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a cura di
Romano Ricciotti
Samizdat di pensieri alternativi - (numero 5) - Fini, Mussolini e le radici
Rimini, 28 gennaio 2002
 
 

La ritrattazione del giudizio sulla figura di Mussolini si inquadra nelle scelte politiche del capo di Alleanza nazionale, il cui obbiettivo è quello di omologarsi sempre più al partito egemone (Forza Italia), con la prospettiva di un futuro ingresso nel Partito popolare europeo e, chi sa? della successione al Cavaliere

Interpellato da un giornalista satirico della Rai, sedicente Iena, il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, Gianfranco Fini, ha dichiarato di aver mutato idea circa quanto disse alla "Stampa" nel 1994, e cioè che Mussolini era stato "il più grande statista del secolo" (dai quotidiani del 23 gennaio 2002).
Precisamente, Fini ha detto: "Oggi non ripeterei ciò che dissi allora", aggiungendo, a domanda della Iena, che i più grandi statisti del secolo, in Italia, sono stati "Einaudi e De Gasperi, visto quello che hanno fatto nel dopoguerra. Nel corso del secolo, il ruolo di Giolitti è stato molto importante...".
Quanto a Berlusconi: "Non facciamo paragoni impropri. Mussolini determinò un regime autoritario, Berlusconi ha vinto le elezioni".
Stampa e uomini politici si sono rumorosamente divisi fra favorevoli e contrari, trasformando la trovata della Iena in un caso politico nazionale.
La Repubblica in prima pagina, il 24 gennaio 2002 ha ironizzato: "contrordine camerati. In un giorno solo la maggioranza riscrive la storia. Berlusconi rivaluta Craxi, Fini svaluta Mussolini, non più fra 'i maggiori statisti del 900', Bossi riscopre la patria e il tricolore".
[L'ultimo accenno si riferisce all'invito, fatto da Bossi in un comizio, a pulirsi il ... con il tricolore. Per questo fu condannato da un tribunale per vilipendio alla bandiera (articolo 292 del codice penale). Successivamente la Camera dei deputati, con il voto favorevole di Alleanza Nazionale, ha deliberato che l'affermazione di Bossi rientra fra le opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni di parlamentare e pertanto non è punibile in virtù dell'art. 68 della Costituzione].

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La vicenda, apparentemente banale, merita invece qualche riflessione.
Il vicepresidente del Consiglio aveva detto, nell'aprile 1994, ad Alberto Statera che lo intervistava per La Stampa: "Mussolini è stato il più grande statista del secolo".
Le sue parole avevano fatto il giro del mondo, finendo sulle pagine dell' International Herald Tribune, del Times di Londra, del New York Times, del Jerusalem Post, di Der Spiegel e di altri importanti giornali (Locatelli e Martini, Duce addio, biografia di Gianfranco Fini, Longanesi, 1994, pag. 143).
Oggi Marcello Veneziani scrive (Il Giornale, 24 gennaio 2002) che Fini ha fatto bene a "rimangiarsi quella battuta (del 1994), facendo "una precisazione politicamente opportuna e storicamente infondata".
Lasciamo da parte il giudizio storico, rinviando all'opinione che ciascuno può farsi leggendo De Felice e altri autori seri.
Sotto il profilo strettamente politico si può consentire con Veneziani circa l'opportunità della palinodia.
Parigi val bene una messa? "Gianfranco Fini taglia un altro filo con il passato e si allontana da una tradizione inservibile per le ambizioni europee di An" (Folli, Corriere della Sera, 23 gennaio 2002, il quale si riferisce alla candidatura a rappresentante del governo italiano alla Convenzione europea per la redazione della costituzione).
Occorreva togliersi una catena del piede.
Ma tutto ciò che è politicamente opportuno è sempre deontologicamente corretto?
AncoraVeneziani annota che, in Italia ,
"condannare il proprio passato è quello che si chiede a tangentisti, estremisti, fascisti e comunisti, di svergognare il proprio passato. Chi è più ipocrita, chi lo chiede o chi lo fa? Non saprei, mi accontenterei di uno sconfortante pareggio".

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Si sa che l'uomo, Fini, è un freddo. In realtà egli non è mai stato fascista. Non lo fu per ragioni anagrafiche, ma non solo per questo.
Si iscrisse al MSI perchè gli estremisti di sinistra gli impedirono di andare a vedere il film Berretti Verdi, con John Wayne.
Non esitò a presentarsi al congresso del 1987 come fautore del "fascismo del 2000" (Tarchi, Dal MSI ad AN, Il Mulino, 1997, p. 105).
Non appena potè, liquidò, a Fiuggi, il Movimento sociale e ne conservò il simbolo nel logo di Alleanza Nazionale solo per sottrarlo alla concorrenza di Rauti.
Si dice ora che il congresso di Alleanza Nazionale, fissato per il mese di Aprile, deciderà "l'eliminazione del richiamo nel simbolo al vecchio Movimento sociale, la fiamma che arde sulla tomba del duce" (Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2002). Politique d'abord, pare amasse dire il vecchio Pietro Nenni. La politica innanzi tutto.

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La ritrattazione del giudizio sulla figura di Mussolini si inquadra nelle scelte politiche del capo di Alleanza nazionale, il cui obbiettivo è quello di omologarsi sempre più al partito egemone (Forza Italia), con la prospettiva di un futuro ingresso nel Partito popolare europeo e, chi sa? della successione al Cavaliere
Lo scopo viene perseguito scolorando progressivamente i tratti dell'identità di Alleanza Nazionale, già oggi pesantemente sbiaditi. La rimozione del peccato originale filomussoliniano va in questa direzione.
Vi è, nel partito, chi vuole dare "battaglia sui temi cari alla destra, legalità e ordine su tutti, 'perchè le polemiche sulla giustizia -sussurrò un esponente di An nei giorni dello scontro fra il premier e Borrelli- giovano a Berlusconi e mettono in crisi noi'. E poi c'è la questione della visibilità nell'esecutivo, dove il partito del vicepremier sa di non avere ministeri importanti, 'mentre tutti i dicasteri strategici sono in mano a Forza Italia" (Verderami, Il Corriere della Sera, 27 gennaio 2002"). Lo stesso giornalista osserva però che "un'offensiva contro Berlusconi non solo destabilizzerebbe il governo, ma potrebbe causare un crollo di consensi, come avvenne con l'Elefantino alle Europee".
Allora "bisogna saper dosare il documento congressuale", come disse Fini a Capena.

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Le rimostranze provenienti dall'interno di Alleanza Nazionale rappresentano un prezzo calcolato.
Una parte del partito, quella che conta (quasi tutti i "colonnelli") ha condiviso fervidamente la ritrattazione. Altri seguiranno (come l'Intendenza napoleonica). Restano quelli che fanno della coerenza e del culto delle radici un elemento costitutivo del loro onore politico. Quelli che restano fedeli al motto "Non restaurare, non rinnegare".
"Siamo in un partito e rispettiamo le scelte del presidente -spiega Ercole Pizzuti che guida il circolo di via della Palme a Centocelle- abbiamo condiviso Fiuggi e non siamo nostalgici, ma c'è un limite a tutto. Con tutto il rispetto per gli ex dc e gli ex socialisti di An,
nel nostro partito ci sono anche gli ex missini, che hanno diritto di essere rispettati" (Il Giornale, 24 gennaio 2002).
Costoro potrebbero anche perdersi per strada. Già alla vigilia delle elezioni uno scrittore molto popolare nell'ambiente della destra che legge, Gianfranco de Turris, si è sfogato (su Area, aprile 2001) stigmatizzando "i fatti clamorosi e grotteschi avvenuti nei sei mesi del governo Berlusconi nel 94, quando furono preferiti personaggi di sinistra o ambigui ad altri considerati 'troppo di destra' ", comportamenti che "non sono cessati ma al contrario si sono ripetuti nelle amministrazioni locali governate dal centrodestra". E concludeva chiedendo -a pochi giorni dalle elezioni del 13 maggio- che gli fossero date "alcune buone ragioni per votare la Casa delle libertà, per votare Alleanza nazionale".

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Ma pochi degli scontenti abbandoneranno il partito, perchè non hanno un luogo politico dove rifugiarsi. A meno che non intendano, come Alessandra Mussolini, chiedere asilo a Forza Italia. E andare proprio là dove li porta Fini.

 




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