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Aspetti criminologici della delinquenza minorile
- Funzione del diritto punitivo minorile
- Il principio fondamentale del diritto penale minorile
- I principali strumenti della giustizia penale minorile
- Riflessioni critiche sulla riforma del 1988
- Misure di prevenzione e misure di sicurezza
- La riforma del 1988 ha pressochè demolito il
sistema delle misure preventive.
- Per saperne di più
Da qualche tempo, sull'onda dell' emozione per orrendi delitti commessi
da minorenni o da maggiorenni incapaci di intendere e di volere, la stampa
si è lanciata in una campagna di critiche generiche e assolutamente
disinformate contro la legge e contro i magistrati che la applicano (o,
secondo i gusti, la disapplicano).
Molti parlamentari hanno recepito il messaggio e hanno avanzato proposte
(come quella di abbassare a dodici anni la soglia dell'imputabilità)
senza conoscere i veri problemi della legislazione minorile. E senza rendersi
conto che quei problemi sono dovuti a quella legislazione che il Parlamento
approvò come illuminata e salvifica nel non lontano 1988. In questo
modo, giornali e politici finiscono per gettar via, come si dice, insieme
con l'acqua sporca anche il bambino.
Vi è il rischio di procedere come un pendolo (andamento tipico
della legislazione italiana) ossia di passare da una legislazione dell'indulgenza
per l'indulgenza a una legislazione, come quella di molti degli Stati
uniti d'America, che manda alla sedia elettrica anche minorenni (all'epoca
della commissione del reato).
Proponiamo ai frequentatori di questo Sito un piccolo saggio informativo,
incompleto ma sufficiente per avere un'idea dei veri problemi della giustizia
penale minorile.
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Aspetti criminologici della delinquenza minorile
La riflessione sul diritto penale minorile deve costantemente ispirarsi
agli insegnamenti della criminologia, che "assume come oggetto di
studio gli strumenti (culturali, sociali, giuridici, penali, medici ecc.)
storicamente evolvibili e perfettibili, per contenere il fenomeno della
criminalità. Essa ... ha natura deontologica, riguardando l'attività
che una società organizzata deve svolgere ai fini del controllo
della criminalità". ... La tendenza alla criminalità
"aumenta attraverso l'età puberale fino a raggiungere il suo
culmine fra i 20 e i 25 anni e in non pochi stati anche in età
inferiore, restando pressochè costante all'incirca fino a agli
anni 40, per poi declinare rapidamente fin verso i 60 e cessare pressochè
completamente con la vecchiaia" (MANTOVANI) .
Il disadattamento giovanile, che è causa di molteplici forme di
devianza e sovente prodromo di comportamenti criminali, trova le sue cause
in fattori macrosociali, come mutamenti sociali, crisi di strutture e
istituzioni tradizionalmente preposte alla socializzazione; in fattori
microsociali, come l'inadeguatezza e la disgregazione della famiglia e
lo sradicamento dal proprio gruppo sociale; in fattori individuali, di
natura psicopatologica e ambientale, come difficoltà di socializzazione,
difficoltà di rapporto con le figure di autorità, disadattamento
scolastico, disadattamento lavorativo, fughe e vagabondaggi, associazione
in bande giovanili, prostituzione, devianze sessuali (BANDINI, GATTI,
PONTI).
Funzione del diritto punitivo minorile
Il fondamento della pena è notoriamente uno dei problemi maggiormente
dibattuti, forse il più controverso, della dottrina del diritto
penale. Tengono il campo principalmente la teoria della retribuzione quella
della prevenzione e quella dell'emenda.
La Costituzione italiana non adotta alcuna delle teorie. Stabilisce tuttavia
nell'art. 27 che "le pene (...) devono tendere alla rieducazione
dei condannati". Questa norma ha suscitato non poche polemiche a
causa dell'inaccettabilità, sul piano etico, di un trattamento
rieducativo coatto, che vulnera la libertà morale della persona.
Eticamente il principio retributivo si pone su di un piano superiore,
in quanto concepisce la pena come inflizione di una sofferenza a causa
del male perpetrato, senza alcuna manomissione della libertà del
condannato, cui non viene imposto alcun trattamento lesivo della sua libertà
interiore (v. RONCO, ANTOLISEI, MAGGIORE e altri) .
La questione non riguarda il diritto penale minorile, nel quale l'emenda
attraverso la rieducazione trova la sua realizzazione più compiuta.
L'educazione dei minori è la funzione più elevata che l'ordinamento
attribuisce alla famiglia, con la fondamentale statuizione che, "in
caso di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano
assolti i loro compiti". In questo quadro la pena assume, per i minorenni,
la funzione rieducativa propria dell'emenda (ANTOLISEI).
Il principio fondamentale del diritto penale minorile
Principio informatore del diritto penale minorile italiano è che
l' ordinamento persegue sempre il recupero del minore, (v. CORTE COSTITUZIONALE)
sia con gli strumenti che consentono di evitare l'applicazione di una
sanzione, sia con lo strumento della sanzione. Questo principio risale
alla prima formulazione del R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404, il quale introdusse
per la prima volta nell'ordinamento il perdono giudiziale e ammise la
liberazione condizionale del minorenne in qualunque momento dell'esecuzione
e qualunque fosse la durata della pena, con disposizione evidentemente
ispirata all'idea che, una volta ottenuta l'emenda, l'esecuzione della
pena deve cessare (articoli 19 e 21).
I principali strumenti della giustizia penale minorile
Il diritto penale minorile conferisce al giudice numerosi strumenti di
adeguamento della disciplina sanzionatoria alla personalità e alle
esigenze dei minorenni.
Sono previsti strumenti giuridici volti a evitare la condanna o l'esecuzione
della pena, strumenti per attenuare la pena da infliggere, strumenti per
ridurre la durata della pena inflitta, strumenti per rendere meno afflittiva
l'espiazione della pena, strumenti per rendere meno gravi le conseguenze
della condanna.
Qui vengono ricordati i più importanti, quelli che qualificano
il diritto penale per i minorenni.
Al fondamentale principio del diritto penale minorile per il quale l'ordinamento
persegue sempre il recupero del minore, sia con l'applicazione della sanzione
sia con la rinuncia ad essa, erano ispirati due strumenti tradizionali
del diritto minorile italiano: il perdono giudiziale e la liberazione
condizionale.
Il perdono giudiziale: il giudice (entro certi limiti: pena detentiva
non superiore a due anni) lo concede quando ha la ragionevole certezza
che il minore non commetterà in avvenire altri reati; il reato
si estingue immediatamente.
La liberazione condizionale è la medesima causa di estinzione della
pena prevista per i maggiorenni. La peculiarità di diritto minorile
è che essa può essere concessa senza alcun limite di pena
nè di espiazione ("in qualunque momento del'esecuzione e qualunque
sia la durata della pena detentiva" - art. 21 Legge min.). Dunque,
il minorenne, condannato per esempio a vent'anni di reclusione, può
essere posto in liberazione condizionale anche dopo pochi anni o pochi
mesi, se si è emendato.
Il DPR 22 settembre 1988 n.448 (Disposizioni sul processo penale a carico
di imputati minorenni), promulgato insieme con il codice di procedura
penale del 1988, contiene altre norme di grande importanza.
Con l'articolo 27 del D.P.R. n. 448 è stata introdotta nell'ordinamento
penale un'eccezione al principio di obbligatorietà dell'azione
penale, consistente nella potestà del giudice di pronunciare sentenza
di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto se risultano la tenuità
del fatto e l'occasionalità del comportamento e se l'ulteriore
corso del procedimento pregiudica le esigenze educative del minore.
Con l'art. 28 è stata prevista la sospensione del processo con
messa alla prova dell'imputato. E' un rimedio applicabile senza limiti
di pena. Il giudice la dispone con ordinanza quando ritiene di dover valutare
la personalità del minorenne. Secondo la gravità del reato,
la sospensione può avere durata di tre anni o di un anno. Alla
scadenza, il comportamento del minore -che viene affidato al servizio
sociale perchè provveda all'osservazione, al trattamento e al sostegno-
è valutato dal tribunale che, se ravvisa un'evoluzione della personalità
dell'imputato, dichiara con sentenza l'estinzione del reato. Altrimenti
provvede per la prosecuzione del processo.
Riflessioni critiche sulla riforma del 1988
Nella Relazione del Guardasigilli al testo definitivo delle Disposizioni
sul processo penale a carico di imputati minorenni (D.P.R. 22 settembre
1988 n. 448) emerge la preoccupazione del legislatore in ordine ai rischi
e ai pregiudizi che possono derivare al minorenne dal contatto con l'apparato
della giustizia. Il minorenne -in questa visione- non deve subire il processo
come un incomprensibile rito. Si deve tener conto della sua fragilità
caratteriale.
Il legislatore del 1988 ha tenuto conto, in talune scelte fondamentali,
soltanto di un tipo criminologico di autore, quello occasionale, dominato
da turbe adolescenziali, quello che davvero può ricevere un danno
dall'impatto con il carcere. Non ha tenuto conto del delinquente perverso
la cui libertà di movimento costituisce un pericolo costante per
la collettività e particolarmente per le persone più esposte
o più deboli. Il pensiero corre ai minorenni spacciatori di stupefacenti,
agli autori di furti con strappo ai danni delle vecchiette; a quelli che
non esitano a uccidere per rapina o per mercede. Le ragioni della difesa
sociale non perdono validità per il solo fatto che l'aggressione
sia portata da persona minorenne.
Il Consiglio superiore della magistratura, nel suo parere sul progetto
di riforma, ha osservato che "bisogna attentamente considerare che
l'eccessiva dilatazione degli spazi di sostanziale impunità concessi
al delinquente minorenne rischia di tradursi in un incentivo alla malavita
(e specialmente a quella organizzata, che già oggi se ne serve
con sempre maggiore frequenza) ad utilizzare e sfruttare minorenni (che
per essa rappresentano il più comodo, prezioso e sicuro strumento
di azione) anche per fatti di estrema gravità".
La sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto è
il principale strumento creato dal legislatore per consentire l'uscita
precoce del minorenne "dal circuito penale". Esso costituisce
un' anomala attribuzione al giudice di stabilire discrezionalmente se
il fatto abbia o non abbia rilievo penale, funzione che, nel nostro ordinamento,
spetta al legislatore.
La richiesta di non luogo a procedere, costituisce, da parte del pubblico
ministero, un atto di disposizione dell'azione penale. La sentenza del
giudice ai sensi dell'art. 27 è un'autorizzazione a non procedere.
Entrambi gli atti contrastano con l'art. 112 della Costituzione.
L'obbligatorietà dell'azione penale, che è strumentale al
principio di legalità (art.25 cpv. Cost.) e al principio di uguaglianza
(art.3 Cost.), non consente che il legislatore affidi al giudice la valutazione
circa la rilevanza penale del fatto. La valutazione è già
nella descrizione del del fatto nel codice penale.
L'assoluzione per irrilevanza del fatto ha finito per essere utilizzata
dai tribunali per i minorenni ossia per sfoltire la grande massa delle
notizie di reato in modo da poter procedere con minore affanno sui casi
ritenuti maggiormanente degli di attenzione.
La sospensione con messa alla prova è uno strumento apprezzabile,
che presenta tuttavia aspetti discutibili. Il giudice può disporla
con ordinanza, anche contro l'avviso delle parti, alle quali è
attribuito, come solo rimedio, il ricorso per cassazione (art. 28). Ciò
comporta il troncamento dell'azione penale, in violazione dell'art. 112
cost. e una cospicua limitazione del diritto di difesa, in violazione
dell'art. 24 cost.
Misure di prevenzione e misure di sicurezza
Il problema della criminalità minorile, come si presenta nel nostro
tempo, non è nuovo e può essere affrontato con strumenti
diversi. Si tratta di applicare una pena giusta ai minorenni capaci di
intendere e di volere, e di difendere la società dal pericolo portato
da quei minorenni che -per immaturità o per condizioni patologiche-
non sono capaci di intendere e di volere, quindi debbono essere assolti,
ma sono pericolosi. Questo è il punto, non l'abbassamento dell'età
imputabile.
Cio pone la necessità di apprestare misure di prevenzione.
La riforma del 1988 ha pressochè demolito
il sistema delle misure preventive.
Come strumenti di prevenzione della criminalità minorile la
legislazione anteriore al DPR 22 luglio 1977 n. 616 (sul riassetto delle
funzioni amministrative) e al DPR 22 settembre 1988 n. 448 (Disposizioni
sul processo penale con imputati minorenni ) offriva le misure di rieducazione
e le misure di sicurezza.
Le misure di rieducazione consistono in provvedimenti non penali. Con
suoi decreti, il tribunale per i minorenni può disporre l'affidamento
al servizio sociale oppure il collocamento in una casa di rieducazione
o in un istituto medico-psico-pedagogico dei minorenni che diano manifeste
prove di irregolarità della condotta o del carattere (come fughe
da casa, frequentazione di ambienti criminogeni, prostituzione e simili).
La legge che le prevede è tuttora in vigore ma, dopo che il D.P.R.
22 luglio 1977 n. 616, ha attribuito ai Comuni la competenza in ordine
alla predisposizione delle strutture necessarie, è divenuta pressochè
inoperante. Gli enti locali non hanno predisposto le strutture necessarie
perchè si nega che "i problemi del minore possano trovare
risposte di qualche utilità mediante interventi attuati in una
dimensione prevalentemente individuale. Secondo in teorici della riforma,
ciò su cui si deve agire sono le condizioni della società,
per rimuovere i fattori destinati a creare quegli stati di emarginazione
sui quali si innestano i meccanismi di criminalizzazione; (...) le misure
rieducative in quanto tali possono cessare di esistere. Gli interventi
di aiuto in questo ambito trovano coerente collocazione nell'attività
assistenziale degli enti locali. (...) Per la parte in cui risultano invece
indispensabili interventi di controllo sociale 'rafforzato' è inevitabile
il ricorso al sistema penale" (LA GRECA).
Insomma, lo Stato non interviene fino a che il minore non commette un
reato e allora lo mette in carcere. Intanto, nell'attesa che "la
società rimuova i fattori destinati a creare" le condizioni
dei "meccanismi di criminalizzazione" vengono abbandonati a
se stessi i minori dediti alla vita randagia, alla prostituzione, all'uso
di stupefacenti, comportamenti che non costituiscono reato ma distruggono
la personalità dei giovani e a volte la loro vita. Se non si vuole
che i minori siano educati (o rieducati) dallo Stato, si deve accettare
che vi provvedano la mafia e la camorra.
Il riformatorio giudiziario, (artt. 223-227 del codice penale) è
una misura di risocializzazione applicabile dopo che sia stato commesso
un delitto, sia ai minori -non imputabili (ossia incapaci di intendere
e di volere) sia a quelli imputabili, quando sono socialmente pericolosi.
La nuova disciplina delle condizioni e delle modalità di applicazione
della misura (contenuta negli artt. 36-40 del DPR. 448) l'ha privata del
suo effetto deterrente e della sua efficacia di recupero.
Il riformatorio (come iustituto penitenziario) è stato sostituito
con la comunità. Ciò produce un arretramento importante
nella difesa sociale. In riformatorio finiscono omicidi, rapinatori e
autori di altri gravissimi reati. Si è pensato di fronteggiare
una elevatissima carica di pericolosità ospitando il soggetto in
una comunità aperta, non custodita, dalla quale il pericolosissimo
minorenne può allontanarsi a suo piacimento.
E si è improvvidamente stabilito -come prescrive la legge del 1988-
che nella stessa comunità convivano un un rapinatore omicida con
coetanei "non sottoposti a procedimento penale", ossia con adolescenti
di buona indole e bisognosi solo di assistenza materiale.
E' urgente ripristinare il vecchio riformatorio. Se si vuole indulgere
a una consolidata usanza del legislatore italiano, che ha paura di dare
alle cose il loro vero nome, lo si può denominare "comunità
chiusa" o "protetta", purchè sia ristabilito un
sistema di rigorosa custodia per i minorenni pericolosi.
Di altri problemi specifici si può parlare in altra occasione.
In conclusione, il delinquente minorenne, nella prospettiva del legislatore
del 1988, non dovrebbe essere quasi mai arrestato, dovrebbe essere ospitato
in comunità ma non custodito, dovrebbe essere estromesso dal processo
penale senza neppure un accenno di rimprovero morale. Del minorenne dovrebbero
prendersi cura -in via quasi esclusiva- i servizi sociali.
In parole povere, al delitto commesso da un minorenne, dovrebbe corrispondere
non più la sanzione penale o il ragionato perdono, ma un gesto
assistenziale offerto a un soggetto che lo può rifiutare.
Per saperne di più
MANTOVANI, Il problema della criminalità, Cedam, Padova, 1984
-in particolare: 6 e 205).
BANDINI, GATTI, PONTI, in Mantovani, op. cit., 64 e ss.
Le tre funzioni non sono concettualmente incompatibili fra di loro. L'idea
stessa della retribuzione richiama nella realtà concreta altre
funzioni. A proposito dell'efficacia della pena si è osservato
che "nel momento della comminazione e dell'esecuzione, sembra che
soltanto la fondazione retributiva sia idonea a innestare un percorso
emendativo e riabilitativo che, prendendo le mosse da soggetto che subisce
la pena, rispetti integralmente le esigenze della sua libertà e
responsabilità" (RONCO, Il problema della pena, Giappichelli,
Torino, 1996, 159).
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1985, p.gen.,
601 e ss., ravvisa nella pena così come è concepita nel
nostro ordinamento, il carattere afflittivo del castigo e il carattere
rieducativo dell'emenda. In definitiva, secondo l'illustre Autore, la
pena, nel diritto attuale, "un mixtum compositum, ove con l'idea
del castigo si cerca di "conciliare le varie e complesse esigenze
della lotta contro il delitto, ispirandosi, più che a un particolare
sistema filosofico o dottrinale, a motivi di necessità sociale
e di opportunità politica" (603 e 604).
Si vedano in proposito MAGGIORE, Diritto penale, Zanichelli, Bologna,
1955, 675 e ss; MANTOVANI Diritto penale, Cedam, Padova, 1988, 713 e ss.
Sulla funzione rieducativa attribuita alla pena dall'art. 27 Cost. si
veda FIANDACA - MUSCO, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 1990, 399
e ss.
ANTOLISEI, Manuale. cit., 603. L'Autore sottolinea che, "per quanto
concerne i delinquenti minorenni, è fuori dubbio che la finalità
di emenda ha per il nostro legislatore un'importanza anche maggiore".
La Corte costituzionale ha più volte ribadito questo principio
(già presente nell'ordinamento fina dall'entrata in vigore della
Legge minorile del 1934). Ancora una volta, con la sentenza 22 aprile
1997 n. 109 si pone in rilievo che "la giurisprudenza di questa Corte
ha più volte sottolineato 'il peculiare interesse-dovere dello
Stato al recupero del minore', cui 'è addirittura subordinata la
realizzazione o meno della pretesa punitiva' (sentenza n. 49 del 1973)
e il fatto che la funzione rieducativa della pena 'per i soggetti minori
di età è da considerarsi se non esclusiva certamente preminente'
(sentenza n. 168 del 1994); così che 'la giustizia minorile deve
essere improntata all'essenziale finalità di recupero del minore
deviante mediante la sua rieducazione e il suo reinserimento sociale'
(sentenza n. 125 del 1992 e ivi altri riferimenti). Tale finalità
'caratterizza tutti i momenti e le fasi attraverso le quali la giurisdizione
penale si esplica nei confronti dei minori' e in particolare connota 'il
trattamento del minore anche nella fase esecutiva', così che il
ricorso all'istituzione carceraria deve essere considerato, per i minori,
come ultima ratio (ancora sentenza n. 125 del 1992 nonchè sentenza
n. 46 del 1978)".Cfr. anche Corte cost. 28 aprile 1994 n. 168 (dichiarazione
dell'illegittimità costituzionale degli artt. 17 e 22 del codice
penale nella parte in cui non escludono l'applicazione della pena dell'ergastolo
al minore imputabile).
Il pensiero dominante viene esposto da LA GRECA (voce "Rieducazione"
Enc. dir., XL, 769 e 771). Lo stesso Autore (op.cit., 771) dà notizia
come segue circa i sisteni di controllo della criminalità minorile
vigenti negli altri Stati.
"Alcuni Paesi (il Belgio, alcuni degli Stati uniti d'America) tendono
in linea di principio alla comleta sostituzione degli interventi penali
con interventi rieducativi. In questi sistemi gli istituti, sebbene non
penali, svolgono anche una funzione di detenzione (...) i minori che abbiano
commesso gravi reati o abbiano reiterato le condotte delittuose vognono
messi a disposizione della giustizia ordinaria, con la conseguenza che
sono detenuti in istituti penitenziari ordinari e sono giudicati dalle
corti per adulti. In altri Paesi (quale ad esempio la Francia) sono programmaticamente
compresenti gli interventi amministrativi [cioè rieducativi] e
gli interventi penali. In un gruppo più limitato di Paesi (Germania
federale, Svizzera) gli interventi di controllo sociale vengono esplicati
nell'ambito penale. Qui le misure sono fortemente differenziate e flessibili
e sono previste forme di rinuncia alla sanzione e l'eventuale adozione
di misure appartenenti al dominio assistenziale, eseguite da organi a
ciò preposti". Per ulteriori annotazioni in merito alla prevenzione
criminale minorile nel nostro ordinamento si vedano i paragrafi da 34
a 41 di questo volume.
Si vedano SACCHETTI, Il processo penale a carico di imputati minorenni
(Lezione tenuta il 28 aprile 1989 nell'ambito del Seminario di studi sul
nuovo processo penale promosso dall'Università di Bologna), in
"Il procedimento penale minorile nel nuovo c.p.p." (Materiale
di consultazione per il Quinto incontro di studi a cura del Consiglio
superiore della Magistratura, Trevi, 2-4 giugno 1989) e RICCIOTTI, La
giustizia penale minorile (Cedam, Padova, 2001).
A proposito della propensione verso la depenalizzazione e la decriminalizzazione
sottolineata da Sacchetti, si sostiene (in uno studio, interessante nelle
osservazioni quanto discutibile in alcune sue opzioni) che "se tra
la seconda metà degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 è
stato registrato un tendenziale aumento della criminalità minorile,
non solo in Italia, è del tutto discutibile che una serie di pubbliche
richieste di maggior severità verso i minori delinquenti siano
oggi giustificabili da una effettiva recrudescenza del reato minorile"
(BUCHARD, Le nuove tendenze del diritto penale minorile, in Minori Giustizia,
Fasc. I, 1997, 114).
Questa negazione ignora che la criminalità minorile è in
aumento soprattutto per gravità dei reati e crudeltà delle
condotte. Negare queste cose e insistere per sostituire ulteriormente
il trattamento penale con quello assistenziale produce preoccupazioni
come quelle che percorrono gli Stati uniti d'America dove, come annota
lo stesso Autore, vi è chi si chiede -di fronte all'omicidio di
un bambino di cinque anni da parte di un undicenne- "se non è
venuto il momento di mettere in gabbia i bambini cattivi". E produce
eccessi inaccettabili come le condanne alla pena di morte inflitte a persone
che erano minorenni nel momento della commissione del reato (Negli Stati
uniti sono 63 i condannati a morte per delitti commessi nella minor età
in attesa dell'esecuzione. Dal 1990 la condanna a morte è stata
eseguita nei confronti di 6 persone minorenni al momento del fatto - Il
corriere della sera, 3 febbraio 1998).
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