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Samizdat di pensieri alternativi (numero 14) - Tre lettere giudiziarie -
(Rimini, 3 dicembre 2002)
 
 

"...Andreotti è lì, nel suo banco. Un capannello di senatori gli si stringe subito intorno, dopo le parole del presidente Pera. Senatori di tutti i partiti. Non sembra avere colori la solidarietà politica per la sua condanna. Non sembra avere confini" (Il Corriere della sera, 20 novembre 2002).
Chi sa se fra quei patres conscripti ce n'era qualcuno che, nella lontana seduta del 29 luglio 1993, diede voto favorevole quando il Senato della Repubblica concesse l'autorizzazione a procedere contro il senatore Andreotti per l'omicidio del giornalista Pecorelli.
In Senato, la coalizione fra Democrazia cristiana, Partito socialista italiano, Partito liberale italiano e Partito socialista democratico italiano aveva ancora una solida maggioranza (con la quale, il 2 giugno 1992, fu accordata la fiducia al governo Amato: 173 voti contro 140. Solo con lo scioglimento delle camere, avvenuto il 16 gennaio 1994 e con la vittoria elettorale della Casa delle libertà il 27 marzo 1994, il Parlamento muterà la sua composizione). Ma il 29 luglio 1993 l'autorizzazione a procedere fu concessa.
Nel coro delle deprecazioni nessuno ha ricordato che l'autorizzazione a procedere, all'epoca della concessione contro Andreotti, era disciplinata dalla formula originaria dell'articolo 68 della Costituzione.
L'articolo 68 disponeva: "...Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale; nè può essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale...".
La norma fu modificata pochi mesi dopo, con la legge costituzionale 29 ottobre 1993 n. 3.
La nuova formulazione ammette che, anche senza autorizzazione, il membro del Parlamento posssa essere sottoposto a procedimento penale. Ne vieta l'arresto o la privazione della libertà personale "salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna".

Prima della legge dell'ottobre 1993 il parlamentare inquisito non poteva essere processato e arrestato, neppure in esecuzione di una sentenza di condanna, se non dopo avere perduta, per mancata rielezione, la sua qualità di parlamentare.
Questo, ad Andreotti, non sarebbe potuto accadere, perchè egli è senatore a vita dall'1 giugno 1991 e non può perdere la sua immunità (tranne che, come è avvenuto, per atto dei suoi colleghi).
La nuova formulazione dell'articolo 68 consente la carcerazione del membro del parlamento in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna. Ma, contro Andreotti, la sentenza di condanna non sarebbe mai stata pronunciata perchè il processo contro di lui, senza autorizzazione, non sarebbe mai stato iniziato.

Monomanie. La mazzafionda

Una barzelletta un po' stupida, che non faceva ridere, circolava (tanti) anni fa nei Licei (grande scuola, con scolari non sempre all'altezza).
La storiella narrava di un giovanotto (liceale, appunto) che aveva la mania della mazzafionda (intesa come fionda elastica).
Se ti regalassero, gli veniva detto, una potente automobile, che cosa faresti?
Smonterei una ruota, toglierei la camera d'aria, la taglierei ad anelli e mi farei una mazzafionda.
E se ti regalassero un gommone veloce?
Lo taglierei a strisce e mi farei una mazzafionda.

E così via. Gli fecero allora la domanda dalla risposta obbligata (per un liceale).
Se la tua compagna di banco ti mostrasse una giarrettiera (il massimo della trasgressione, all'epoca), che cosa faresti?
Gliela toglierei delicatamente.
E poi?
La userei come una mazzafionda.
La storiella mi torna in mente a proposito della sentenza della Corte d'assise d'appello di Perugia che ha condannato Giulio Andreotti sfidando l'opinione unanime del popolo italiano.
Giornalisti e politici ne hanno dette di tutti i colori e non potevano mancare coloro i quali -a questo proposito, o meglio sproposito- hanno trovato modo di reclamare la separazione delle carriere dei magistrati.
Ad essi si è aggiunto il maggior politologo nazionale, professore
Angelo Panebianco, che ha riproposto (sul Corriere della Sera dell' 1 dicembre 2002) la separazione delle carriere dopo la sentenza di condanna di Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone per l'omicidio (colposo) di Marta Russo.
Sostiene Panebianco che le indagini furono "approssimative", i testimoni "cucinati", e fu arrestato un professore "colpevole solo di dirigere l'istituto universitario dove Scattone e Ferraro lavoravano".
Una Corte d'Assise e due Corti d'Assise d'Appello (con diciotto giudici popolari) sono state fuorviate dalla contiguità ordinamentale e psicologica con quei pessimi magistrati del Pubblico Ministero?
La mazzafionda.



Infine

Il vociare dei politici e degli opinionisti si è risolto in un universale bla bla bla.
Nessuno ha riflettuto sul significato, la portata e le conseguenze dell'autorizzazione a procedere che il Senato ha concesso contro Andreotti, quando ancora vigeva quell'articolo 68 della Costituzione alla stregua del quale, senza autorizzazione, contro di lui non si sarebbe neppure potuta iniziare l'azione penale.
L'autorizzazione a procedere, secondo prassi costante, viene concessa soltanto se la Camera di appartenenza esclude il c.d. fumus presecutionis, ossia non la prova, bensì il sempolice sospetto che l'iniziativa giudiziaria costituisca una persecuzione politica.
I senatori, a maggioranza, espressero una valutazione di non infondatezza dell'accusa. Fu il Senato a inviare ai magistrati delle Procure di Palermo e di Perugia il messaggio: andate avanti, noi non abbiamo obiezioni.
Le obiezioni sarebbero arrivate dopo, a condanna avvenuta. Si deve pensare che l'autorizzazione sia stata data con una strizzatina d'occhio: intendiamoci, noi autorizziamo, ma voi assolvete?
Non ha alcun rilievo che lo stesso Andreotti abbia sollecitato l'autorizzazione.
Questa cautela non è istituita a favore del senatore (o del deputato) interessato, ma a salvaguardia


dell'indipendenza del Parlamento e della sua funzionalità.
***
E donde nasce la certezza, che tutti manifestano, dell'innocenza dell'uomo? Da un pregiudizio ("Andreotti non è capace di concepire un omicidio") che si sovrappone al giudizio della Corte d'Assise d'Appello di Perugia, la quale, valutate le prove emerse, lo ha ritenuto colpevole.
Accade ad Andreotti il rovescio di quel che accadde ad Aristide, il Giusto. Racconta Cornelio Nepote (Vite degli uomini illustri) che egli fu condannato, "con il famoso ostracismo, a dieci anni di esilio". "Si dice che di uno che scriveva [sul coccio] che venisse bandito dalla patria (...) chiese il motivo della sua scelta o quale misfatto avesse mai compiuto (...) e quello gli rispose che lui non conosceva Aristide, ma non gli piaceva, perchè si era dato tanto da fare per ottenere a preferenza di ogni altro l'appellativo di Giusto".
Anch'io nutro il pregiudizio dell'innocenza del senatore, per via di quell'alibi psicologico che si fonda sulla fama (non sulla conoscenza, che non ho) della sua personalità. Ma se la sentenza diverrà definitiva dovrò piegarmi alla ferrea convenzione dell'autorità del giudicato.
E non avrò i rimorsi che dovrebbero avere, se ne fossero capaci, quei senatori che allora votarono per l'autorizzazione a procedere e oggi vituperano i giudici che hanno condannato il loro illustre collega.




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