il Monte Baldo

Associazione I Ghiottoni


Condotta del Garda Veronese

direttore Angelo Peretti



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Festa di San Michele a Prada di San Zeno di Montagna il 29 settembre
Tradizionale appuntamento con la fiera di fine alpeggio in località Prada, a San Zeno di Montagna (Verona), sul Monte Baldo, il 29 settembre, giorno di San Michele. Dall'alba, saranno in esposizione i capi di bestiame provenienti dalle malghe. La gastronomia proposta dalle trattorie di Prada Bassa prevede trippe in brodo e pìto coi capùsi (tacchino con il cavolo cappuccio). In vendita piccole produzioni di formaggi locali. In occasione della festa di San Michele, per due settimane i ristoranti Kus e Diana propongono a San Zeno di Montagna menù degustazione a base di formaggio.
Clicca qui per leggere il libro di Angelo Peretti sulla storia e sulle tradizioni della festa di San Michele
Il marrone di San Zeno
Clicca qui per leggere la proposta di disciplinare di produzione del marrone di San Zeno

La Compagnia de la Castagna
A San Zeno di Montagna ha sede un sodalizio che valorizza i prodotti tipici del Baldo

Torna la marronata sul Monte Baldo
Dolce sorpresa dal Monte Baldo: «resuscitata» la marronata
Il tartufo del Baldo
Clicca qui sotto per leggere i capitoli del nostro libro dedicato al tartufo del Monte Baldo

Alla scoperta del tartufo del Baldo
Tartufi come companatico
Buona borsa e valorosi destrieri
Delizie per l'imperatore
Gli odorosi ed eccitanti tartufi

Bibliografia
Il marrone di San Zeno

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE E FORESTALI
Proposta di riconoscimento della denominazione di origine protetta "Marrone di San Zeno"
Gazzetta Uufficiale n. 179 del 3-8-2001)

Il Ministero delle politiche agricole e forestali ha esaminato l'istanza intesa ad ottenere la registrazione della denominazione di origine protetta "Marrone di San Zeno", ai sensi del regolamento (CEE) n. 2081/92, presentata dall'associazione castanicoltori del Monte Baldo Veronese, con sede in San Zeno di Montagna (Verona) e, ritenendo che la stessa sia giustificata e che siano soddisfatti i requisiti previsti dal citato regolamento, ai sensi dell'art. 5, paragrafo 5 dello stesso, procede alla pubblicazione della relativa proposta di disciplinare di produzione nel testo di seguito riportato. Le eventuali osservazioni, adeguatamente motivate, relative alla presente proposta dovranno essere presentate, nel rispetto della disciplina fissata dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 "disciplina dell'imposta di bollo" e successive modifiche, al Ministero delle politiche agricole e forestali - Dipartimento della qualità dei prodotti agroalimentari e dei servizi - direzione generale per la qualità dei prodotti agroalimentari e la tutela del consumatore - ufficio tutela qualità dei prodotti agricoli e agroalimentari - via XX Settembre n. 20 - 00187 Roma, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, dai soggetti interessati e costituiranno oggetto di opportuna valutazione, da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali, prima della trasmissione della suddetta proposta alla Commissione europea.

Allegato
PROPOSTA DI DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA "MARRONE DI SAN ZENO"
Art. 1.
Nome del prodotto
La denominazione di origine protetta (DOP) "Marrone di San Zeno" è riservata ai frutti che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti nel presente disciplinare di produzione.
Art. 2.
Descrizione del prodotto
La DOP "Marrone di San Zeno" è attribuita ai frutti prodotti da castagni corrispondenti ad una serie di ecotipi, appartenenti alla specie Castanea Sativa Mill, selezionatisi sotto l'influenza dell'ambiente benacense e riconducibili essenzialmente alla varietà locale Marrone, che è stata propagata nel tempo per via agamica.
I frutti che utilizzano la DOP "Marrone di San Zeno" provengono esclusivamente dalla varietà locale Marrone e debbono presentare le seguenti caratteristiche:
numero di frutti per riccio non superiore a tre; pezzatura variabile, ossia un numero di frutti per chilogrammo non superiore a 120, ma non inferiore a 50;
forma elissoidale con apice poco rilevato, facce laterali in prevalenza convesse, ma caratterizzate da diverso grado di convessità, cicatrice ilare simile ad un cerchio schiacciato tendente al rettangolo che non deborda sulle facce laterali, di colore più chiaro del pericarpo;
pericarpo sottile, lucido, di colore marrone chiaro con striature più scure, evidenziate in senso mediano;
episperma (pellicola) sottile lievemente penetrante nel seme, che si stacca con facilità alla pelatura;
seme di colore tendente al giallo paglierino, lievemente corrugato, pastoso e di gusto dolce.
Al momento dell'immissione al consumo i frutti, oltre a presentare le caratteristiche di forma ed aspetto sopra specificate, devono essere: interi, sani, puliti e asciutti.
Art. 3.
Zona di produzione
La zona di produzione e trasformazione del "Marrone di San Zeno" comprende parte del territorio situato fra il lago di Garda ed il fiume Adige dei comuni di Brentino-Belluno, Brenzone, Caprino Veronese, Costermano, Ferrara di Monte Baldo, San Zeno di Montagna, tutti compresi nella zona omogenea della comunità montana del Baldo.
La descrizione del confine è effettuata iniziando dall'estremo nord seguendo la rotazione oraria fino a rincontrare l'estremo nord, su carte dell'Istituto geografico militare (I.G.M.), in scala 1:25000.
Foglio n. 35 - Quadrante II - Orientamento Sud-Ovest Brenzone
La delimitazione parte a est della contrada Sommavilla dalla isoipsa 250m e sale lungo il confine comunale Brenzone - Malcesine fino alla isoipsa 900 m; da lì in avanti coincide verso sud con la
isoipsa 900 m, la quale corre parallelamente al lago di Garda passando sotto l'edificio di Malga Brioni e incrociando con un'ansa la valle Mezzana, la strada comunale Assenza - Prada, le valli delle Nogare, Trovai, Madonna dell'Aiuto, Fies, Senaga. Sotto la chiesa di S. Bartolomeo di Prada raggiunge il confine
comunale di Brenzone - San Zeno di Montagna e si cambia il foglio I.G.M.
Foglio n. 48 - Quadrante I - Orientamento Nord-Ovest Caprino Veronese
La isoipsa 900 m interseca il muro di cinta della tenuta I Cervi, segue per un tratto la strada interna alla tenuta che collega il palazzo con la chiesetta di S. Bartolomeo di Prada; si addentra, in alto, lungo la Val Sengello fino a superarla toccando e poi incrociando la strada provinciale n. 9 San Zeno di Montagna - Prada; si incurva e supera le valli I Fornei, Storta e Bruna; sul Dosso Ziloncello incrocia il confine comunale di San Zeno di Montagna - Caprino Veronese, attraversata la Malga Valdabin di Sotto transita lungo le pendici superiori del monte Creta e va a toccare l'edificio di Malga La Fabbrica; passa a nord dell'edificio di Malga Valmenon, attraversa Malga Tesi, supera la Val Brutta, passa sotto la contrada Pradonego, poi incrocia dapprima la Valle Salve Regina sopra la sorgente Bergola e successivamente il confine comunale Caprino Veronese - Ferrara di Monte Baldo; si cambia tavola I.G.M.
Foglio 48 - Quadrante I - Orientamento Nord-Est Dolcè
La isoipsa 900 m prosegue fino a toccare a nord la località Fenil dei Coltri, poco dopo gira verso sud, incrocia la strada comunale proveniente da Spiazzi e sopra la sorgente Carane, con due anse, la riprende rientrando in comune di Caprino Veronese; passa per la località Croce e poco dopo ritorna in comune di Ferrara di Monte Baldo; costeggia a ovest la strada provinciale n. 8 Spiazzi - Ferrara di Monte Baldo, la taglia in località Fraine di Sopra volgendo a sud e descrive sopra la contrada Peretti una rapida svolta a nord; incrocia il confine comunale Ferrara Monte Baldo - Brentino Belluno; avvolge la Valle di Ferrara di Monte Baldo e prosegue girando verso nord lungo le pendici del Monte Cor, svolta poi verso est a oriente del passo della Crocetta fino all'intersezione con la latidudine nord 45o 40' 06 . La delimitazione scende verso la Valle dell'Adige seguendo la latitudine nord sopra specificata fino a incrociare la isoipsa 250 m.
Segue verso sud lungo questa isoipsa la Valle dell'Adige; entrando con un meandro nella Valle del Rio Bissole interseca la condotta forzata sopra il fabbricato della centrale elettrica e successivamente il Rio Bissole stesso. La isoipsa 250 m curva verso Brentino, lambendone le case più in alto e tagliando il sentiero per il santuario della Madonna della Corona; essa transita a ovest della contrada Preabocco e continua fino all'incrocio con il confine comunale Brentino Belluno - Rivoli Veronese dove viene per il momento abbandonata. La delimitazione segue il confine dei due comuni sopramenzionati fino all'incontro con il confine di Caprino Veronese; prosegue lungo il confine comunale tra Caprino Veronese e Rivoli Veronese che lascia deviando verso ovest nei pressi della contrada Canale e riprende al cambio di foglio I.G.M. la isoipsa 250 m.
Foglio n. 48 - Quadrante I - Orientamento Nord-Ovest Caprino Veronese
Continuando verso ovest la isoipsa 250 m passa a nord della località Ruine, incrocia la strada provinciale n. 8 Rivoli Veronese - Ferrara di Monte Baldo, scorre a sud della località Zovo e interseca la carrareccia Zuane - Acque. Dopo tale incrocio la delimitazione abbandona la isoipsa 250 m e segue il confine comunale Rivoli Veronese - Caprino Veronese raggiungendo la strada comunale Zuane - Ceredello che percorre fino all'incrocio con la strada provinciale n. 29 Affi - Caprino; da qui riprende la isoipsa 250 m. La isoipsa 250 m prosegue verso nord tagliando la strada comunale Ceredello - Boi di Pesina, rientrando a Casoni di Sopra sulla strada provinciale n. 29 Affi - Caprino Veronese, lasciando di nuovo quest'ultima in località Scalette dove piega verso est e torna a incrociarla alla contrada Acque; transita a sud-ovest dell'abitato di Caprino Veronese fino ad intersecare la strada Caprino Veronese - Pesina al bivio con la comunale Dosso Berra. La isoipsa 250 m corre a nord della strada comunale Caprino Veronese - Pesina fino oltre l'abitato di Pesina dove incrocia la strada comunale Pesina - San Verolo. Prosegue verso ovest, taglia il confine comunale Costermano - Caprino Veronese, la strada provinciale n. 9 Costermano - San Zeno di Montagna; entra nella Valle Lesina, la interseca descrivendo uno stretto meandro, riesce lambendo a sud l'abitato di Campagnola, passa a ovest della Valle dei Molini, piega a ovest verso il lago di Garda, raggiunge il confine comunale Costermano - Garda sovrapponendosi per dei tratti ad esso e passando a sud di Marciaga. Lasciata la isoipsa 250 m la delimitazione curva verso nord parallelamente al lago di Garda e coincide con il confine comunale Costermano - Torri del Benaco, con il confine comunale San Zeno di Montagna - Torri del Benaco e con il confine comunale Brenzone - Torri del Benaco. Dalla Vall Cottarella la delimitazione comincia a riseguire rigorosamente in comune di Brenzone la isoipsa 250 m verso nord parallelamente al lago di Garda e poco prima della località Bosco cambia foglio I.G.M.
Foglio n. 35 - Quadrante II - Orientamento Sud-Ovest Brenzone
La delimitazione coincide con la isoipsa 250 m fino al confine comunale tra Brenzone e Malcesine intersecando le valli del Salto, Guarì, Larga, di Coria, passa a est della contrada Biazza, supera la Valle Senaga, lambisce a est le contrade Fazor Gainet e Campo; dopo la Valle Madonna dell'Aiuto passa a est della località Tormentaie, interseca le Valli di Boazzo, la strada comunale Assenza - Prada e la Valle Mezzana.
Si è così ritornati al punto di partenza della descrizione del confine della zona di produzione e trasformazione del "Marrone di San Zeno".
Art. 4.
Origine del prodotto
Testimonianze scritte sulla coltivazione del "Marrone di San Zeno" risalgono al XIII, XIV, XVII e XIX secolo; esse individuano le zone tipiche di produzione, anche attraverso gli estimi catastali, e descrivono il prosperoso sviluppo dei castagni, i metodi di raccolta e commercializzazione dei marroni sui mercati settimanali, la cui tradizione ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra.
Art. 5.
Descrizione del metodo di ottenimento del prodotto
I castagneti devono essere localizzati nella tradizionale fascia vegetazionale del Castanetum, vale a dire fra 250 e 900 m s.l.m.
Le forme di allevamento, nel rispettare il tradizionale inserimento del castagno nel pregevole paesaggio del sistema lago di Garda - monte Baldo, devono essere legate a sesti di impianto ed a sistemi di potatura adeguati a non modificare le caratteristiche di tipicità del "Marrone di San Zeno".
Il numero di piante in produzione per ettaro, tenendo conto delle caratteristiche pedoclimatiche e delle forme di allevamento, può variare da un minimo di 30 ad un massimo di 120 piante.
Le altre tecniche di coltivazione debbono ispirarsi alla consolidata tradizione che non prevede l'uso di prodotti di sintesi, nè pratiche di forzatura, a salvaguardia della naturalità della produzione.
La raccolta, seguendo la naturale deiscenza del frutto, potrà essere effettuata a mano o con mezzi meccanici idonei tali da salvaguardare l'integrità sia della pianta che dei frutti.
La resa produttiva massima è fissata in 30 kg di frutti per pianta e in 3,6 t per ettaro.
I frutti raccolti vanno sottoposti ad operazioni di cernita e calibratura volte a verificarne la rispondenza ai caratteri di tipicità individuati nel presente disciplinare di produzione.
I trattamenti di cura, prima della immissione dei frutti al consumo, vanno effettuati con le tradizionali tecniche fisiche, quali la "novena" e la "rissara". La "novena" consiste nel prolungare la "cura dell'acqua" per nove giorni avendo attenzione di cambiare parte o tutta l'acqua ogni due giorni, senza aggiunta di nessun additivo e secondo la corretta tecnica locale che consente di preservare e migliorare le caratteristiche di tipicità del "Marrone di San Zeno".
La "rissara" consiste nell'accumulare all'aperto i frutti e i ricci per 8-15 giorni.
Tutte le suddette operazioni compresa quella di confezionamento, che dovrà essere conforme alle modalità previste all'art. 8 del presente disciplinare di produzione, vanno effettuate dentro il territorio delimitato all'art. 3 del presente disciplinare di produzione.
Art. 6.
Elementi comprovanti il legame del prodotto con l'ambiente geografico e l'origine geografica
I frutti che possono utilizzare la DOP "Marrone di San Zeno" provengono solo dalla tradizionale varietà locale Marrone che si è selezionata nella zona di origine da castagni appartenenti ad ecotipi della specie Castanea Sativa Mill ed è stata propagata nel tempo dai produttori locali per via agamica.
La zona geografica di produzione, influenzata dall'ambiente benacense, è caratterizzata da clima temperato-umido, con terreni acidi, tendenzialmente sciolti, non superficiali sui quali il prodotto esprime i propri caratteri di tipicità.
La commercializzazione dei marroni avveniva già dalla fine del secolo XIX per via diretta, tramite negozianti, oppure sul mercato settimanale di Caprino Veronese, o su quello di Verona.
Sin dagli anni 20, nel comune di San Zeno di Montagna, si tiene, durante il mese di novembre, la tradizionale sagra del marrone che, dal secondo dopoguerra è divenuta la "Mostra Mercato del Marrone" e giunta quest'anno alla XXIX edizione.
Art. 7.
Riferimenti relativi alle strutture di controllo
I castanicoltori, i cui terreni ricadano nel territorio individuato nel precedente art. 3, e che intendano avvalersi della DOP "Marrone di San Zeno", devono iscrivere i castagneti all'apposito elenco tenuto ed aggiornato dall'organismo di controllo.
Il suddetto elenco deve contenere gli estremi catastali dei terreni coltivati a castagneto e, per ciascuna particella: la ditta proprietaria, la ditta del conduttore, la località, il numero delle piante, la produzione massima dei marroni, l'età del castagneto.
La presentazione delle domande di iscrizione all'elenco, o di eventuali modifiche da parte dei castanicoltori già iscritti, deve avvenire entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello in cui si intende commercializzare il prodotto a DOP.
I produttori con i castagneti iscritti nell'elenco sono tenuti a dichiarare all'organismo di controllo la quantità di marroni a DOP effettivamente prodotta e che intendono esitare sul mercato; tale dichiarazione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla fine della raccolta.
Art. 8.
Modalità di confezionamento ed etichettatura
Il "Marrone di San Zeno" va commercializzato, allo stato fresco, in sacchetti di materiale per alimenti, in confezioni da 0,3 kg, 0,5 kg, 1 kg, 2 kg, 3 kg, 4 kg, 5 kg, 10 kg; le confezioni di dimensioni più ampie (25 kg e 50 kg) dovranno essere commercializzate in sacchi di juta o altro materiale idoneo. Tutte le confezioni vanno sigillate in modo da impedire l'estrazione dei frutti senza la rottura del sigillo.
Ogni confezione dovrà essere provvista di un'etichetta con il logo.
Nel logo sono rappresentati due cerchi contenenti, l'uno San Zeno benedicente e, l'altro, due ricci stilizzati, accavallati e deiscenti con il marrone che esce. Esso include, nel cerchio di sinistra in basso, la scritta "San Zeno", e nel cerchio di destra la scritta "Marrone" in alto e "di San Zeno" in basso. La scritta DOP viene collocata in una fascia araldica, fra i due cerchi e alla loro base.
I due cerchi hanno un diametro di 26 mm ciascuno. L'altezza della fascia araldica è di 2,5 mm mentre la sua massima estensione orizzontale è di 20 mm.
Nel cerchio di sinistra, su campo bianco, San Zeno benedicente con la pelle di colore marrone (pantone 478 C) e immerso fino a poco sotto il torace nell'acqua di colore bleu (pantone 299 C), presenta il copricapo di color rosso (pantone 193 C) ed il pastorale di colore giallo (pantone 124 C). I suoi paramenti sono di colore giallo (pantone 124 C) nella parte superiore della tunica e di colore rosso (pantone 193 C) in quella inferiore. Infine un pesce, di colore verde (pantone 576 C), è appeso alla lenza attaccata al pastorale sostenuto dalla mano sinistra del santo che emerge dall'acqua. Nel cerchio di destra, su campo bianco, i frutti (marroni) sono di colore marrone (pantone 478 C) e sono avvolti dai ricci di colore verde (pantone 576 C).
Tutte le scritte sono di colore nero su campo bianco. I caratteri delle scritte hanno le seguenti dimensioni:
quelli relativi alla scritta "San Zeno" nel cerchio di sinistra 1,6 mm;
quelli relativi a "Marrone di San Zeno" nel cerchio di destra 1,8 mm;
quelli relativi alla scritta "DOP" nella fascia araldica 1,9 mm.
Sull'etichetta si dovranno inoltre indicare peso, annata di produzione e luogo di confezionamento.
Alla DOP "Marrone di San Zeno" è vietata l'aggiunta di qualificazioni diverse da quelle previste nel presente disciplinare di produzione, ivi compresa qualsiasi altra indicazione, anche laudativa, atta a trarre in inganno il consumatore.
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Angelo Peretti
Il tartufo del Monte Baldo

Quadernetti Ghiotti - I - 1998

Alla scoperta del tartufo del Baldo
Dalle vette alla riviera gardesana, dai pascoli al fondovalle atesino, dai ripidi versanti alle dolci colline dell'anfiteatro morenico: il territorio del Monte Baldo è ricco di molte affascinanti sfaccettature. E tanta ricchezza di scenari si riflette anche nelle produzioni locali, talvolta certamente da considerare "marginali" sotto il profilo quantitativo, ma comunque sempre eccellenti dal punto di vista della qualità.
Notissimi anche ben oltre i confini nazionali sono ad esempio i vini, oppure l'olio extravergine che ha riconoscimento europeo. Ma potremmo poi ricordare i marroni degli antichi castagneti, il miele, le produzioni casearie che sopravvivono nei baiti, gli asparagi delle morene di Rivoli, o ancora le molte erbe officinali di questo monte noto da secoli come "giardino botanico d'Europa". Oppure i tartufi.
I tartufi? Replicano molti con faccia stupita quando gli dici che fra il Garda e il Baldo ci sono i tuberi preziosi. Già - si risponde allora - anche i tartufi sono fra il ben di Dio di quest'isola felice.
In una recente relazione di alcuni dei tecnici del Servizio forestale regionale si scrive, a proposito dei tartufi del Veneto, che "la specie più diffusa è il Tuber aestivum che si rinviene dal Monte Baldo alle frastagliate propaggini dei Monti Lessini". Aggiungendo che le colline gardesane e le basse pendici del Baldo sono interessate anche dalla presenza del Tuber melanosporum che, "sebbene non molto abbondante e piuttosto localizzato, riveste una certa importanza in quanto rappresenta la specie più pregiata" (Mantovani et al. 1995: 33-34).
Molti magari resteranno stupiti a sapere che il tartufo nero sul Baldo e sul Garda c'è ed è di gran pregio. Ma questa sua presenza è cosa nota da secoli a cuochi, gastronomi e naturalisti. E da molto tempo - come scrive Virgilio Vezzola per il Garda bresciano, ma con un'affermazione che può essere tranquillamente estesa anche alla riviera veneta e al Baldo - "famiglie con tradizione tartufigena sono vissute nei vari comuni che costeggiano il lago".
Nelle pagine seguenti di questa "storia" del tartufo del Baldo-Garda diamo qualche ragguaglio,
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Tartufi come companatico

La più antica testimonianza letteraria della presenza del tartufo sulle montagne attorno al lago di Garda è probabilmente quella cinquecentesca del salodiano Bongiani Grattarolo.
Nella sua "Historia della Riviera di Salò", data alle stampe a Brescia nel 1599 "con licenza dei Superiori", il Grattarolo tesse le lodi della regione gardesana.
Per rafforzare le proprie considerazioni giunge al punto di dire che da queste parti le carestie non si fanno sentire. Tanto che gli stessi montanari conducono una vita in qualche modo agiata. Prova ne sia che, anche se i monti non sono molto produttivi, la gente del posto mangia comunque pane migliore di quello di cui ci si nutre nelle fertili campagne romane.
Per di più sulle montagne gardesane non man-ca mai il companatico: ricotte, formaggi e carne salata sono alla portata anche dei più poveri, che possono arricchire il proprio vitto raccogliendo inoltre tartufi e funghi "delicatissimi". Quasi un mangiare da re, insomma, per i poveri montanari locali.
Ma leggiamo direttamente le parole del Grattarolo: "E per lo più i contadini delle sue Montagne così sterili, mangiano miglior pane, che non fanno quelli delle Campagne di Roma così fertili. Oltra che non mancano quasi mai di companatichi honesti. Ricotte, Casi, e carne almeno salata per poveri che siano. E trovano tartuffi, e funghi di molte sorti delicatissimi" (Grattarolo 1599: 38).
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Buona borsa e valorosi destrieri

La testimonianza dell'uso nelle cucine signorili rinascimentali dei tartufi provenienti dai monti e dai colli che circondano il lago di Garda ci viene dal ricettario di uno dei più grandi cuochi della storia della gastronomia italiana.
Bartolomeo Stefani, "cuoco bolognese", come s'autodefiniva, prestava il proprio servizio alla corte mantovana dei Gonzaga quando, nel 1662, diede alle stampe il suo celebre volume su "L'arte di ben cucinare".
Stefani aveva una convinzione: quella che stupire a tavola non fosse poi così difficile per chi poteva disporre di un bel po' di quattrini. Scrivendo infatti certi "avvertimenti alli signori lettori", ebbe infatti a osservare che magari qualcuno avrebbe avuto di che stupirsi del fatto che nelle sue ricette lui consigliasse ad esempio asparagi e piselli in gennaio e in febbraio, prodotti "che à prima vista paiono contro stagione". Ma questi critici dovevano mettersi in testa, a sentire l'illustre cuoco, che "chi hà valorosi destrieri, e buona borsa, in ogni stagione trovarà tutte quelle cose, che io loro propongo, e ne' medesimi tempi, che ne parlo". Insomma, bastava avere delle borse ben fornite di soldi e dei validi corrieri e da qualche parte si trovavano sempre rare delizie e invitanti primizie.
Se dunque un cuoco del genere non si poneva il problema d'andare a reperire i prodotti migliori anche ben lontano dalla corte mantovana, doveva ritenere davvero squisiti i tartufi dell'area attorno al Garda, visto che li consigliava decisamente.
Scrive infatti nel suo ricettario: "Ne' tempi freddi si gode la Tartuffola delle pianure, che si può conservare in oglio per i tempi caldi, ne' quali ancora se ne può havere di fresca, estratta da monti, e colli, & specie se ne ritrova vicino alla Volta, e Capriana, Terre del Serenissimo di Mantova" (Stefani 1662: 142-143).
Eccellenti i tartufi dei monti e dei colli benacensi, insomma, secondo il grande Stefani. Con qualche predilezione per quelli delle colline moreniche di Volta Mantovana e di Cavriana, nei possedimenti gonzagheschi.
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Delizie per l'imperatore

Del tartufo del Baldo, e più precisamente di quello di Caprino, si parla in uno scritto della fine del Settecento.
Si deve a Giuseppe Franco Viviani la recente pubblicazione di alcune relazioni, conservate presso l'Accademia d'Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, riguardanti la situazione del territorio veronese negli ultimi anni della Repubblica di Venezia.
In particolare ci è preziosa la relazione indirizzata all'Accademia il 3 agosto 1791 dal nobile Agostino Pignolati a proposito di Caprino, dato che contiene interessanti notizie riguardanti il tartufo del Monte Baldo.
Vi si legge infatti che dagli "ubertosi" rilievi collinari della zona si spedivano tartufi alla corte imperiale tedesca addirittura per cinque o sei mesi l'anno. Segno d'una produzione indubbiamente d'un qualche rilievo sia quantitativo che qualitativo.
Ecco qui di seguito il passo che c'interessa.
"Le colline egualmente ubertose di grani sono anch'esse spezialmente ove la terra, è bell'armenica come lo è tutta la campagna, oppura ove è argillosa, non tanto però ove è cretacea, ma tutte essendo di viti, di pochi gelsi, ed ulivi impiantate sono dall'industria, e notabile dispendio a tal segno rese ubertose, che puossi mettere in questione, se più renda la campagna, o le colline in proporzione di terreno, ed oltrecciò sono anco arricchite de' preziosi tartuffi, li quali a preferenza d'ogni altro luogo e vicino e lontano sono ad onta di esorbitante prezzo ricercati, e spediti in lontane regione, e la imperial mensa di Germania per cinque, o sei mesi dell'anno viene ogni giorno imbandita di questo prelibatissimo frutto di Caprino" (Viviani 1994: 107).
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Gli odorosi ed eccitanti tartufi

Giuseppe Solitro compose sul finire dell'Ottocento uno dei testi fondamentali per la conoscenza dell'area gardesana: è il "Benaco", un volume edito a Salò nel 1897.
Pressoché tutti gli aspetti della regione gardesana sono presi in considerazione: dalle acque ai monti, dalla flora alla fauna, dalla storia all'industria.
Il Monte Baldo viene descritto come zona di "pingui praterie, nelle quali sgambettano i vitelli e pascolano gravi le mucche dalle pingui mammelle" (Solitro 1897: 12).
Un capitolo intero è dedicato all'alloro, agli alberi da frutto, ai funghi, ai boschi ed agli orti. Ed è proprio in questo capitolo che appare anche il tartufo. Quello stesso tartufo che i cercatori del luogo in quegli anni, come ricorda un esperto come Virgilio Vezzola, "spedivano con la barca a Verona ed a Riva dove generalmente proseguivano per Trento", mentre "piccoli quantitativi venivano consumati dalle famiglie benestanti del posto". E una qualche richiesta proveniva anche dai primi, prestigiosi alberghi rivieraschi, come il Grand Hotel di Gardone Riviera (Vezzola 1995: 4).
Prima dei tartufi, comunque, il Solitro tratta dei funghi, illustrando "i principali mangerecci". Cita ad esempio il "pratajuolo", l'ovolo, "il spinarolo", il cicciolo, la legorzela, il brigoldo ed altri ancora. Poi passa allo squisito tubero delle montagne attorno al Garda. Scrivendo che "nè mancano nella regione odorosi ed eccitanti tartufi bianchi e neri, delizia delle mense signorili" (Solitro 1897: 262).
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Bibliografia

B. GRATTAROLO, Historia della Riviera di Salò, Brescia 1599
R. MANTOVANI - M. BERTO - E. PIVA, Interventi ed esperienze della Regione Veneto nel settore del tartufo e della tartuficoltura, in Il tartufo nel Parco Alto Garda bresciano. Atti del Convegno, Roè Volciano 1995
G. SOLITRO, Benaco, Salò 1897
B. STEFANI, L'arte di ben cucinare, et instruire i men periti in questa lodevole professione, Mantova 1662
V. VEZZOLA, Ricerche sulle specie di tuber presenti nel territorio della Comunità montana Parco Alto Garda bresciano, in Il tartufo nel Parco Alto Garda bresciano. Atti del Convegno, Roè Volciano 1995
G. F. VIVIANI, Il territorio di Caprino alla fine del sec. XVIII (2° parte) in Il Baldo n. 5, Centro Turistico Giovanile, Caprino Veronese 1994

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La Compagnia de la Castagna dei Paladini di Cà Montagna
A San Zeno di Montagna (Verona) ha sede un sodalizio per la valorizzazione della cultura e della gastronomia del Monte Baldo: è la Compagnia de la Castagna dei Paladini di Cà Montagna. Il suo scopo è quello di promuovere il tipico marrone locale e la tradizione gastronomica del Monte Baldo. Alla guida della Compagnia siede il Gran Paladino, figura impersonata da un notissimo professionista veronese, l'avvocato Marco Bisagno, che ha scelto San Zeno di Montagna come residenza. Cerimoniere è una altro manager scaligero, Gino Abati, cantore il poeta Franco Ravazzin, cancelliere il giornalista Angelo Peretti. Fra i "paladini" - così si chiamano i soci della Compagnia - ci sono il sindaco di San Zeno di Montagna, Cipriano Castellani, vari amministratori comunali del centro baldense, ed alcuni imprenditori veronesi, fra cui Fortunato Montagna, diretto discendente della famiglia che un tempo fu feudataria di Montagna di Monte Baldo, l'attuale San Zeno.
San Zeno di Montagna
Nuovo sodalizio per valorizzare la cultura e la gastronomia della zona
Come stemma hanno scelto quello dell’antica casata dei Montagna, sostituendo però le tre stelle con altrettante castagne. Non poteva essere altrimenti per la «Compagnia de la castagna dei paladini di Ca’ Montagna», la confraternita baldense che si presenterà ufficialmente nel pomeriggio di domani a San Zeno di Montagna. Il sodalizio ha l’obiettivo di valorizzare la cultura e la gastronomia del Monte Baldo. Battezzare a inizio estate una confraternita «intitolata» alla castagna, tipico frutto autunnale, può rischiare di sembrare anacronistico o quanto meno bizzarro. Ma è proprio tra fine giugno e i primi di luglio che fioriscono i castagni. La data d’avvio dell’attività della Compagnia non è dunque scelta a caso: così come i fiori del castagno preannunciano oggi le dolcezze dei frutti autunnali, la confraternita si presenta ora per dare appuntamento a novembre, quando sarà fra i protagonisti della festa delle castagne di San Zeno. La cerimonia di presentazione del neonato sodalizio si svolgerà alle ore 18 nel trecentesco palazzo di Ca’ Montagna. Saranno presenti, paludati nei loro vestiti di taglio medievale (la creazione è scaturita da un serissimo lavoro di ricerca su fonti archivistiche durato vari mesi), i soci fondatori, che alla sera animeranno anche la cena di gala al ristorante La Casa degli Spiriti. Ma chi sono i protagonisti di quest’avventura? In capo a tutti c’è il Gran Paladino, figura impersonata da un noto professionista veronese, l’avvocato Marco Bisagno, che ha scelto San Zeno di Montagna come residenza. Cerimoniere è un altro manager scaligero, Gino Abati, cantore il poeta Franco Ravazzin. Fra i «paladini» - così si chiamano i soci - ci sono il sindaco di San Zeno di Montagna, Cipriano Castellani, vari amministratori locali ed alcuni imprenditori veronesi, fra cui Fortunato Montagna, diretto discendente della famiglia che un tempo fu feudataria di Montagna di Monte Baldo, l’attuale San Zeno. Attorno al nome del paese, della famiglia dei Montagna e del loro palazzo c’è un piccolo giallo storico. Un tempo San Zeno si chiamava proprio così: Montagna di Monte Baldo. Poi venne il cambio di nome, in onore del patrono di Verona. Oggi, il monumento più importante del luogo è Ca’ Montagna, un bel palazzo affrescato, fatto restaurare di recente dall’Amministrazione comunale: era la dimora dei Montagna, potente famiglia amica degli Scaligeri di Verona. Il dibattito è acceso: furono i Montagna a dar nome al paese o avvenne il contrario? Gli storici sostengono la seconda tesi: la località si chiamava Montagna già anticamente e la famiglia avrebbe preso il nome da quello del paese. Nessun dubbio invece per le castagne di San Zeno: quelle appartengono alla varietà più pregiata, i marroni. E per il marrone tipico di San Zeno di Montagna è in corso l’iter di richiesta del riconoscimento europeo. Nel frattempo si è costituita l’associazione castanicoltori: i produttori - molti giovanissimi - selezionano e vendono marroni con un apposito marchio.
Angelo Peretti da L'Arena del 26 giugno 2000
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Dolce sorpresa dal monte Baldo "resuscitata" la marronata
San Zeno di Montagna. Per i golosi è una lieta sorpresa. Ma lo è pure per chi spera in un futuro migliore per l'agricoltura di montagna. Sul monte Baldo è "resuscitata" la marronata.
Era scomparsa trent'anni fa, quando chiuse i battenti la ditta Vivaldi a Bardolino. È lì, in riva al lago, che la marronata è stata inventata, negli anni Trenta. La si faceva coi marroni del Baldo. Il rilancio è affidato a un giovane castanicoltore di San Zeno di Montagna, Simone Campagnari.
Con una buona dose di coraggio, Campagnari, che è anche vicepresidente della locale associazione castanicoltori, ha deciso di trasformare in dolce crema una parte dei frutti raccolti nei suoi castagneti di località Sperane, affacciati verso il Garda.
Ottocento vasetti appena: giusto un esperimento. Ma è comunque un segnale di qualcosa che finalmente si muove nel mondo agricolo baldense.
"Prima o poi qualcuno doveva incominciare a trasformare i marroni. Ci ho provato io" dice semplicemente Campagnari.
E le cose le ha fatte per bene. Ha scelto i frutti migliori, quelli che, se fosse già stato approvato il disciplinare comunitario (per ora ha superato l'esame italiano), potrebbero fregiarsi del marchio di tutela europeo. Li ha affidati alle mani esperte di Silvia e Daniele Savi, titolari della trattoria Montecurto di Lavagno, famosi per le loro confetture, vendute anche su internet. Gli ingredienti della marronata? Semplice: marroni di San Zeno e zucchero di canna, nient'altro.
In realtà, la crema di marroni di Simone Campagnari si scosta un po' tipologicamente dalla vecchia marronata dei Vivaldi. Quella era più compatta: la si vendeva in panetti nel cartone, oppure in pani di più grossa taglia, che i negozianti affettavano.
A crearla furono Felice Vivaldi e il figlio Vincenzo nel 1933.
"La marronata", raccontava qualche anno fa il cavalier Vincenzo, " ha avuto un'origine un po' fortuita. Leggemmo su un vecchio libro una ricetta popolare che ci incuriosì. Ci mettemmo ad elaborarla, sbucciando castagne e facendo prove su prove finché il prodotto ci soddisfece. Ne preparammo qualche chilo e partimmo per Brescia, dove ci toccò pregare una burbera titolare di un negozio perché facesse assaggiare la nostra invenzione ai clienti".
L'esperimento andò benissimo. "Infatti", aggiungeva Vivaldi, "ritornammo e la signora ci ordinò un quintale di marronata".
I Vivaldi salirono sul monte Baldo, acquistarono altre castagne e si rimisero all'opera. In breve fu necessario assumere personale, quasi tutte ragazze di Bardolino. Arrivarono ad avere sessanta dipendenti e a produrre mille quintali di marronata. La produzione continuò fin verso il 1970. Poi la marronata scomparve dalle tipicità del Baldo Garda.
Ora è tornata, per merito di un giovane castanicoltore: che sia l'inizio di una svolta?
"È importante che i nostri agricoltori mirino sia alla qualità del prodotto che alla sua trasformazione, per acquisire quel valore aggiunto che permetta loro di trarre redditività dalla montagna", sottolinea il sindaco di San Zeno Cipriano Castellani. A volte l'integrazione di reddito può venire anche da un vasetto di ghiotta confettura.
Angelo Peretti da L'Arena del 5 febbraio 2003
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