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Romano
Ricciotti
Può sopravvivere una cultura di destra nell'era della destra al governo ?
 
 
 

In margine a un libro di Marcello Veneziani

  1. Destra e sinistra
  2. La Patria
  3. L'identità nazionale
  4. Lo Stato nazionale
  5. Il Risorgimento
  6. Gli stranieri
  7. L'immigrazione
  8. La globalizzazione
  9. L'Europa
  10. Patriottismo e religione
  11. Territori della destra
  12. Abitanti abusivi della nostra storia
  13. Lo Spirito Animale del Mercato
  14. Un progetto di educazione popolare
  15. Lo Stato sociale
  16. La terza via
  17. Eclissi dello Stato e crescita ipertrofica dello statalismo.
  18. La destra al potere
  19. La via del cesarismo Berlusconiano
  20. La via radical-pannelliana
  21. La via comunitaria
  22. La cultura della destra nell'era della destra al governo
  23. La due anime della destra

Destra e sinistra
E' ormai un tormentone. Si sostiene che Destra e Sinistra sono categorie obliterate dalla storia recente, strumenti non più utilizzabili sia nell'analisi dei fatti politici sia nella lotta politica. Però ognun finge di non saperlo e tutti continuano a esprimersi e a lottare in termini di destra e di sinistra.

Marcello Veneziani aveva già elaborato la sua proposta in Comunitari o liberal (Laterza 1999), laddove Comunitario è colui che "si considera figlio di un luogo, di una casa paterna, perchè è convinto che ogni io abbia una patria originaria". Il Liberal, invece si considera "figlio di un tempo, compatriota di un'epoca e una generazione, secolarizzato". "Il Comunitario si sente figlio di una patria, per il Liberal la propria patria è il tempo". Il Comunitario coltiva "l'idea di tradizione, segno di continuità e di trasmissione nel tempo di principi superiori al mutamento". Il Liberal nutre l'aspirazione al "cosmopolitismo, ovvero la convinzione che gli uomini non abbianno patria, anzi che la loro patria sia il mondo" (pagg.92 e 93, passim). Va da sè che, poste queste premesse, l'uomo di destra è comunitario e l'uomo di sinistra è liberal.

Veneziani completa oggi il suo pensiero con un saggio (La cultura della destra, Laterza, 2002) che, egli avverte, "poggia su un inganno: che abbiano ancora un senso la destra e la sinistra". E spiega saggiamente la pratica sopravvivenza dell'alternativa considerandola "una finzione utile per intendersi e per designare gli emisferi di cui ha bisogno la politica per esprimere la sua natura conflittuale". Comunque "destra e sinistra ... designano in modo impreciso due mentalità pre-politiche, che riguardano cioè orientamenti e sensibilità di tipo culturale, esistenziale e sociale" (pag. V). La questione è poi complicata dal fatto che"...le culture della destra tendono a rifiutare l'etichetta di destra, preferendo parlare di cultura senza targhe ideologiche" (112).

La Patria
Il primo tema sopra il quale la cultura di destra interroga se stessa è la Patria. La Patria è morta l'8 settembre del 1943, come per primo scrisse il non mai troppo compianto Salvatore Statta nel suo De Profundis ?
No. "...la patria abita in interiore homine: è nel linguaggio, è nel comune sentire di popolo che ha vissuto eventi, religioni e dominazioni, è nel temperamento, pur nelle sue varie sfumature; è nel paesaggio e nei centri storici, nei luoghi d'arte e di cultura, è nella memoria, nella moda, nella gastronomia e nel design. E' nella geografia, ovvero nella configurazione di una penisola circondata dal mare e dall'arco alpino. La patria italiana esiste; non è morta nel '43 e tantomeno è nata allora. ... Vero è che l'Italia è una Repubblica fondata sull'oblio del suo passato. Perché ai cattolici non stava bene il Risorgimento laico e anti?clericale, i laici non si riconoscevano nell'Italia cattolica dei secoli andati, gli anti?fascísti avversavano l'Italia nazional?fascista, ai comunisti non piaceva neanche l'Italia pre?fascista, borghese e liberale, agli anti?comunisti non andava bene la Resistenza egemonizzata dai comunisti, ai repubblicani dispiaceva l'Italia monarchica e sabauda. Così il risultato è stato il disarmo multilaterale della patria, la rimozione della storia. Ma questo non vuol dire che sia morta la patria: è morto il suo sentire politico e istituzionale. La patria è tornata ad essere un sentimento prepolitico; ma non ha cessato di esistere nella vita quotidiana, è stata un orizzonte naturale e culturale entro il quale sentirsi italiani" (p. 25).

L'identità nazionale
E' accaduto "che le culture della destra esprimessero insanabili fratture con l'identità nazionale, ora nel nome della religione negata (dal Risorgimento al 20 settembre), ora nel nome del fascismo tradito (dal 25 luglio in poi), ora nel nome della monarchia defraudata (dal referendum "truccato" del 2 giugno all'esilio prolungato), ora nel nome della patria locale soffocata (dallo Stato unitario e centralista). ...
Altrettanto polemico e parziale risultava il senso nazionale inteso dalle culture della sinistra che celebravano la patria nei punti di maggiore lacerazione nazionale (la guerra civile, la vittoria sulla monarchia), dimenticando altre ricorrenze nazionali (il 4 novembre, il 24 maggio, lo Statuto albertino, la proclamazione dell'Unità d'Italia, la fondazione di Roma). L'esito era paradossale per una Nazione grondante di storia, arte e tradizione, così presente e visibile nelle sue tracce sparse e nei suoi centri storici: la memoria comune veniva per così dire resettata, lacerata e ridotta in tranci a partire dal 1943. La storia d'Italia coincideva con la storia della Repubblica italiana nata dall'anti?fascismo. Il resto era solo nebulosa preistoria, genealogia naturale, ma non culturale" (27).
"Cosa resta oggi di quel senso della patria? Un'identítà nazionale malandata e vilipesa, di cui si prova vergogna; un'entità statale inefficiente e discreditata, che suscita istanze di smantellamento e campagne di destatalizzazione; un senso delle istituzioni tradizionalmente carente, ma ulteriormente deteriorato negli ultimi anni. Una lingua imbarbarita e impoverita. Una crescente disaffezione dei cittadini che si manifesta in un secessionismo ad uso individuale, familiare o tribale, prima che politico o territoriale. E' la cartella clinica del caso italiano, come ci viene descritta abitualmente. Tutto questo mentre incede il nuovo indiscutibile dogma occidentale: la globalizzazione, vista come un ineluttabile inceneritore degli assetti statali e nazionali" (28).
"Su queste basi è sorto un nuovo determinismo economico-tecnologico
che prende il posto del determinismo storico-ideologico degli anni passati. Ieri l'escatologia annunciava l'avvento del socialismo internazionale: oggi annuncia
l'avvento del mercato globale" (28).

Lo Stato nazionale
Un'identità nazionale fittizia condurrebbe "alla prescrizione di un'Italía da rimuovere perché l'identità nazionale sarebbe una palla al piede nell'epoca globale" . Di qui la fine dello Stato nazionale. Ma "la progressiva scomparsa dello Stato nazionale può essere al più una previsione di lungo periodo applicata impropriamente al nostro presente; attualmente è solo una congettura funzionale a interessi transnazionali e a volte transpoliticí di tipo oligarchico. O, peggio, è un'arma usata da Stati nazionali egemoni rispetto ad altri più deboli" (31). "...gli Stati nazionali hanno una duplice legittimazione: da un verso sono fondati su una Koinè nazionale tramandata e condivisa ... e dall'altro verso sono fondati sulla sovranità popolare", a differenza dalle "oligarchie transnazionali" (31)



Il Risorgimento
Alla criminalizzazione del Risorgimento ispirata a una certa vena di tradizionalismo clericale "...la cultura della destra dovrebbe invece opporre la lettura che Gioacchino Volpe contrappose a Croce: ovvero l'idea che il Risorgimento non segna la nascita della nazione italiana ma il nuovo sorgimento di un'identítà nazionale pre?esistente e pre?politica che vuol farsi anche identità politica, istituzionale e statuale. Perché l'identità italiana, spiegava Volpe, precede di secoli lo Stato unitario, affonda le radici nella romanità e nel medioevo, per poi assumere forma letteraria e unità linguistica a partire dai grandi poeti e scrittori in lingua italiana. Víttore Branca ricordava che noi italiani di fine millennio riusciamo a leggere senza difficoltà gli scrittori di sette secoli addietro nella medesima lingua in cui essi allora scrivevano; la stessa cosa non è consentita ai francesi e agli inglesi che pur vantano Stati unitari di più antica data. L'unità nazionale italiana è culturale, linguistica e spirituale, prima che militare, politica e istituzionale. Esiste una koínè nazionale, maturata nel crocevia del cat tolicesimo, dello spirito mediterraneo e della cultura rinascímentale, sulle solide basi della civiltà romana. Così come esiste una particolare configurazione geografica che lascia adito a pochi equivoci: una penisola separata da un arco alpino e proiettata nel bacino mediterraneo. L'Italia esiste nella storia ma anche nella geografia, oltre che nella mentalità e nel costume (compreso il malcostume). Non è artificio o convenzione perché combaciano cultura e natura" (30).

Gli stranieri
"L'amor patrio non è, come si dice, portatore di intolleranza e di aggressività verso l'altro, identificato nello straniero e oggi ancor più nell'immigrato. ... questo pregiudizio si fonda sull'identíficazione automatica tra amor patrio e nazionalismo, così come lo abbiamo conosciuto nel secolo scorso; ovvero una passione nazionale fondata sulla volontà di potenza e sull' esclusivismo. Ma non c'è nessuna ragione di credere che l'amor patrio debba necessariamente esprimersi in un primato aggressivo della propria nazione e in una negazione dell'altrui identità". "...il razzismo ha riguardato soprattutto le popolazioni del Nord Europa, anglosassoni, tedesche, in parte scandinave, russe e francesi, insomma le popolazioni 'bionde' ". Non "il nostro paese, mediterraneo, a prevalenza bruna, frutto di mescolanze razziali" (42).

L'immigrazione
La destra deve sostenere "l'accoglienza piena dell'immigrazione regolare, concordata, e il rigetto dell'immígrazione clandestina. Maggiori garanzie a chi entra regolarmente con un contratto di lavoro e maggiore resistenza a chi vorrebbe entrare e soggiornare senza visto e senza lavoro. ... Per la destra l'immigrazione non è un evento gioioso, una specie di "giochi senza frontiere" su cui edificare la società multirazziale e sconfinata, ma nasce da drammi e alimenta drammi, che possono essere superati e convertiti. ... Più che un'emancipazione, l'immigrazíone appare a una sensibilità di destra una mutilazione; più che una conquista una perdita. Per una cultura che assegna importanza alle radici e alla comunità, e che stabilisce un nesso non casuale ma significativo con il luogo d'origine, l'immigrazione resta pur sempre un fenomeno da arginare" (55).

La globalizzazione
"...per gli osservatori della destra antagonista la globalizzazione è la continuazione dell'internazionalismo con altri mezzi, ovvero è l'utopia cosmopolita che si realizza attraverso il primato dell'economia e della tecnica sulla comunità e sulla tradizione" (57).
"...vorrà pur dire qualcosa che le resistenze alla globalizzazione sorgano oggi nel nome della natura modificata, dell'ambiente degradato, dell'uomo mercificato e nel nome delle tradizioni religiose ... che la globalizzazione cresca in sintonia con il processo di scristianizzazione dell' Occidente, con la desertificazione dei valori religiosi e metaeconomici. Il mondo che si unifica oggi non è il mondo che accoglie il messaggio universale di Dio, ma è il mondo che cresce sulla morte di Dio..." (66).
"...male non è l'esistenza del mercato, ma la subordinazione dell'esistenza al mercato; male non è che siano riconosciuti i valori di mercato, male è che diventino i valori della società..." (68)
"L'avversario della nostra comunità non è la comunità dei vicini, ma chi nega significato alla comunità nel progetto di una società mondiale. Chi difende la sua comunità difende anche la mia..." (75).
"La globalizzazione esige risposte dalla politica, non consenso o conflitto a priori. ... La politica che non sa rispondere alla globalizzazione, limitandosi ad allinearvisi e ad assecondarla, è clinicamente morta" (77)

L'Europa
"L'Europa come gradino verso una società globale è progetto che attiene alle culture della sinistra, l'Europa come risposta alla società globale è progetto che sgorga dalle culture della destra" (74).

Patriottismo e religione
E' diffusa "...la convinzione che l'unico amor patrio ammissibile nel nostro tempo e compatibile con i valori umani sia separato da ogni legame di ordine religioso..." (35) Al contrario, "compito ulteriore di una cultura della destra è stabilire un ponte tra senso civico e senso religioso, all'insegna di reciproci riconoscimenti pur nell'autonomia delle sfere; ma non esiste un amor patrio a prescindere dal senso religioso che ha permeato e nutrito quella società" (37).
Abbiamo creato "da un verso ideologie politiche vissute come chiese e confessioni religiose vissute come poteri temporali" (37). "Non si tratta di abbracciare una scelta culturale di tipo neo-guelfo; anzi è preponderante nella cultura della destra una visione più ghibellina o dantesca, ovvero religiosa ma non clericale, cattolica ma non confessionale, ove permane la distinzione delle sfere temporale e spirituale" (87).
"...si può dire che la cultura della destra si pone come il tentativo realistico di annodare religione e cirttadinanza, al di fuori di ogni visione clericale o confessionale, ritenendo che ogni società, per vivere e restare coesa, abbia bisogno di riconoscersi in un comune universo di valori e di pratiche condivise attinto dalla tradizione civile e religiosa reinterpretata nel proprio tempo" (99)

Territori della destra
"Dove [la cultura della destra] può concretizzarsi e trasformarsi da mentalità culturale in esperienza reale?" Nei "territori della scuola e dell'educazione, dei beni artistici, culturali e storici, della comunicazione e dei suoi orientamenti pubblici" (102).
Il primato mondiale italiano sta "nei nostri centri storici e nelle nostre bellezze culturali e naturali e nella peculiarità della nostra tradizione civile e religiosa". Ma di ciò "non abbiamo una consapevolezza culturale e identitaria adeguata che consenta, tra l'altro, di trasformare un'eredità in una risorsa" (103).



Abitanti abusivi della nostra storia
Non essendo riuscita a elaborare "un modello di vita", "un'educazione adeguata allo sviluppo all'altezza delle sue eredità ... l'Italia sta vivendo ormai da anni una forma di barbarie benestante, di progresso ineducato, di ricchezza cafona, dove la crescita degli sportelli bancari o del numero dei cellulari non si accompagna a quello di lettori o di teatri ... siamo abitanti quasi abusivi della nostra storia e del nostro paesaggio" (103)
Il tratto specifico della destra di governo deve individuarsi "nella sua dichiarata sensibilità verso l'identità nazionale, nella sua preferenza per la comunità di provenienza e nella sua inclinazione più spiccata a rappresentare e incarnare la tradizione del suo paese e dunque la memoria storica, i beni culturali, il senso civico e religioso ereditato dall'esperienza e tramandato dalla storia" (104).

Lo Spirito Animale del Mercato
Non basta la legge, "a cominciare dalla legge della domanda e dell'offerta, per regolare e sviluppare una società" (106). "Il liberismo integrale, lo Spirito Animale del Mercato non è in grado di comprendere al suo interno e di rispondere compiutamente a queste esigenze, che trascendono la legge dello scambio anche quando vi transitano" Per questo "conviene ancora dar luogo a una scuola pubblica, che formi una coscienza pubblica, una cultura comune e un senso civico" e questa è la sola ragione "per cui può avere ancora un senso parlare di informazione pubblica ed esigere un canone per la fruizione dei programmi televisivi". (107).

Un progetto di educazione popolare
"La cultura della destra non deve temere di esprimere un grande progetto di educazione popolare, soprattutto attraverso la scuola e la comunicazione pubblica" (105). "...elaborare un progetto di cultura popolare significa ... passare dal populismo, istintivo e istantaneo, alla consapevolezza comunitaria" (111).

Lo Stato sociale
La questione sociale non è trattata nel saggio, che è tutto proteso verso una visione spirituale superiore, la sola capace, evidentemente, di donare all'Italia un primato comprendente anche il regime dell'economia e del lavoro. Per conoscere il pensiero di Veneziani su questo punto soccorre il già ricordato Comunitari o liberal, dal quale (pagg. 85-87) togliamo qualche passaggio.

La terza via
"Il Novecento -scrive Veneziani- si congeda con un'illusione ottica o forse un fuoco fatuo: l'invocazione della terza via. ... Si possono distinguere almeno tre filoni principali alla ricerca della terza via: ... il nazionalismo sociale, il cattolicesimo sociale e la socialdemocrazia (o laburismo). Il primo sorse sull'onda dei movimenti nazionalistici e populistici e si pose non a cavallo tra le due vie, ma in opposizione a entrambe, alla ricerca di un modello anti?individualista e e anti?collettivista, proteso verso un progetto di modernizzazíone comunitaria. Veniva salvaguardala proprietà privata ma assegnandole una funzione sociale; analogamente veniva riconosciuta L'iniziativa privata ma inserita nel contesto di un'economia organica, in parte dirigista, con una crescita dei ruolo e delle funzioni dello Stato. Il mercato non veniva privato della sua libertà di movimento ma all'interno della sfera economica; al di fuori di essa vigeva un primato del sociale (e dei nazionale) sull'economico e del politico (e dello statuale) sul sociale. Di quel progetto di terza via il fascismo fu l'espressione più radicale benché incompiuta. Ma si trattò di una terza via sotto chiave, cioè custodita all'interno di un sistema ideologicamente totalitario, sostanzialmente autoritario, politicamente subalterno al partito unico e socialmente chiuso in una ringhiera militare e statuale. Ciò non impedisce di valutare i suoi effetti riformatori e la sua efficacia sul piano della modernizzazione, dello sviluppo, dell'integrazione nazionale e della giustizia sociale. ...
... Il secondo tentativo di una terza via risale alla dottrina sociale della Chiesa, antecedente ai nazionalismi anche se storicamente ha dato i suoi frutti successivamente alle rivoluzioni nazionali. Anche in questo caso, l'origine era nel parallelo rifiuto delle due filosofie immanentistiche e strumentalistiche, il líberalismo e il socialismo, come fu già ribadito nella Rerum novarum di Leone XIII. Ma col passare degli anni e degli eventi, la terza via cattolica apparve piuttosto come il tentativo di salvare il libero mercato da un verso e la giustizia sociale dall'altro, separandoli dai loro peccati originali: la visione contrattualistica e individualistica nel primo caso e la visione conflittuale e classista nel secondo.

Eclissi dello Stato e crescita ipertrofica dello statalismo.
Da queste ragioni trassero spunto ì regimi democratico?cristiani europei che promossero modelli di economia mista, con un mercato corretto e integrato dalla presenza di un forte statalismo, un vasto sistema di mediazioni (banche, partiti, cooperative) e di grandi ammortizzatori sociali e solidaristici. Il modello di sviluppo dell'Itaha democristiana (e poi anche laico?socialista) riprendeva l'economia mista prefigurata dalla terza via fascista, senza l'egida autoritaria a anche con minore efficacia pubblica. L'eclissi dello Stato coincise con la crescita ipertrofica dello statalismo. ... Infine, l'ultimo tentativo di una terza via risale ai modelli laburisti e socialdemocratici del Nord Europa (e del Nord America), ... L'esperienza socialdemocratica era un tentativo di correzione riformista e occidentale del socialismo. Statalismo materno che ridistribuisce e ammortizza le differenze".

Per l'avvenire, Veneziani scorge la soluzione della questione sociale in "una serie di opposizioni rilevate nella realtà" (che l'Autore enumera), le quali si risolvono nell'alternativa liberal o comunitari (ossia valori organicistici contro valori individualistici -approssimazione del recensore). E l'adesione dell'Autore è ovviamente all'opzione comunitaria.

La destra al potere
A proposito della destra che è pervenuta al potere, "resta irrisolta una considerazione che merita una spiegazione: la destra larga e profonda che abita l'Italia interiore ha preferito Berlusconi" (116).
Con il governo Berlusconi "per la prima volta nella Repubblica italiana si è creata una saldatura tra destra economica e destra politica, tra destra morale e destra umorale (e pragmatica). ... che passa per così dire da Agnelli alla Confindustria, da Fini a La Malfa e De Michelis, dalla destra sociale e nazionale alla destra liberista e globalista" (116).
Queste destre, così lontane fra di loro nel pensiero, possono convivere "solo accantonando le loro opzioni di fondo, concentrandosi sulla gestione di governo, rafforzando i motivi comuni e le comuni avversioni" (119).
Ma sembra che la saldatura sia avvenuta fra la destra economica e quella liberista e globalista. E' opinione diffusa che la destra nazionale e sociale sia in posizione subalterna e ininfluente, alla stregua di un consigliere del principe [nota del recensore].



La via del cesarismo Berlusconiano
Le vie di sviluppo del berlusconismo possono essere tre: "...una scelta a basso tasso ideologico" capace di "attenuare le asprezze del liberismo e quelle del populismo ... dando luogo a una specie di monarchia consociativa" (con monarca elettivo Berlusconi), "somigliante alla plutocrazia liberale dello Scià di Persia" (127).

La via radical-pannelliana
La seconda via è quella auspicata dalla componente radicale ultra-americana e libertaria del centro-destra" cui possono seguire "altre forme libertarie e perfino libertine e permissive ... che riguardano il sesso, la famiglia, la bioetica, il costume e così via ... un'ala elettoralmente poco cospicua ma culturalmente molto influente perchè dispone di grandi mezzi di comunicazione, proveniente dal Sessantotto, dal craxismo, dal pannellismo, se non dal comunismo, che spinge in questa direzione di portare a compimento la modernizzazione del paese attraverso la rivoluzione liberale, liberista e libertaria" (127).
Ci si domanda tuttavia come possa, questa linea di pensiero, essere considerata una componente della destra. In parole povere non appare possibile collocare a destra un movimento che è libertino in campo etico, cosmopolita e globalista in campo internazionale, classista in campo sociale, iperindividualista in campo filosofico-politico [n.d.r].

La via comunitaria
La terza via consiste nel "portare a rigore il populismo ...per maturarlo nel comunitarismo. ...Su questa linea dovrebbe trovarsi l'unico partito che si definisce di destra, vale a dire Alleanza Nazionale ... ma, come la precedente ha scarse possibilità di prevalere" (128).

La cultura della destra nell'era della destra al governo
"...la prima e soprattutto la seconda ipotesi prefigurano scenari difficili per la cultura della destra ... Da qui il dubbio che possa essere difficile esprimere una cultura di destra nell'era della destra al governo" (129).

La due anime della destra
"La destra di oggi, piaccia o no, è frutto di questo paretiano "istinto delle combinazíoni" tra le due anime, libertaria e comunitaria. ... nell'area del centro?destra c'è una componente cattolico?familiare, una nazional?tradízionale e una liberale, laica e modernizzatrice. Nel nome del realismo, della libertà e dell'opportunità non ha senso la pretesa di sopprimere, lasciar estinguere o ignorare le altre destre nel nome della propria. ... il problema più urgente non è di negare l'esistenza di una destra profonda ma di portarla a rigore, darle compostezza civile e culturale, capacità di coabitare con le differenze e di immettersi nel nostro tempo. ...
Accanto alle capacità manageriali e alle aperture liberali servirà questa sensibilità per governare l'Italia, per intercettare il sentire comune, per rispettare i centri storici, i beni artistici e naturalí, la tradizione civile e religiosa del paese, servirà per dare un compito e un'identità alla scuola, per avviare una politica per la famiglia e per la sicurezza dei cittadini, per l'ordine, e per far rinascere un sobrio amor patrio di cui ogni paese ha bisogno. Non dimentichiamolo: su quel patrimonio campa la destra, senza quel patrimonio si può fare a meno della destra, basta un efficiente governo tecnocratico, tendenzialmente centrista, a bassa tensione ideale e culturale. Senza quel patrimonio culturale il berlusconísmo rischia di ridursi a una miscela rampante di nichilismo e affarismo, pur temperati da guizzi di efficacia e sprazzi di buoni sentimenti".
I superstiti uomini di destra augurano sinceramenre a Marcello Veneziani che la "componente cattolico?familiare" e quella "nazional?tradízionale" (aggiungerei: e sociale) non siano sopraffatte dal pensiero unico di ispirazione "liberale, laica e modernizzatrice" e dalla "miscela rampante di nichilismo e di affarismo".
Ma non ci credono. Non resta che lavorare per la formazione di un sodalizio culturale (senza compromissioni partitiche) capace di esprimere le valutazioni critiche provenienti dall' arcipelago della destra.




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