vista dell'imminente bombardamento, del quale le autorità di Belgrado sarebbero state a conoscenza. Il ministero della difesa jugoslavo aveva messo a punto preventivamente un apposito piano vincolante, composto da circa 50 disposizioni studiate appositamente per una tale emergenza, piano che era stato controfirmato dallo stesso Milanovic. In particolare, la disposizione n. 37 (emessa dal ministero della difesa il 26 marzo 1999) prevedeva il trasferimento dei dipendenti e degli studi in due rifugi antiatomici. Secondo Djeric, Milanovic ha personalmente fermato le procedure conformi a tale disposizione e il ministero della difesa, competente anch'esso per la loro applicazione, si è astenuto dall'intervenire.

Sempre "Danas", nel numero del 29-30 dicembre, riferisce che a Berlino l'avvocato Ulrich Dost ha sporto querela contro lo stato tedesco per il bombardamento contro il ponte di Varvarin, sul fiume Morava, compiuto dalla NATO il 30 maggio 1999 e nel quale sono state uccise 10 persone, mentre 17 sono rimaste ferite. Secondo Dost, che rappresenta le famiglie delle vittime e si richiama, nelle sue argomentazioni, a un rapporto di Amnesty International, l'azione della NATO rappresenta un crimine di guerra, perché Varvarin era distante da qualsiasi eventuale obiettivo militare, mentre il ponte sulla Morava, a causa della sua scarsa portata, non poteva in alcun caso essere utilizzato a fini militari. Al momento del bombardamento, inoltre, sul ponte si trovavano solo civili. L'avvocato ha mosso querela contro lo stato tedesco, poiché automaticamente corresponsabile in quanto membro di un'organizzazione, la NATO, in cui le decisioni sugli obiettivi dei bombardamenti venivano prese all'unanimità. Secondo la valutazione dello stesso "Danas" è poco probabile che la querela venga accettata come ammissibile, dopo il precedente della sentenza del Tribunale europeo riguardo al caso della RTS - a.f.]

[Sulla questione dei procedimenti giuridici relativi al bombardamento della TV serba nel 1999 si veda "Notizie Est" #489 del 4 novembre 2001, su www.ecn.org/est/balcani/]




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