Lo ghiotte poesie del cibo e del vino | |
I sonetti del Rava | |
Ossi de porco Ossi de porco? N'alimento san Che le contempla ormai tute le diete I fa ben par la prostata,el diabete E no so quanti mai altri malan Con el colesterolo po' i va a nosse Specie se te ghe roseghi ben l'osso E te ghe meti sora del sal grosso Ma che sia pronte sempre lì le bosse Ossi de porco? N'alimento antico El le smorfiva Cesare a le Galie Dopo che avea finì le so batalie Pai legionari l'era un pasto rico Si insoma i ossi i merita un poema E nojaltri che semo i so cantori Emo fato stasera proprio i siori Emo fato stasera na gran çena Franco Ravazzin Torna a inizio pagina |
Il risotto col tastasàl e i brigàldi "Nella preparazione dei salami da insaccare, tastasal era chiamato l'impasto di assaggio, per conoscere il giusto grado di salatura e pepatura. Usando questo impasto nel riso, era facile riconoscere il giusto punto di preparazione della pasta, prima di procedere alla confezione dei salami" (Capnist ). E "con il risotto al tastasale si celebrava la festa del baldachìn, la fine delle giornade del porco: è la festa domestica del maiale" (Coltro). Sul "baldacchino" in cantina venivano appesi i salami, e in cucina si metteva a cuocere il risotto. Si chiamano brigàldi nell'entroterra del Garda veronese i sanguinacci fatti col sangue del maiale. Si tratta di uno di quei piatti della tradizione contadina che cambiano denominazione al mutare dei luoghi (sulla riviviera bresciana del lago sono ad esempio identificati col termine di sanc brugnì). È peraltro da annotare che lo stesso nome usato in terra veronese lo si ritrova anche in area roveretana, nonostante il sanguinaccio in dialetto trentino venga in genere chiamato brust (Bertoluzza). E questo a probabile riprova della forte influenza veneto-veronese nel tratto meridionale della provincia di Trento. |
Cavolo o brocolo? Ci cavolo elo el cavolo? Elo cusin del brocolo? Ricordo che el me avolo Disea "...na scarpa e un socolo" Iè çerto un po' parenti Con lori te camini Però… iè difarenti Forsi sarà cusini... Ma mi sto gran dilema Me lassa un po' perplesso Me son postà el problema Però ve lo confesso Che ancora no capisso Ndò l'è la difarensa Anca se me scugnisso No trovo la sentensa Ho verto la Treccani Çercando su sta pianta Ghera dei nomi strani E ben çentoçinquanta Le specie coltivade : capusso,verza,rapa iè tute… cavolade de qua no se ghe scapa! A dirla fin in fondo Ghò ancora da capir, par quanto gira in tondo par mi la va a finir che forsi un po' me incavolo che forsi tiro un mocolo! No ghò capido un cavolo No ghò capido un brocolo. Franco Ravazzin Torna a inizio pagina |
CASTAGNARO. In piazza Dante il cavolo è uno spettacolo. Domani sotto il palatenda a «Percorsi d’arte e di gusto» Da L'Arena di sabato 12 ottobre 2002 Castagnaro. Domani alle 15.30, sotto il palatenda allestito in piazza Dante si conclude la manifestazione «Percorsi d’arte e di gusto 2002» ideata dalla fondazione Aida/Centro di produzione teatrale di Verona, con il contributo della Provincia e in collaborazione con la Camera di commercio di Verona. Si tratta di un progetto itinerante che unisce la promozione della cultura letteraria alla valorizzazione delle produzioni agricole e alimentari più caratteristiche della provincia. Il calendario propone, infatti, un viaggio tra zone di coltivazione e di produzione di prodotti tipici (vino, cavolo, mais, riso) che ospiteranno incontri con artisti, scrittori, musicisti e attori, a cui seguiranno momenti di degustazione delle specialità locali. Protagonista di quest’ultimo appuntamento aperto al pubblico è il cavolo, ortaggio a torto relegato nella cucina povera dei contadini. Sarà lo spunto di un dialogo tra lo scenografo Gino Pellegrini, la macchietta del noto personaggio veronese del Duka Rava e il giornalista Angelo Peretti, fiduciario della condotta del Garda Veronese di Slow Food. Attraverso il dialogo emerge che il cavolo e le sue cultivar sono oggi protette dal marchio del Consorzio di Tutela che comprende una vasta area agricola il cui centro è Castagnaro e che nascere nell’orto, magari sotto un cavolo, era un abbellimento in gran voga nella ginecologia dei tempi passati. Gino Pellegrini ha scelto il cavolo come spunto per una delle sue celebri realizzazioni scenografiche. |
La cusina dei Scaligeri, secondo Dante e secondo mi Ma, se magnava ben soto la Scala? Sentendo Dante, par proprio de si Parchè Cangrande Lu el l'ha definì Come "primo rifugio e primo ostello" No voi pensar ch'el n'ha contà na bala L'era in esilio e l'era sensa schei Forse lu l'ha magnà "polenta e osei" S'el dise "...Su la Scala, il santo uccello" Riferido al Signore de Verona. Forse el volea "fagioli all'uccelletto" Il cinghiale, la manza o il c..apretto E alora, el vero sior, quel de la Scala (ché Cangrande, no l'era çerto mona) a lu ch'el se sognaa la ribollita el ghà servì pearà, quela che pita L'ebbona... ovvia, maremma maiala! Po', forse, i ha discusso sora el vin Dante, cissà, el se spetava un Chianti Par trar ispirassion par altri canti Ma Cangrande, che l'era proprio figo El ghà fato tastar el Bardolin Po' n'Amaron de la Valpolesela De quei che fa sognar la camporela De quei che po' te lassa sensa intrigo Si insoma, la cusina el l'ha gustà (e forsi el s'ha ispirà pal Paradiso) Cangrande, sul caval, col so sorriso El ghà spiegado la "…diritta via..." L'ha magnà, l'ha beù e l'ha ciavà E ne l'esilio l'ha trovado svago L'ha lassà dissendenti a Gargagnago E a mi lo spunto par sta poesia…" Franco Ravazzin Torna a inizio pagina |
Dante Alighieri e la Valpolicella Dante Alighieri visse a Verona, alla corte degli Scaligeri, alcuni anni del suo esilio. Suo figlio Pietro acquistò nel 1353 la possessione Casal dei Ronchi a Gargagnago, nel cuore della Valpolicella. Dopo venti generazioni, la casa e i terreni sono tuttora di proprietà di un discendente del poeta, il conte Pierlavise Serego Alighieri. La villa è sede di un'azienda agricola produttrice di eccellenti vini (c'è tra l'altro uno straordinario cru di Amarone, il Vaio Armaron), miele, confetture, grappa, olio d'oliva, condimento balsamico, riso. La foresteria è stata adibita a residence con otto appartamenti, sale per convegni e strutture per la degustazione di cibi e vini. A curare la supervisione tecnica e la distribuzione dei prodotti delle Possessioni Serego Alighieri è la Masi, affermatissima azienda vinicola della Valpolicella storica. La Masi ha anche istituito un prestigioso premio per la civiltà veneta, attribuito ogni anno a personaggi famosissimi della cultura, dell'arte e dell'economia, premiati con una botte di Amarone. La cerimonia si svolge nella pieve di San Giorgio di Valpolicella. per informazioni: www.seregoalighieri.it www.masi.it |
A Giovanni Rana El gh'à fregà le suche ai veronesi El gh'à fregà el salmon ai norvegesi L'ha debutà con Marilyn Monroe L'ha catado al Cremlino Gorbaciov El ghà contà rosarie ai sete nani L'è stado un faraon dei egissiani Dei tortellini l'ha fondà n'impero Che ormai conosse tuto el mondo intiero Scominsiando a impastar, prima de sveja Nel panificio de la so fameja Par rivar al traguardo che consola: El tortelin, par tuti, su la tola! E se stasera el firma sto Registro Lu che ormai de cusina l'è un ministro Cressarà ancor de più la so gran fama! L'era un girin, l'è deventado RANA! ...ma i Paladini, qua, de Cà Montagna Speta i 'sfogliavelo' a la castagna! Franco Ravazzin Torna a inizio pagina |
Il re del tortellino si inchina alla castagna La Compagnia de la castagna, presieduta dal Gran paladino Marco Bisagno, ha invitato ad entrare nel novero degli appassionati dei marroni del Baldo anche Giovanni Rana, il re del tortellino. Nel corso di una serata informale svoltasi al ristorante La Casa degli Spiriti, Bisagno ha consegnato a Rana la commenda della Compagnia, impreziosita da una scultura in terracotta di Pino Ferrari, artista di San Zeno di Montagna. O meglio, più che di commenda, si deve parlare di «Gran cordone dei paladini», secondo la definizione coniata dal cerimoniere della Compagnia de la castagna, Gino Abati, che ha pure raccolto la sottoscrizione di Giovanni Rana sull’historico registro (un elegante librone in pergamena) della confraternita. Come in ogni incontro della Compagnia, poi, il cantore ufficiale del gruppo, Franco Ravazzin, ha composto versi d’occasione. Stavolta erano ovviamente dedicati all’illustre ospite che, «l’era un girìn, l’è deventado... Rana!» da L'Arena del 29 dicembre 2000 per informazioni: http://www.rana.it/ita/home.htm |
El bacalà Ch'el sia a la vicentina, mantecato Ch'el sia bianco, el sia rosso, el sia impanà Mi digo che a sto mondo no ghè piato Più bon de la polenta e bacalà Par questo, provocado nel gargato Mi meto in rima sta specialità Che Dante me perdona sto pecato Decado proprio da golosità Son sicuro però del so bon ocio Parchè i golosi lu el te ià cassà A l'Inferno, la zo, drento nel pocio Ma l'era pocio bon, de bacalà L'è un pesse che diria quasi de lusso Parchè l'è un pesse proprio navigà El nasse ch'el se ciama anca merlusso El more ch'el se ciama bacalà Tiremo in pressia alora via i paneti Che riva la polenta brustolà E che in sta gran disfida tra poeti El vinsa ancora lu: el BACALA' Franco Ravazzin Torna a inizio pagina |
Se el lago el fusse pòcio "Se el lago el fusse pòcio e 'l Baldo de polenta, òi màma che pociàde: polenta e bacalà": dice così un motivetto, mutuato da altri luoghi, in uso nell'area benacense. Il ritornello vagheggia un Paese di Cuccagna costituito da un Monte Baldo trasformato in polenta fumante e da un lago di Garda visto a mo' di teglia piena di bacalà coperto d'olio. Il che la dice lunga sulla considerazione che anche sulla riviera pescaóra godeva e gode il bacalà. Lo stesso pranzo annuale della Corporazione degli antichi Originari di Garda, depositaria dei diritti su alcuni tratti partico-larmente pescosi di lago acquisiti nel lontano 1452, ha come piatto d'obbligo polenta e bacalà. C'è peraltro da dire che i gardesani, così come accade un po' in tutto il Veneto, sono convinti di mangiare baccalà e invece consumano stoccafisso. In terra veneta, infatti, si attribuisce erroneamente il nome di baccalà al merluzzo sventrato, decapitato e poi asciugato fino a farlo diventare duro come un pezzo di legno, tanto da dover essere battuto e bagnato a lungo prima di cucinarlo: lo stoccafisso, insomma. Il vero baccalà è il merluzzo conservato sotto sale, pressoché sconosciuto fra le genti venete. Ma, come scrive Giorgio Gioco, "è tutta questione di intendersi". da "La cucina tradizionale del lago di Garda. parte II" Vai al sito della Confraternita del baccalà www.baccalaallavicentina.it |
El kanederlo …Pensa ti! Stentava a credarlo ma che bon che l'è el kanederlo che na olta,pressapoco l'era un po' el… Papà del Gnoco Però dopo l'anession Quando che ha cambià paron Tuto el Veneto e Venessia Eco el gnoco che de pressia Ha slargado la barriera Con so pare oltre frontiera I se ghà guardà in cagnesco El talian con el todesco Po' però i ha fato pase E l'è questo che me piase Gnoco, dai, senti to mare uto dirghe su a to pare? Tuti du sì nati infina Da na mare: la farina Fasì pase dai de novo Parchè vostro pare, l'ovo Dise che, su tuti du Ghe stà giusto si anca lu! E mi alora qua me s-gionfo Col kanederlo in trionfo Fato ben, belo impastado Tuto tondo l'è imburado Con el speck fato a tocheti O altre spessie che te meti! ...da doman, voj magnar poco ...me consolarò col gnoco! Franco Ravazzin Torna a inizio pagina |
I canederli Knödel è il nome tedesco del canederlo. Significa gnocco. E i canederli sono, in effetti, delle specie di grossi gnocchi di pane vecchio arricchiti da speck o salame. "Ma è errato credere che sia una ricetta eslusivamente tedesca - scrive Aldo Bertoluzza -, perché erano in uso anche in diverse regioni italiane sin dal 1500". Si dice si tratti d'una ricetta d'origine boema. Oggi sono un emblema della cucina dell'area trentino-tirolese. Hanno, come s'è visto, origine antica. Lo stesso Bertoluzza riporta in un suo pregevole volume - "De Coquina", edizioni UCT di Trento - la ricetta di certi canederlotti di vitello cinquecenteschi d'area trentina. La formula del Cinquecento prevede di prendere carne di vitello cruda magra e pane fatto ammollare nel latte: il tutto va pestato nel nortaio, ammorbidendo con del burro sciolto e aromatizzando con noce moscata. Si regola di sale e si amalgama il tutto con le uova, formando grossi gnocchi da cuocere nel brodo. La ricetta Per fare dei buoni canederli occorre dell'ottimo pane. Prendete dunque del pane bianco raffermo di buonissima qualità e tagliatelo a cubetti. In una ciotola abbastanza capace, sbattete le uova col latte, regolate di sale, insaporite con un pochettino di noce moscata e poi uniteci anche il pane, che lascerete ammolare per circa un quarto d'ora. Nel frattempo, tagliate a dadolini un paio d'etti di speck ed eventualmente anche mezz'etto di salame. Unite i salumi al composto di pane ed amalgamate il tutto per benino, aggiungendoci anche dell'erba cipollina e del prezzemolo tritati finemente. A questo punto, infarinate il tavolo della cucina (o una spianatoia), adagiatevi sopra l'impasto e dividetelo in parti uguali. Infarinate le mani, perché il composto non s'attacchi, e modellate alcune palle a mo' di grossi gnocchi rotondi: sono i canederli, appunto. Portate ad ebollizione dell'ottimo brodo di carne e buttateci dentro i canederli, facendo cuocere a fiamma bassa. Dovranno andare avanti grosso modo una ventina di minuti: quando saranno pronti verranno a galla. Potrete servirli in brodo, oppure anche asciutti, condendoli con erba cipollina tritata e burro fuso. |
I vini di Patty | |
Gruss d'Alsazia (traminer aromatico) Sensazioni Seduta a una tavola ben preparata, eccitata dall'atmosfera di libertà, di fronte a me il Lago di Garda contornato da nuvole pannose infuocate dal rosso tramonto del sole della sera. Il tavolo di cristallo mi lascia perplessa, mi manca l'amata tovaglia: le forchette stridono a contatto con il vetro. Penso: farò attenzione. Il lieve malessere è pacato dall'opera d'arte: il vetro sottostante racchiude un antico portone di legno intarsiato dalle vecchie odiate tarme e dal sapore di tante vite vissute. Il contrasto è gradevole. Di lì a poco ci raggiunge il padrone di casa, il fautore della serata, il maestro dell'abbinamento. Con gentilezza e determinazione ci "obbliga" a prendere atto della carta dei vini. Quasi volesse affermarsi. È tutto inutile tanto decide Lui! Eccolo! È arrivato con tanto di presentazione: patè di fegato farcito da mandorle. Sublime. Il palato gode. Il piacere della tavola che mia madre mi ha trasmesso prende forma. La prima mescita : Gruss D'Alsazia. Una flebo di sottile pazzia. Ho sempre invidiato gli artisti ! Loro possono permettersi tutto o quasi. I profumi diventano musica e un onda piena mi riempie la bocca, mi bagna il viso e poi il resto del corpo …. Fragranze…. E raccolgo dal mare creta fresca che senza fatica modello. Per pochi istanti la pazzia dell'arte; pochi istanti dopo la fusione con la cultura, con le radici della terra, con il sapere recondito e con il sapere della tavola. Avrei voluto raccontare lì, le mie emozioni ma ho avuto paura Patty Garneri Torna a inizio pagina |
Patrizia Garneri L'autrice delle poesie "enoiche" raccolte in questa pagina è Patrizia (Patty) Garneri. Le ha presentate a "Poesie al muro", una simpatica e ben riuscita iniziativa culturale realizzata fra maggio e giugno 2001 a Garda da Adriano Foschi, artista-pittore, in collaborazione con la locale biblioteca comunale. La prima racconta d'una cena al ristorante Vecchia Malcesine di Malcesine, dove opera quel cuoco geniale che è Leandro Luppi. L'altra attinge ai ricordi evocati dal Rosso del Salento a base d'una di negroamaro. Patty ha notevole dimestichezza col mondo del vino di qualità. Ha gestito infatti con Mauro Fiorentini l'ostaria Can & Gato di Garda. Una vecchia osteria trasformata in wine bar dove si fa musica e cultura e si bevono vini eccellenti. Ora ha scoperto la propria vena poetica. Il suo è uno scrivere atipico, senza dubbio. Ma che coglie nel segno. E sa raccontare. Evocare. Per questo le abbiamo chiesto di consentirci di mettere i suoi lavori a disposizione dei navigatori del nostro sito. |
Negroamaro Rosso del Salento (vino del Salento) Ricordi d'infanzia Tutt'attorno campi coltivati a grano e erba spagna; il verde e il giallo oro raccolgono l'insieme del mio essere che vaga nelle sensazioni della corte: ghiaia: sassolini di ghiaia scombinati, irregolari con le chiazze di terra battuta e poi il verde di altri campi ad est della casa. Eccola! È lei la casa dai mille profumi. I balconi sono verdi,un verde chiaro, schiariti dal sole, un po' scrostati. Così è il portoncino d' ingresso. È giallina o forse no, forse non è mai stata tinteggiata. Un gradino di pietra, liso dalle pestate di scarpe appesantite dalla terra segna il cammino d'entrata: di fronte la scala anch'essa di pietra s'inerpica ripida. Sulla destra la cucina. Quanti odori! Il pavimento trasuda l'odore del sudore, dei silenzi della stanchezza della zappa; del vino fresco, quello vero di campagna, della stufa. La stufa a legna che è ancora calda dal cibo del pranzo. La stanza dalle mura spesse è stranamente fresca nonostante la temperatura fuori sia calda, secca, sana. La zia Nora eccitata dalla nostra visita ci offre orgogliosa un salame. Sulla tavola in granito i bicchieri da ombretta con il vetro grosso e liscio e a noi bimbi chissà, forse era spuma. Mi guardo attorno e silenziosa annuso l'aria e lì, costruisco i miei sogni futuri. Sento di far parte di quelle radici contadine e corro in corte a raggiungere mia nonna e insieme andiamo a raccogliere i pissacani. Patty Garneri Torna a inizio pagina |
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Il Baldo di Giannetto Aloisi | |
La festa de le castagne A San Zê i fa la festa de le castagne, bravi i organisatór a onorar el fruto de le só montagne. Soto el capanô i brostóla le castagne perché i ospiti i le magne; ma da qulche an có 'ste stagiô che fa, no le maùra e quei che le vendi i fa bruta fegùra. L'an pasà i l'ha brostolè i alpini: tanti marsi e picenini; st'an i l'ha còti i produtóri dirèti: tri marsi e do discrèti. Le uniche che a taiàrle le parìva bóne, le era quele dei Giabenî, na rasa che vê dal Giapone. Fa onôr érghe ìl marchio doc e dop e i riconoscimenti europei, ma bisogna sèrnerli polìto e vender i marô pu bèi. Se sentiva tanti a lamentarse che le castagne le è marse, e gh'era tante lamentele: le castagne no le è mìga bèle! Per fortuna che a completar la festa è rivà le magiorèt co la fanfara 'n testa; quande le è rivè en sima la pista, anca quei che ghe vediva pöc, ghe s'ha s-ciarì la vista: gambe per aria a ne fenir, la zén no i sàia pu che dir; a veder serte rotasioni de sti bei culeti santi, i ha desmentegà i marô e contenti i aplaudiva tuti quanti. Giannetto Aloisi, 2002 Torna a inizio pagina |
Giannetto Alosi Giannetto Aloisi è nato a Pai di Torri del Benaco, dove viva dal tardo autunno a tutto l'inverno, trasferendosi poi, per la bella stagione, a Borno, pivccola contrada del comune di San Zeno di Montagna. Impresario edile in pensione, è uno dei più esperti conoscitori del Monte Baldo, della sua flora e della sua fauna, che ha immortalato in centinaia di fotografie. È un profondo cultore delle tradizioni montebaldine. Ama intagliare bastoni da passeggio nei rami raccolti nei boschi baldensi. Da qualche tempo si dedica anche alla poesia dialettale, con una schietta vena satirica. La festa delle castagne di San Zeno di Montagna La festa delle castagne con l'annessa mostra mercato dei marroni a San Zeno di Montagna si svolge, per tradizione, nel primo fine settimana di novembre, oppure nel secondo, se quello precedente coincide con la festa d'Ognissanti. La si faceva già in tempi andati, questa sagra. Qualche fotografia d'epoca fascista mostra la sagra delle castagne in pieno svolgimento. Passata la guerra, la festa ha assunto il ruolo di mostra mercato del marrone: l'hanno rifondata, più di trent'anni fa, e oggi è un appuntamento immancabile in terra baldense. |
I Lumìi e la Madòna del Castagnàr I m'ha més chì sóto na bèla piànta, sò riparà dal frét e dal càlt e d'istà gh'è tanti bèi oselec che canta; a star chi véde la via en fónd al prà, véde tùti quei che pàsa e va sul monte Bald e a la sera i torna vèrs la cità. Véde i contadìi che pàsa col tratór, a l'autùno pàsa de córsa i casaór, qualchedùni i me vàrda e i se léva 'l capèl, entàn ch'él vàrda 'n de gh'è 'l patrô, per portàrghe via qualche maró bèl; a star chi véde tuti i posti de la tèra, véde ànca i putèi che va 'n guèra, véde quéi ferìi destési per tèra, véde quéi che piànsi e che me invòca, qualchedùni da la disperasiô el me tìra qualche òca, ma mi capìse e benedìse tùti, ànca quéi che nó préga e che nó mé ciàma, perché mì sò de tùti la só màma; ànsi vé digarò de pù: le misèrie le ho viste a pasàr col mé Gesù! I mé ciàma Madòna de la Coróna, Madòna de la pàce o Madòna col Bambinèl, ma per mi ogni nòm l'è bèl; ciamème tùti col nòm che ve par, ma me sénte conténta quande ai Lumìi i me dìs Madòna del Castagnàr. Giannetto Aloisi - 15 agosto 2003 Torna a inizio pagina |
La Madonna del Castagnàr Sul Monte Baldo, in località Cà Longa, nei pressi della frazione di Lumini, nel comune di San Zeno di Montagna, una nicchia ricavata nel tronco di un secolare castagno custodisce una statuetta della Vergine: è la Madonna del Castagnàr. Davanti al tempietto incassato nel grande albero si celebra a ferragosto una Messa all'aperto. Poi, sui prati, si mangiano risotto e polenta e salame. Fosse ancora vivo, Fortunato Tomei, semplicemente Nato per chi lo conosceva, sarebbe commosso a vedere tutta la gente che va alla festa della Madonna del Castagnàr. Perché pare sia stato lui, il Nato, caprinese della classe 1895, l'iniziatore mezzo di quella devozione mariana. Era solito recarsi a fare una scampagnata da quelle parti. Una volta, probabilmente attorno al '56 o al '57, fra l'erba trovò un santino della Vergine. Lo ripose nella cavità che un fulmine aveva scavato in un maestoso castagno. Ogni tanto ci tornava a recitare un'avemaria. Pian piano si unirono degli amici. Com'era apparso, il santino un giorno sparì. Nato Tomei lo sostituì con una statuetta dell'Immacolata. Nel frattempo questa sorta di capitello era divenuto caro ai malghesi che passavano di lì per andare a cargàr la montagna, a portare le vacche al pascolo sul Baldo. Lo staffolo era diventato la Madonna del Castagnàr. Scomparsi i "fondatori" e cambiati gli itinerari dell'alpeggio, la devozione per la Madonnina deposta nel tronco del castagno andò affievolendosi. Finché nel 2000, in occasione del Giubileo, la comunità di Lumini non decise di rivitalizzarla. |
El pér sachét có la polénta Él pér sachét l'è tóndo e gròs, él pésa fin a 'n chìlo nèt, i lo metìva 'n la carta dal sùcher, quéla colór blù, e, sul föc có la séndre càlda, i lo cuertàva su. Quande él s'enfilàva có l'ùcia da calsét, volìva dìr che l'éra pronto e l'éra còt perfèt; i lo taiàva a féte, co l'òio, asédo e pévre, e 'n pisighét de sàl fìna, i lo magnàva có la polentìna. I magnàva de gusto sta pastùra e có la pànsa piéna i ghé molàva 'n bùs a la sentùra. I strosolàva la mànega sul barbùs, e si sfregolàva le màa, e i disìva "Signôr ve ringràsio, ancô ho fàt na bèla magnàa!" Quande n'òm él màgna de gùsto e él se conténta, l'è bô ànca 'l pér sachét có la polénta. Giannetto Aloisi - ottobre 2003 Torna a inizio pagina |
Quando si mangiava il pero sacchetto Un tempo fra Pai e San Zeno di Montagna era coltivato il pér sachét, il pero sacchetto, grosso, tondeggiante, pesante anche un chilo, ma quasi del tutto insapore e spesso allappante. C'era chi lo avvoltolava nella carta da zucchero e poi lo metteva a cuocere lentamente nella cenere tipeida. Era cotto quando lo si poteva passare da parte a parte con un ferro da calza. Lo si condiva con olio, sale e pepe e costituiva un gradito companatico all'eterna polenta. Oggi la varietà del pér sachét è quasi scomparsa dalla zona. |
La Valpolicella di Ernesto Bussola | |
Poli Cella Poli cella come a dire tante cantine in valle fin dall'antico quindi qui s'è fatto vino Pan Bacco e Sileno erano di casa e sulle aie i baccanali vi si svolgevano annui ove le Arianne e le figlie di Lot mescevano danzando fra fauni ninfe e cupidi ché i dardi scoccavano rapidi fra un banchettare un bacio ed un sorso ad esaltare il vivere Ernesto Bussola - 17 settembre 2002 Torna a inizio pagina L'ua da recioto Sora l'arela come monega en cela oltà sul taolasso la bela ormai da mesi se purga i bagordi e strapassi, beude e spegassi Smagrando la pansa se strina la pel par dentar piassè tardi ne la vita nova essenza de sucaro e sol regalando a omeni e done boresso e alegria ciamandose dopo de Valpolicella Recioto Ernesto Bussola - Dicembre 2000 Torna a inizio pagina Ha il profumo di una bella signora Ha il profumo di una bella signora il Recioto, sontuosa austera, come di rosa preziosa dentro la serra. Il nome maschile è insulto. È una donna formosa in guanti e veletta sui quaranta, piacente gentile, di profferte allettanti Se t'invaghisci è finita divieni un amante fedele Dosando amplessi assapori il bouquet, le grazie e l'armonia che ci dona lussuria, consuma Ernesto Bussola - 25 agosto 2002 Torna a inizio pagina Rondò dell'Amarone Con voce baritonale il signore sobrio di poche parole medita prima, virile e quel che dice ha valore Garbato si concede elegante ed accompagna silente con voce baritonale il signore sontuose dame in serate Centellinato esprime regale il massimo suo estro e fulgore e si compara in annate altre amorevolmente suadente con voce baritonale il signore Ernesto Bussola - 18 settembre 2002 Torna a inizio pagina In verde e rosso di velina Dopo la luppia e l'erba saetta sul ciglio del dirupo l'ambrogano che sa d'incenso urla Nella terra de desquerta è fiorita primavera grassa in verde e rosso di velina In crepe, fongare, creta ocra aspetta d'esser colta ma oramai manco sasso pregiato è cavato più In luoghi di dolore stati e speranza sì, ma neanche l'interludi ora più si sanno rammentando i sentieri occlusi di sterpi prevaricanti escludendo ai superstiti quel ch'è stato di dove molti son partiti I colori ora infatti sulla roccia son scipiti abbruniti nella patina del tempo Ernesto Bussola - 3 gennaio 2001 Torna a inizio pagina Papaveri En pochi scarmenè en giro par el campo en gran macion envesse unito sul cumulo de tera de riporto. Ciari, sbiai e magri n'do ghera la tera bianca seca coi crepi de la suta, grossi e spessi n'do l'è scura. Come vele al vento nel sol de giugno i vibra come carte veline trasparenti, sormontè en serti posti fa pì rosso, en altri se ghe vede fora. Ci sa parché pensando a la freschessa a la delicatessa sì ma forte, a l'amor ensoma, mi penso a lori, ai papaveri rossi nel sol de primaera. Ernesto Bussola - 9 giugno 1981 Torna a inizio pagina Novare Il sentiero circoscrive brolo e bosco con muraglioni e piante poi uno lo penetra deciso L'avvicinarsi alla stradina grande produce un delta di rametti di sterrati come se verso la fine tutti impazienti cerchino lo sbocco loro congeniale come le formiche Ernesto Bussola - 9 marzo 2002 Torna a inizio pagina Amarone e contrasti Far na bela sena o en pranso importante con la sola acqua en tola l'è farghe far el fante al re Come bastonar l'aria o le pocie parlar con uno ebete magnar quan te ghe sono e viceversa o quan te se sopo far le corse El giusto vin par ogni cibo l'è come el vestito entonà a le scarpe o la gravata a la camisa Ma anca el contrasto funziona dolso-duro, grosso-secco Amarone col pesce altroché, a esaltarli i saori Ernesto Bussola - 20 settembre 2002 Torna a inizio pagina Sonetto al Superiore Non possiede esagerazioni semplicemente una pagina in bella carattere tondo, un Bodoni stampato con torchio a stella Su carta a mano e scansioni calibrature composte nella spaziatura vuoto o pieno bene alternati esemplari a tiratura limitata Firmati appesi ai tuoi pensieri come cosa buona in cantina dona sicurezza tutti i giorni Sapere di averlo il Valpolicella Superiore in attesa di occasioni ma pure per la bevuta quotidiana Ernesto Bussola - 20 settembre 2002 Torna a inizio pagina Era festa La preparava la sera prima quella bianca trasparente L'indomani, domenica di solito come in un antico rito Mio padre prendeva la roncola e un legnetto, lo faceva puntito Poi col trivellino praticava foretto spillando il primo in silenzio Conficcava il legnetto a ostruire e lo tagliava a filo doghe Ribatteva col martello e finalmente lo guardava Scrollava un po' la testa l'assaggiava e sorrideva da una parte con fare furtivo quasi sempre Alla mia attesa faceva un cenno con la testa dicendo: è pronto Ed era presto festa Ernesto Bussola - 22 settembre 2002 Torna a inizio pagina |
Nelle poesie di Ernesto Bussola Si intitola «In verde e rosso di velina» il volumetto che raccoglie le poesie a soggetto «valpolicellese» di Ernesto Bussola. L'edizione è del «Il Segno» dei Gabrielli editori di San Pietro in Cariano (Verona). A curare la pubblicazione è stato Franco Ceradini, instancabile promoter dell'arte poetica: è a lui che dobbiamo le selezione delle dieci liriche che riproduciamo sul nostro sito. Qui di seguito la prefazione dello stesso Ceradini tratta dal libro. La terra ha un suono, un colore, una voce. Si stratificano nella Valpolicella i segni delle ere geologiche e quelli, più recenti, del lavoro dell'uomo. L'ondulato andamento delle colline, punteggiate di cipressi e di olivi, lo scuro delle forre, il verde snodarsi delle schiene dei monti che salgono con leggerezza, nell'alternarsi delle vigne e del bosco fino a farsi prato, Lessinia. Nella poesia di Ernesto Bussola - poesia di parola, poesia di immagini, dipinto - sono presenti filoni diversi: chi ha ammirato gli affreschi dedicati alla vita dei Tajapiere, o ha avuto la fortuna di leggere, di ascoltare dalla voce dell'autore le composizioni di impegno civile, le poesie politiche, i ritratti dal vero di uomini e donne di Valpolicella, chi ha avuto questa fortuna ritroverà nei lavori de In verde e rosso di velina la stessa ispirazione. Una voce non ipocrita. Non si nasconde la verità. Basti leggere poesie come Inverno, ritratto dal vero di una natura piegata: "Distese di viti allineate / ripiantate nuove con pali / in cemento a sostegno / non legni, non olmi / a intercalo né più nidi sui rami / Ora in inverno col sole / i fili di ferro brillano / distanti ben tirati / con sequenze dai retinici / effetti Optical-Art." Una natura in cui il "nero contorto prevale" e neppure la bella giornata "fa supporre / germogli e frutti che saranno." Vi è tuttavia del bello, nella nostra terra, qualcosa di indefinibile, differente da altri scenari - paesaggi boschivi e di viti come ve ne sono nel Chianti, nelle Langhe - rimasti più della Valpolicella intatti. Qualcosa che resiste nonostante le brutture, la trasandatezza, lo sciupio degli ultimi cinquant'anni. Un inscindibile armonizzarsi dei gesti dell'uomo nei ritmi della natura: le corti, le terrazze degradanti, le marogne, le strade che si arrampicano sulle falde delle colline, intrecciandosi con la fitta rete dei sentieri… Ma bello è anche il senso del lavoro ben fatto, l'attesa del maturare del vino, i gesti compiuti con scienza e ripetuti infinite volte, a farsi memoria., come in Valpolicella: "Cantine casali con l'uva / deposta sui caldi giacigli / a concentrarsi nei succhi / dopo un letargo di mesi / Sintesi di paesaggio / dai caratteri opposti / nel dolce e amaro / vellutato in schiettezza / anche di genti". Cantare tutto questo è un diritto. Ritrovare l'equilibrio, la grazia della vita e delle sue infinite variazioni, restarvi fedeli con dedizione ostinata, è quanto ci spetta come risarcimento, riparazione sia pure parziale dei guasti recenti. E poi, l'armonia dei versi, i tratti di una poesia-pittura che sembra non esaurirsi nella parola o nei colori, ma prolungarsi come luce del tramonto sulle cose, mettendone in risalto i contorni, le proporzioni; be', tutto questo va letto, sfogliato come qualcosa di prezioso. Franco Ceradini Torna a inizio pagina Clicca qui per leggere la recensione del volume di Ernesto Bussola scritta da Franco Ziliani per B!Vino Il volume «In verde e rosso di velina» di Ernesto Bussola può essere acquistato presso Franco Ceradini - via Longobardi, 24 - 37029 San Pietro in Cariano (VR) - 045 7703890 - 347 2638322 |
Il Lugana di Ernesto Bussola | |
Bianco d'arenile Serra in sé giovialità e morbidezza ch'è quella dei natali, geni gardesani in piccola oasi orientale. Un programma di amenità blandizie e sole raddoppiato per la specchiera azzurra che riflette in pelle e corpo umori. Vin de sable lo chiamerebbero i francesi, noi Lugana bianco secco d'arenile aperitivo e pesce i complementi ma pure con dessert particolare. Maggiorenne caldo e giovanile il convivio è alto classe già assicurata per la scelta ch'è tutto dire, a maggioranza. Disattesa spesso perché poco. Nicchia. Ernesto Bussola - 6 febbraio 2003 Torna a inizio pagina Lugana in corpo tondo Vivo d'aria e specchio linea e corpo tondo amato in sole doppio caldo. Vino di bagnasciuga secco di rena e limi di linfe e umori vivi. Privilegio di piccola plaga che appaga e si combina ai sofismi, gola. È il Lugana del Garda orientale. Che non ha comparazione. Ernesto Bussola - 7 febbraio 2003 Torna a inizio pagina |
Quelle liriche luganiste È con vero piacere che saluto la pubblicazione sul nostro sito delle nuove liriche «luganiste» di Ernesto Bussole, che sin qui aveva cantato le lodi dei rossi di Valpolicella. È gioiosa novità quest'interesse bianchista. È pur vero che ho sempre definito il Lugana un rosso che s'è travestito da bianco, tant'è considerevole la sua longevità ed ampia, potenzialmente almeno, la sua struttura. Però ne mancava chi ne descrivesse con guizzo ispirato l'essere, la natura. Oggi ecco che vi provvede quest'artista valpolicellese. E dunque prosit! Angelo Peretti |