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Adolescenti pericolosi, come trattarli? Riflessioni sulla giustizia penale minorile
novembre 2001
 
 

- Aspetti criminologici della delinquenza minorile
- Funzione del diritto punitivo minorile
- Il principio fondamentale del diritto penale minorile
- I principali strumenti della giustizia penale minorile
- Riflessioni critiche sulla riforma del 1988
- Misure di prevenzione e misure di sicurezza
- La riforma del 1988 ha pressochè demolito il sistema delle misure preventive.

- Per saperne di più

Da qualche tempo, sull'onda dell' emozione per orrendi delitti commessi da minorenni o da maggiorenni incapaci di intendere e di volere, la stampa si è lanciata in una campagna di critiche generiche e assolutamente disinformate contro la legge e contro i magistrati che la applicano (o, secondo i gusti, la disapplicano).
Molti parlamentari hanno recepito il messaggio e hanno avanzato proposte (come quella di abbassare a dodici anni la soglia dell'imputabilità) senza conoscere i veri problemi della legislazione minorile. E senza rendersi conto che quei problemi sono dovuti a quella legislazione che il Parlamento approvò come illuminata e salvifica nel non lontano 1988. In questo modo, giornali e politici finiscono per gettar via, come si dice, insieme con l'acqua sporca anche il bambino.
Vi è il rischio di procedere come un pendolo (andamento tipico della legislazione italiana) ossia di passare da una legislazione dell'indulgenza per l'indulgenza a una legislazione, come quella di molti degli Stati uniti d'America, che manda alla sedia elettrica anche minorenni (all'epoca della commissione del reato).
Proponiamo ai frequentatori di questo Sito un piccolo saggio informativo, incompleto ma sufficiente per avere un'idea dei veri problemi della giustizia penale minorile.

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Aspetti criminologici della delinquenza minorile
La riflessione sul diritto penale minorile deve costantemente ispirarsi agli insegnamenti della criminologia, che "assume come oggetto di studio gli strumenti (culturali, sociali, giuridici, penali, medici ecc.) storicamente evolvibili e perfettibili, per contenere il fenomeno della criminalità. Essa ... ha natura deontologica, riguardando l'attività che una società organizzata deve svolgere ai fini del controllo della criminalità". ... La tendenza alla criminalità "aumenta attraverso l'età puberale fino a raggiungere il suo culmine fra i 20 e i 25 anni e in non pochi stati anche in età inferiore, restando pressochè costante all'incirca fino a agli anni 40, per poi declinare rapidamente fin verso i 60 e cessare pressochè completamente con la vecchiaia" (MANTOVANI) .
Il disadattamento giovanile, che è causa di molteplici forme di devianza e sovente prodromo di comportamenti criminali, trova le sue cause in fattori macrosociali, come mutamenti sociali, crisi di strutture e istituzioni tradizionalmente preposte alla socializzazione; in fattori microsociali, come l'inadeguatezza e la disgregazione della famiglia e lo sradicamento dal proprio gruppo sociale; in fattori individuali, di natura psicopatologica e ambientale, come difficoltà di socializzazione, difficoltà di rapporto con le figure di autorità, disadattamento scolastico, disadattamento lavorativo, fughe e vagabondaggi, associazione in bande giovanili, prostituzione, devianze sessuali (BANDINI, GATTI, PONTI).

Funzione del diritto punitivo minorile
Il fondamento della pena è notoriamente uno dei problemi maggiormente dibattuti, forse il più controverso, della dottrina del diritto penale. Tengono il campo principalmente la teoria della retribuzione quella della prevenzione e quella dell'emenda.
La Costituzione italiana non adotta alcuna delle teorie. Stabilisce tuttavia nell'art. 27 che "le pene (...) devono tendere alla rieducazione dei condannati". Questa norma ha suscitato non poche polemiche a causa dell'inaccettabilità, sul piano etico, di un trattamento rieducativo coatto, che vulnera la libertà morale della persona.
Eticamente il principio retributivo si pone su di un piano superiore, in quanto concepisce la pena come inflizione di una sofferenza a causa del male perpetrato, senza alcuna manomissione della libertà del condannato, cui non viene imposto alcun trattamento lesivo della sua libertà interiore (v. RONCO, ANTOLISEI, MAGGIORE e altri) .
La questione non riguarda il diritto penale minorile, nel quale l'emenda attraverso la rieducazione trova la sua realizzazione più compiuta. L'educazione dei minori è la funzione più elevata che l'ordinamento attribuisce alla famiglia, con la fondamentale statuizione che, "in caso di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti". In questo quadro la pena assume, per i minorenni, la funzione rieducativa propria dell'emenda (ANTOLISEI).

Il principio fondamentale del diritto penale minorile
Principio informatore del diritto penale minorile italiano è che l' ordinamento persegue sempre il recupero del minore, (v. CORTE COSTITUZIONALE) sia con gli strumenti che consentono di evitare l'applicazione di una sanzione, sia con lo strumento della sanzione. Questo principio risale alla prima formulazione del R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404, il quale introdusse per la prima volta nell'ordinamento il perdono giudiziale e ammise la liberazione condizionale del minorenne in qualunque momento dell'esecuzione e qualunque fosse la durata della pena, con disposizione evidentemente ispirata all'idea che, una volta ottenuta l'emenda, l'esecuzione della pena deve cessare (articoli 19 e 21).



I principali strumenti della giustizia penale minorile
Il diritto penale minorile conferisce al giudice numerosi strumenti di adeguamento della disciplina sanzionatoria alla personalità e alle esigenze dei minorenni.
Sono previsti strumenti giuridici volti a evitare la condanna o l'esecuzione della pena, strumenti per attenuare la pena da infliggere, strumenti per ridurre la durata della pena inflitta, strumenti per rendere meno afflittiva l'espiazione della pena, strumenti per rendere meno gravi le conseguenze della condanna.
Qui vengono ricordati i più importanti, quelli che qualificano il diritto penale per i minorenni.
Al fondamentale principio del diritto penale minorile per il quale l'ordinamento persegue sempre il recupero del minore, sia con l'applicazione della sanzione sia con la rinuncia ad essa, erano ispirati due strumenti tradizionali del diritto minorile italiano: il perdono giudiziale e la liberazione condizionale.
Il perdono giudiziale: il giudice (entro certi limiti: pena detentiva non superiore a due anni) lo concede quando ha la ragionevole certezza che il minore non commetterà in avvenire altri reati; il reato si estingue immediatamente.
La liberazione condizionale è la medesima causa di estinzione della pena prevista per i maggiorenni. La peculiarità di diritto minorile è che essa può essere concessa senza alcun limite di pena nè di espiazione ("in qualunque momento del'esecuzione e qualunque sia la durata della pena detentiva" - art. 21 Legge min.). Dunque, il minorenne, condannato per esempio a vent'anni di reclusione, può essere posto in liberazione condizionale anche dopo pochi anni o pochi mesi, se si è emendato.
Il DPR 22 settembre 1988 n.448 (Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), promulgato insieme con il codice di procedura penale del 1988, contiene altre norme di grande importanza.
Con l'articolo 27 del D.P.R. n. 448 è stata introdotta nell'ordinamento penale un'eccezione al principio di obbligatorietà dell'azione penale, consistente nella potestà del giudice di pronunciare sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto se risultano la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento e se l'ulteriore corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minore.
Con l'art. 28 è stata prevista la sospensione del processo con messa alla prova dell'imputato. E' un rimedio applicabile senza limiti di pena. Il giudice la dispone con ordinanza quando ritiene di dover valutare la personalità del minorenne. Secondo la gravità del reato, la sospensione può avere durata di tre anni o di un anno. Alla scadenza, il comportamento del minore -che viene affidato al servizio sociale perchè provveda all'osservazione, al trattamento e al sostegno- è valutato dal tribunale che, se ravvisa un'evoluzione della personalità dell'imputato, dichiara con sentenza l'estinzione del reato. Altrimenti provvede per la prosecuzione del processo.

Riflessioni critiche sulla riforma del 1988
Nella Relazione del Guardasigilli al testo definitivo delle Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni (D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448) emerge la preoccupazione del legislatore in ordine ai rischi e ai pregiudizi che possono derivare al minorenne dal contatto con l'apparato della giustizia. Il minorenne -in questa visione- non deve subire il processo come un incomprensibile rito. Si deve tener conto della sua fragilità caratteriale.
Il legislatore del 1988 ha tenuto conto, in talune scelte fondamentali, soltanto di un tipo criminologico di autore, quello occasionale, dominato da turbe adolescenziali, quello che davvero può ricevere un danno dall'impatto con il carcere. Non ha tenuto conto del delinquente perverso la cui libertà di movimento costituisce un pericolo costante per la collettività e particolarmente per le persone più esposte o più deboli. Il pensiero corre ai minorenni spacciatori di stupefacenti, agli autori di furti con strappo ai danni delle vecchiette; a quelli che non esitano a uccidere per rapina o per mercede. Le ragioni della difesa sociale non perdono validità per il solo fatto che l'aggressione sia portata da persona minorenne.
Il Consiglio superiore della magistratura, nel suo parere sul progetto di riforma, ha osservato che "bisogna attentamente considerare che l'eccessiva dilatazione degli spazi di sostanziale impunità concessi al delinquente minorenne rischia di tradursi in un incentivo alla malavita (e specialmente a quella organizzata, che già oggi se ne serve con sempre maggiore frequenza) ad utilizzare e sfruttare minorenni (che per essa rappresentano il più comodo, prezioso e sicuro strumento di azione) anche per fatti di estrema gravità".
La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto è il principale strumento creato dal legislatore per consentire l'uscita precoce del minorenne "dal circuito penale". Esso costituisce un' anomala attribuzione al giudice di stabilire discrezionalmente se il fatto abbia o non abbia rilievo penale, funzione che, nel nostro ordinamento, spetta al legislatore.
La richiesta di non luogo a procedere, costituisce, da parte del pubblico ministero, un atto di disposizione dell'azione penale. La sentenza del giudice ai sensi dell'art. 27 è un'autorizzazione a non procedere. Entrambi gli atti contrastano con l'art. 112 della Costituzione.
L'obbligatorietà dell'azione penale, che è strumentale al principio di legalità (art.25 cpv. Cost.) e al principio di uguaglianza (art.3 Cost.), non consente che il legislatore affidi al giudice la valutazione circa la rilevanza penale del fatto. La valutazione è già nella descrizione del del fatto nel codice penale.
L'assoluzione per irrilevanza del fatto ha finito per essere utilizzata dai tribunali per i minorenni ossia per sfoltire la grande massa delle notizie di reato in modo da poter procedere con minore affanno sui casi ritenuti maggiormanente degli di attenzione.
La sospensione con messa alla prova è uno strumento apprezzabile, che presenta tuttavia aspetti discutibili. Il giudice può disporla con ordinanza, anche contro l'avviso delle parti, alle quali è attribuito, come solo rimedio, il ricorso per cassazione (art. 28). Ciò comporta il troncamento dell'azione penale, in violazione dell'art. 112 cost. e una cospicua limitazione del diritto di difesa, in violazione dell'art. 24 cost.



Misure di prevenzione e misure di sicurezza
Il problema della criminalità minorile, come si presenta nel nostro tempo, non è nuovo e può essere affrontato con strumenti diversi. Si tratta di applicare una pena giusta ai minorenni capaci di intendere e di volere, e di difendere la società dal pericolo portato da quei minorenni che -per immaturità o per condizioni patologiche- non sono capaci di intendere e di volere, quindi debbono essere assolti, ma sono pericolosi. Questo è il punto, non l'abbassamento dell'età imputabile.
Cio pone la necessità di apprestare misure di prevenzione.

La riforma del 1988 ha pressochè demolito il sistema delle misure preventive.
Come strumenti di prevenzione della criminalità minorile la legislazione anteriore al DPR 22 luglio 1977 n. 616 (sul riassetto delle funzioni amministrative) e al DPR 22 settembre 1988 n. 448 (Disposizioni sul processo penale con imputati minorenni ) offriva le misure di rieducazione e le misure di sicurezza.
Le misure di rieducazione consistono in provvedimenti non penali. Con suoi decreti, il tribunale per i minorenni può disporre l'affidamento al servizio sociale oppure il collocamento in una casa di rieducazione o in un istituto medico-psico-pedagogico dei minorenni che diano manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere (come fughe da casa, frequentazione di ambienti criminogeni, prostituzione e simili).
La legge che le prevede è tuttora in vigore ma, dopo che il D.P.R. 22 luglio 1977 n. 616, ha attribuito ai Comuni la competenza in ordine alla predisposizione delle strutture necessarie, è divenuta pressochè inoperante. Gli enti locali non hanno predisposto le strutture necessarie perchè si nega che "i problemi del minore possano trovare risposte di qualche utilità mediante interventi attuati in una dimensione prevalentemente individuale. Secondo in teorici della riforma, ciò su cui si deve agire sono le condizioni della società, per rimuovere i fattori destinati a creare quegli stati di emarginazione sui quali si innestano i meccanismi di criminalizzazione; (...) le misure rieducative in quanto tali possono cessare di esistere. Gli interventi di aiuto in questo ambito trovano coerente collocazione nell'attività assistenziale degli enti locali. (...) Per la parte in cui risultano invece indispensabili interventi di controllo sociale 'rafforzato' è inevitabile il ricorso al sistema penale" (LA GRECA).
Insomma, lo Stato non interviene fino a che il minore non commette un reato e allora lo mette in carcere. Intanto, nell'attesa che "la società rimuova i fattori destinati a creare" le condizioni dei "meccanismi di criminalizzazione" vengono abbandonati a se stessi i minori dediti alla vita randagia, alla prostituzione, all'uso di stupefacenti, comportamenti che non costituiscono reato ma distruggono la personalità dei giovani e a volte la loro vita. Se non si vuole che i minori siano educati (o rieducati) dallo Stato, si deve accettare che vi provvedano la mafia e la camorra.
Il riformatorio giudiziario, (artt. 223-227 del codice penale) è una misura di risocializzazione applicabile dopo che sia stato commesso un delitto, sia ai minori -non imputabili (ossia incapaci di intendere e di volere) sia a quelli imputabili, quando sono socialmente pericolosi.
La nuova disciplina delle condizioni e delle modalità di applicazione della misura (contenuta negli artt. 36-40 del DPR. 448) l'ha privata del suo effetto deterrente e della sua efficacia di recupero.
Il riformatorio (come iustituto penitenziario) è stato sostituito con la comunità. Ciò produce un arretramento importante nella difesa sociale. In riformatorio finiscono omicidi, rapinatori e autori di altri gravissimi reati. Si è pensato di fronteggiare una elevatissima carica di pericolosità ospitando il soggetto in una comunità aperta, non custodita, dalla quale il pericolosissimo minorenne può allontanarsi a suo piacimento.
E si è improvvidamente stabilito -come prescrive la legge del 1988- che nella stessa comunità convivano un un rapinatore omicida con coetanei "non sottoposti a procedimento penale", ossia con adolescenti di buona indole e bisognosi solo di assistenza materiale.
E' urgente ripristinare il vecchio riformatorio. Se si vuole indulgere a una consolidata usanza del legislatore italiano, che ha paura di dare alle cose il loro vero nome, lo si può denominare "comunità chiusa" o "protetta", purchè sia ristabilito un sistema di rigorosa custodia per i minorenni pericolosi.
Di altri problemi specifici si può parlare in altra occasione.
In conclusione, il delinquente minorenne, nella prospettiva del legislatore del 1988, non dovrebbe essere quasi mai arrestato, dovrebbe essere ospitato in comunità ma non custodito, dovrebbe essere estromesso dal processo penale senza neppure un accenno di rimprovero morale. Del minorenne dovrebbero prendersi cura -in via quasi esclusiva- i servizi sociali.
In parole povere, al delitto commesso da un minorenne, dovrebbe corrispondere non più la sanzione penale o il ragionato perdono, ma un gesto assistenziale offerto a un soggetto che lo può rifiutare.




Per saperne di più
MANTOVANI, Il problema della criminalità, Cedam, Padova, 1984 -in particolare: 6 e 205).
BANDINI, GATTI, PONTI, in Mantovani, op. cit., 64 e ss.
Le tre funzioni non sono concettualmente incompatibili fra di loro. L'idea stessa della retribuzione richiama nella realtà concreta altre funzioni. A proposito dell'efficacia della pena si è osservato che "nel momento della comminazione e dell'esecuzione, sembra che soltanto la fondazione retributiva sia idonea a innestare un percorso emendativo e riabilitativo che, prendendo le mosse da soggetto che subisce la pena, rispetti integralmente le esigenze della sua libertà e responsabilità" (RONCO, Il problema della pena, Giappichelli, Torino, 1996, 159).
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1985, p.gen., 601 e ss., ravvisa nella pena così come è concepita nel nostro ordinamento, il carattere afflittivo del castigo e il carattere rieducativo dell'emenda. In definitiva, secondo l'illustre Autore, la pena, nel diritto attuale, "un mixtum compositum, ove con l'idea del castigo si cerca di "conciliare le varie e complesse esigenze della lotta contro il delitto, ispirandosi, più che a un particolare sistema filosofico o dottrinale, a motivi di necessità sociale e di opportunità politica" (603 e 604).
Si vedano in proposito MAGGIORE, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 1955, 675 e ss; MANTOVANI Diritto penale, Cedam, Padova, 1988, 713 e ss. Sulla funzione rieducativa attribuita alla pena dall'art. 27 Cost. si veda FIANDACA - MUSCO, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 1990, 399 e ss.
ANTOLISEI, Manuale. cit., 603. L'Autore sottolinea che, "per quanto concerne i delinquenti minorenni, è fuori dubbio che la finalità di emenda ha per il nostro legislatore un'importanza anche maggiore".
La Corte costituzionale ha più volte ribadito questo principio (già presente nell'ordinamento fina dall'entrata in vigore della Legge minorile del 1934). Ancora una volta, con la sentenza 22 aprile 1997 n. 109 si pone in rilievo che "la giurisprudenza di questa Corte ha più volte sottolineato 'il peculiare interesse-dovere dello Stato al recupero del minore', cui 'è addirittura subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva' (sentenza n. 49 del 1973) e il fatto che la funzione rieducativa della pena 'per i soggetti minori di età è da considerarsi se non esclusiva certamente preminente' (sentenza n. 168 del 1994); così che 'la giustizia minorile deve essere improntata all'essenziale finalità di recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale' (sentenza n. 125 del 1992 e ivi altri riferimenti). Tale finalità 'caratterizza tutti i momenti e le fasi attraverso le quali la giurisdizione penale si esplica nei confronti dei minori' e in particolare connota 'il trattamento del minore anche nella fase esecutiva', così che il ricorso all'istituzione carceraria deve essere considerato, per i minori, come ultima ratio (ancora sentenza n. 125 del 1992 nonchè sentenza n. 46 del 1978)".Cfr. anche Corte cost. 28 aprile 1994 n. 168 (dichiarazione dell'illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 del codice penale nella parte in cui non escludono l'applicazione della pena dell'ergastolo al minore imputabile).
Il pensiero dominante viene esposto da LA GRECA (voce "Rieducazione" Enc. dir., XL, 769 e 771). Lo stesso Autore (op.cit., 771) dà notizia come segue circa i sisteni di controllo della criminalità minorile vigenti negli altri Stati.
"Alcuni Paesi (il Belgio, alcuni degli Stati uniti d'America) tendono in linea di principio alla comleta sostituzione degli interventi penali con interventi rieducativi. In questi sistemi gli istituti, sebbene non penali, svolgono anche una funzione di detenzione (...) i minori che abbiano commesso gravi reati o abbiano reiterato le condotte delittuose vognono messi a disposizione della giustizia ordinaria, con la conseguenza che sono detenuti in istituti penitenziari ordinari e sono giudicati dalle corti per adulti. In altri Paesi (quale ad esempio la Francia) sono programmaticamente compresenti gli interventi amministrativi [cioè rieducativi] e gli interventi penali. In un gruppo più limitato di Paesi (Germania federale, Svizzera) gli interventi di controllo sociale vengono esplicati nell'ambito penale. Qui le misure sono fortemente differenziate e flessibili e sono previste forme di rinuncia alla sanzione e l'eventuale adozione di misure appartenenti al dominio assistenziale, eseguite da organi a ciò preposti". Per ulteriori annotazioni in merito alla prevenzione criminale minorile nel nostro ordinamento si vedano i paragrafi da 34 a 41 di questo volume.
Si vedano SACCHETTI, Il processo penale a carico di imputati minorenni (Lezione tenuta il 28 aprile 1989 nell'ambito del Seminario di studi sul nuovo processo penale promosso dall'Università di Bologna), in "Il procedimento penale minorile nel nuovo c.p.p." (Materiale di consultazione per il Quinto incontro di studi a cura del Consiglio superiore della Magistratura, Trevi, 2-4 giugno 1989) e RICCIOTTI, La giustizia penale minorile (Cedam, Padova, 2001).
A proposito della propensione verso la depenalizzazione e la decriminalizzazione sottolineata da Sacchetti, si sostiene (in uno studio, interessante nelle osservazioni quanto discutibile in alcune sue opzioni) che "se tra la seconda metà degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 è stato registrato un tendenziale aumento della criminalità minorile, non solo in Italia, è del tutto discutibile che una serie di pubbliche richieste di maggior severità verso i minori delinquenti siano oggi giustificabili da una effettiva recrudescenza del reato minorile" (BUCHARD, Le nuove tendenze del diritto penale minorile, in Minori Giustizia, Fasc. I, 1997, 114).
Questa negazione ignora che la criminalità minorile è in aumento soprattutto per gravità dei reati e crudeltà delle condotte. Negare queste cose e insistere per sostituire ulteriormente il trattamento penale con quello assistenziale produce preoccupazioni come quelle che percorrono gli Stati uniti d'America dove, come annota lo stesso Autore, vi è chi si chiede -di fronte all'omicidio di un bambino di cinque anni da parte di un undicenne- "se non è venuto il momento di mettere in gabbia i bambini cattivi". E produce eccessi inaccettabili come le condanne alla pena di morte inflitte a persone che erano minorenni nel momento della commissione del reato (Negli Stati uniti sono 63 i condannati a morte per delitti commessi nella minor età in attesa dell'esecuzione. Dal 1990 la condanna a morte è stata eseguita nei confronti di 6 persone minorenni al momento del fatto - Il corriere della sera, 3 febbraio 1998).




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