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Il viaggio di un uomo libero - attraverso la "Prima Repubblica"
 
 
 

In margine al libro di Franco Cardini, L'Intellettuale disorganico
Franco Cardini, scrittore illustre, opinionista, ordinario di storia medievale nell'Università di Firenze, autore di numerosi lavori scientifici e di libri sapientemente divulgativi, racconta i suoi primi sessant'anni, per il piacere degli amici...

Franco Cardini, scrittore illustre, opinionista, ordinario di storia medievale nell'Università di Firenze, autore di numerosi lavori scientifici e di libri sapientemente divulgativi, racconta i suoi primi sessant'anni, per il piacere degli amici. Starei per dire anche per il dispetto degli avversari, ma non sarebbe vero. Il "gattaccio" Cardini gode anche del rispetto degli avversari, con i quali coltiva rapporti di reciproca stima e sovente di amicizia.

Da antico "ragazzo di San Frediano" rivendica con orgoglio la sua "dignità di gattaccio randagio, uso a razzolar nei rifiuti altrui con una fame che i signorini nati nelle ben ordinate biblioteche e abituati ai prati all'inglese del sapere non s'immaginano neppure".

Egli fu, ed è, disorganico a tutto e a tutti, la qual cosa significa che non è disposto a vincolare il suo pensiero ad alcuna appartenenza (che non sia quella alla Chiesa cattolica).

Non ama "i vincitori, quelli ai quali va tutto bene, quelli che hanno vita facile e successo assicurato: gli uomini che non debbono chiedere mai, quelli che vincono perchè hanno ragione e hanno ragione perchè vincono". Il che non significa per nulla -precisa- "che il mio ideale fosse quello del perdente: tutt'altro" ... "Ero uno che voleva vincere e che avrebbe amato la vittoria dei 'suoi', ma che sbagliava tragicamente le alleanze. Peggio: che, inconsciamente o no, voleva sbagliarle".

La sua prima educazione politica non avvenne nella sua famiglia, politicamente asettica (tranne una bella figura di zio fascista della prima e dell'ultim'ora, che però si asteneva dall'indottrinarlo). Gli avvenne di incontrare, nella sua adolescenza, la madre di un caro amico, che era stata ausiliaria della Repubblica sociale italiana, la quale gli partecipò i sentimenti che avevano condotto lei e il marito all'avventura "repubblichina": "l'indignazione per la fuga del re l'8 settembre, che aveva tradito il suo popolo e abbandonato il suo esercito; l'entusiasmo per il ritorno alle origini socialiste del fascismo; la dedizione a una causa perduta, in cui tuttavia contava l'onore dinanzi a se stessi e agli alleati; e i giorni del '45, i massacri, le sevizie, le persecuzioni. Oggi so bene che Salò fu anche ben altro; ma allora, il fatto che le ragioni dei vinti e la buona fede di tanti fra loro fossero così duramente negate, vilipese e obbligate a tacere mi convinceva che quelle dei vincitori erano tutte menzogna e propaganda".

"Non c'erano del resto soltanto le memorie di guerra. Vi furono la crisi di Trieste, la morte di alcuni giovani negli scontri di piazza (Vi dice nulla il nome di Francesco Paglia? Probabilmente no: ci siamo già scordati anche dei bonzí di Saigon e di Jan Palach), le notizie che - subito poste a tacere nella stampa ufficiale nonostante la guerra fredda - cominciavano a trapelare a proposito delle foibe".

Fu così che il ragazzo di San Frediano approdò "alla 'Giovane Italia', della quale - ricorda - avevo accettato abbastanza facilmente l'anticomunismo, corretto tuttavia da una conclamata visione 'sociale'- quella repubblichina".

La cosa fu assecondata certamente dalla sua viscerale simpatia per i Vinti, sospinto dalla quale si sentiva di stare dalla parte di Radetzky, "contro i sciuri che avevano voluto il Quarantotto ... e magari, contro quei sciuri, ho tenuto fede ai povaritt". Nel suo favore per Radetzky c'è ben altro, naturalmente. C'è la nostalgia di quell'Impero che fu distrutto dalle guerre civili europee e che avrebbe potuto invece costituire le fondamenta dell'unione europea.

Sopravvennero "i primissimi scandali di governo della Prima Repubblica: roba che ora, dalla sponda delle varie Tangentopoli, fa quasi tenerezza, ma che allora sollevò indignazione e fece meritare ai dirigenti democristiani il soprannome di 'forchettoni' ". E lui, ancorato ai valori civici e morali che un degenerato clima di licenza stava vulnerando, si accorse più tardi "di pensare seriamente al socialismo come via d'uscita dai mali italiani ed europei. Avrebbe dovuto essere un socialismo austero, in grado di mettere un freno all'ondata individualistica e consumistica, deciso a scioglier l'Europa dallo stato di asservimento politico, economico e soprattutto culturale (l'americanizzazione dei costumi) nei confronti degli Stati uniti, capace di elaborare una 'terza via' che lo tenesse al sicuro dall'egemonia sovietica pur rafforzando l'amicizia con essa".

Studiò il russo, nel 1970 fu, per un lungo stage, a Mosca, da dove tornò "vaccinato dalla tentazione comunista", ma arricchito umanamente e professionalmente, per via anche di "strane ricerche dedicate alla "mentalità cavalleresca" e alle sue radici.

La sua maturazione di uomo e di studioso lo condusse a ritenere che "la dicotomia destra-sinistra, almeno come si è fino ad oggi configurata, risulta singolarmente arcaica e priva del necessario aggiornamento concettuale", la qual cosa non impedì a lui e ai suoi amici, di cogliere "nel 1848 il momento della transvalutazione di valori politici in cui idee di sinistra come quelle di nazione erano divenute di 'destra'. Successive analisi di studiosi illustri -scrive- hanno legittimato quella nostra giovanile intuizione". Si sa, infatti, che " esistono nazionalismi 'di destra' e 'di sinistra'; e che lo stesso concetto moderno di nazione, nato giacobinicamente di sinistra in quanto contrapposto alla fedeltà al trono e alla tradizione, è andato tra Otto e Novecento progressivamente spostandosi a destra senza mai peraltro smarrire del tutto i suoi connotati di origine".

Tuttavia Cardini distingue l' "esser di" dallo "stare a". "Nella misura in cui 'destra' e 'sinistra' configurano difatti scelte nel campo socioeconomico o istituzionale, dal canto mio -e non da ieri; ma già, e con chiarezza, quando ero un ragazzino del Msi degli anni Cinquanta- mi sono sempre ripetuto che il problema è orizzontalmente e (se posso consentirmi un avverbio cinico) tatticamente politico: e la politica è l'arte del possibile. Allora, la collocazione politica è aperta: si ha il diritto di scegliere volta per volta non che cosa essere -il che per sua natura non può venir contrattato e tanto meno mercanteggiato-, ma dove stare. Si può "stare" più o meno a destra o a sinistra a seconda che si valutino più o meno importanti la libertà d'iniziativa o la programmazione economica ... le leggi del mercato o i valori della solidarietà e delle giustizia sociale". "Da questi punti di vista -riflette- mi sono sempre sentito al centro, se non addirittura a sinistra: e insomma, sul piano dello 'stare a', la formula (anche fascista e poi missina: ma non esclusivamente tale) di una 'destra sociale' distinta -e per connotati storici e per valori etici e per contenuti politici- dalla 'destra economica' mi ha sempre convinto per quanto non del tutto soddisfatto".

iene alla mente, leggendo queste righe, la sintesi alla quale ricorreva Augusto De Marsanich quando diceva "Noi siamo la Destra politica e la Sinistra economica".

Il successo elettorale dei Msi nelle elezioni del 1972 non gli piacque: "a decretarglielo era stato un ceto medio incolto, sprovvisto di senso dello Stato, impaurito dinanzi a qualunque novità, incapace di andar oltre i propri fragili e vuoti schemi mentali, che amava l'ordine per l'ordine e che alla prima brezza contestativa aveva gettato la maschera tollerante e disponibile che di solito riteneva ben educato indossare e si era palesato per quel che in realtà era da sempre: ottuso, egoista, feroce, volgare, forcaiolo. Un ceto medio di borghesi piccoli piccoli. Che gente di quel genere - fin ad allora antifascista per conformismo e per mancanza di coraggio, di cultura e di fantasia - fosse disposta a correre a ripararsi sotto le bandiere del partito neofascista o almeno a votarlo pur di assicurarsi il suo quieto vivere e che, da quel riparo, alzasse la voce chiedendo misure 'risanatrici' quali la pena di morte, faceva un po' paura e molto ribrezzo a me che - a torto o a ragione, per aver letto e apprezzato gli 'elogi del boia' scritti da De Maistre e da Giuliotti e per aver condiviso le ragioni del Grande Inquisitore esposte da Dostoevskij e rivisitate da Papini - mi sentivo un reazionario di razza e di rango".

***

Mi permetto a questo punto, sommessamente, una chiosa critica. Condivido il fastidio di Cardini per l'annacquamento dell'ambiente umano del Msi nel brodo di una borghesia egoista e pavida (e osservo che anche nel 1994, nel 1996 e in questo 2001, il fenomeno si è ripetuto in termini più ampi, con i successi -declinanti per la verità- di Alleanza Nazionale).

Sarei tuttavia più generoso verso quella gente che cercava "l'ordine per l'ordine", stanca di un regime che tollerava "il disordine per il disordine"; che non impediva l'occupazione delle scuole, gli "espropri proletari" e quant'altro, a opera di un'estrema sinistra di sedicenti studenti, borghesi vestiti da straccioni, lettori di fumetti, immeritevoli anche della qualifica di anarchici; che avrebbe condotto alla stagione delle Brigate rosse, dell'uccisione di poliziotti, magistrati e politici, culminata nell'assassinio di Aldo Moro e nella strage della sua scorta. Quella gente chiedeva anche l' "ordine nella strada", inteso non come tutela poliziesca di un regime ingiusto, ma come difesa del bottegaio contro il rapinatore, della vecchietta cui viene strappata la borsetta con la magra pensione, contro i katanghesi che sprangavano all'università, contro coloro che avrebbero assassinato Ramelli.

***

E' vero. "La destra leggeva e -pensava poco; il monopolio culturale della sinistra attraeva da quella parte gli ingegni più vividi mentre induceva una sorta di effetto-deterrenza nei confronti della cultura tout court da parte di chi, dinanzi alla sinistra, si fosse sentito prevenuto. Il che significava attrazione reciproca fra posizioni progressiste e curiosità culturali". A queste attrazioni Cardini e i suoi amici sfuggivano facilmente, nella consapevolezza che "liberalismo e socialismo erano strettamente connessi e complementari e rifuggivamo dall'uno e dall'altro, anzi forse dal primo più che dal secondo". A ristabilire le distanze pensarono i "ras del cosiddetto movimento studentesco" con le loro intimidazioni, cui si aggiungevano quelle, "appena più soft di qualche collega che ipocritamente consigliava 'senso politico' e 'prudenza' ".

Non era facile "consentire ad esempio a ragazzi di destra di laurearsi, com'era loro elementare diritto. Le autorità governative, giudiziarie e accademiche del Bel Paese sapevano e non intervenivano: la Balena Bianca, il partito cattolico, alcuni rottami del quale tra 1994 e 1995 - nel clima dell'effimero trionfo delle destre - si sarebbero sbracciati a giocar ai perseguitati politici e a chiedere ogni sorta di par condicio, era con la sua acquiescenza la prima responsabile di questo stato di cose quand'anche alcuni ambienti di essa non figuravano tra i suoi mandanti. A Firenze, per consentire a Marco Tarchi di superare nella Facoltà di Scienze Politiche gli esami e quindi di coronare (e lo fece a pieni voti) la sua carriera di studente universitario, furono necessarie le straordinarie qualità umane del custode-factotum Alfio Rigacci, il quale riusciva a convincere le commissioni che dovevano esaminarlo a riunirsi in orari in cui la facoltà era ufficialmente chiusa".

Venne il tempo della collaborazione , con Gianfranceschi, Cattabiani, Buscaroli, Tangheroni, Giano Accame, Sigfrido Bartolini, Bernardi Guardi, Quarantotto, Veneziani, e altri, a pubblicazioni di destra e alla Rivista intitolata, appunto a "La Destra", cui collaborarono anche Maestri come Prezzolini, Junger, Paratore, Giuseppe Sermonti, Jean Anouilh, Augusto Del Noce. Dunque, si pensava e si leggeva e si scriveva anche a destra ma, ahimè, a dispetto del partito politico di riferimento, fosse il Movimento sociale italiano o Alleanza Nazionale prossima ventura.

Guardò con simpatia alla 'Nuova Destra' italiana la quale -ricorda- "si espresse in modo netto e inequivocabile nei confronti della ripulsa di qualunque forma di totalitarismo; formulò un giudizio di ferma condanna non solo di ogni tipo di razzismo, ma anche dei nazionalismi e dei sistemi centralistici; anzi, si dichiarò sistematica sostenitrice di tutte le "nazioni negate" e - per usare un'espressione di Sergio Salvi - le 'lingue tagliate' del mondo e del recupero del radicamento delle tradizioni etniche e locali contro l'appiattimento delle omologazioni mondialistiche. Ne nascevano un rifiuto rigoroso dell'American way of life come obiettivo di stile di vita, una forte critica del consumismo e una chiara presa di distanza nei confronti di tutte le tentazioni 'occidentalistiche' ".

***

L'avvenire non è radioso, per Cardini. Egli paventa "realtà con le quali so bene che dovrò fare i conti - e non intendo sottrarmi a ciò - ma che non mi piacciono. Temo che, dopo aver per lungo tempo subito una certa emarginazione per soft che fosse - in quanto non riuscivo né volevo adattarmi a quell'egemonia almeno culturale del comunismo nella quale la buona borghesia 'acomunista' nuotava tranquilla come il pesce nell'acqua, dovrò affrontare adesso una nuova stagione dì disagio: ho infatti l'impressione che, con l'acqua sporca del bagnetto comunista, si sia gettato in parte almeno via anche il bambino dell'aspirazione alla giustizia sociale e alla solidarietà umana. Non mi piace l'arroganza dì un materialismo che ha la sua ala destra nel neoliberismo sicuro che l'Occidente ha vinto perché aveva ragione (e ha ragione perché ha vinto) e la sua ala sinistra in una specie di libertinismo dì massa, che ha fatte sue tutte le parole d'ordine dell'individualismo liberal e che rappresenta la fusione storica di un conservatorismo sociale autoreferenziantesi come 'illuminato' e di uno spregiudicato radical-libertinismo etico. ... Vedo, nel nostro Occidente, montar la marea del disorientamento: una società retta dal solo princìpio del piacere individuale e della ricerca della felicità non può non esser fragile, poiché il piacere per definizione non viene mai soddisfatto; anzi alimenta di continuo nuovi bisogni e rende quindi sempre più schiavi, cioè più infelici. Nei nostri ragazzi, abituati a considerare un diritto la soddisfazione di ogni loro desiderio e dei tutto sprovvisti degli strumenti atti a selezionare i desideri stessi, vedo montare giorno per giorno una violenza anche contro se stessi (la droga, il suicidio) che potrebbe totalmente sostituire qualunque residua istanza etica: e sarebbe allora davvero il trionfo dell'indíviduo, in un modo certo però tragicamente diverso da come lo hanno annuriziato e auspicato i suoi profeti".

Non basta. Il vecchio ragazzo di San Frediano "alla democrazia come valore etico e quasi metafisico se non addirittura mistico non ha mai accordato soverchia simpatia, ma pensa tuttavia a quello democratico-parlamentare come a un accettabile me-todo empirico per comporre il più possibile al meglio il necessario anzi inevitabile potere delle élites con una sia pur periodica verifica, un controllo da parte delle masse dei governati".

E considera con preoccupazione "lo svuotamento delle prassi eletto-ralistico-parlamentari a causa del convergere delle volontà dei gruppi élitari multinazionali che presiedono ai meccanismi della globalizzazione con la riduzione di tutti i governi mondiali (compreso quello della super-potenza statunitense) a 'comitati d'affari' al servizio delle multinazionali e con l'azzeramento consumistico e massmediale delle identità dei popoli ".

"Il XIX secolo ci aveva lasciati in un mondo nel quale la scienza e la ragione si proclamavano necessariamente e naturalmente atee, mentre i popoli continuavano ad aver bisogno di Dio. Il XXI si annunzia su una strana e sconvolgente prospettiva di rovesciamento di ruoli: potremmo trovarci di fronte a un futuro, che in parte è già presente, caratterizzato da un edonistico e utilitaristico ateismo di massa corretto, diretto e dominato - a sua insaputa, magari - da una casta di scienziati: dei quali sarebbe inesatto dire che credano in Dio: perché è piuttosto vero che Lo hanno incontrato nelle loro ricerche, se Lo sono trovato dinanzi e - nonostante addirittura i loro sforzi, a dispetto della loro volontà - non possono né evitarLo, né chiamarLo altrimenti".

Questo è Franco Cardini, l' Intellettuale disorganico, l' uomo libero, intellettualmente curioso di tutto e pronto, fermi i princìpi e soprattutto la sua fede cattolica, a collocarsi come il momento richiede, con la consapevolezza della sua propensione, risalente all'adolescenza, di scegliere quasi sempre la collocazione utilitaristicamente sbagliata, politicamente scorretta e, com'è ovvio, perdente.

Romano Ricciotti


FRANCO CARDINI, L'intellettuale disorganico
Aragno, Torino, 2001, pagg. 77, lire 22.000




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