CANI & SCRITTORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DISCLAIMER  

 

KAREN BLIXEN 

(1885-1962)

 

Karen Blixen (al centro nella foto) 

in Kenya

 

 

Scrittrice danese. Visse in Kenya dal 1914-31. Al ritorno in Danimarca scrisse sotto vari pseudonimi (tra cui quello di Isak Dinesen). Tra le sue opere:  "Sette storie gotiche" (1934) ,  il libro di ricordi    " La mia Africa"  (Out of Africa, 1937) pubblicato originariamente in inglese, cui  seguirono i "Racconti d'inverno" (1942) e l'autobiografico "Ombre sull'erba" (1960). Karen Blixen morì nel 1962 a Copenaghen.

 

 

 

dal film di Sidney Pollack  "La mia Africa" (1985)

Meryl Streep nel ruolo di Karen Blixen con il suo cane 

 

"In Africa ho sempre avuto soltanto di quei cani bracchi scozzesi, grigi, col pelo ispido, che servono di solito per la caccia al cervo.

E' la razza più nobile ed elegante che esista. Devono essere vissuti con gli uomini per molti secoli, per capire la loro vita e le loro abitudini e sapercisi adattare come ci si adattano.

Si vedono spesso anche nei quadri e negli arazzi antichi; dovunque si trovino, col loro piglio e col loro stile, tendono a trasformare l'ambiente in un arazzo.

Portano seco un'atmosfera feudale.

Il capostipite della mia tribù si chiamava Dusk; l'avevo avuto come regalo di nozze. Era con me quando avevo cominciato la mia vita in Africa: sul mio Mayflower per così dire.

Fiero e coraggioso, i primi mesi di guerra, quando facevo i trasporti per il governo con carri trascinati da buoi, nella riserva masai, me lo portavo sempre dietro. Ma qualche anno dopo fu ucciso dalle zebre. Quando presi in casa Lulu [Lulu è un cucciolo di antilope] avevo due dei suoi figli.

Il bracco si accordava benissimo col paesaggio africano e con gli indigeni.

Forse era l'altitudine che gli si addiceva, oppure l'armonia degli altipiani, sensibile in tutti e tre; al livello del mare, giù a Mombasa, pareva un estraneo.

Si sarebbe detto che il grande, scarno paesaggio di pianure, colline e fiumi non fosse completo senza i bracchi scozzesi. Grandi cacciatori, avevano più fiuto dei levrieri; ma la caccai la facevano a vista, ed era una cosa stupenda vederne all'opera due insieme. Li portavo con me quando andavo a cavallo nella riserva, benchè non fosse permesso; mettevano in fuga le zebre e gli gnu che si sparpagliavano per le pianure: era come se tutte le stelle ruzzolassero selvaggiamente per i cieli. Ma se, andando a caccia nella riserva, avevo con me i bracchi, non perdevo mai la preda ferita.

Anche nella foresta vergine erano in armonia, grigi fra le sfumature di verde cupo. Uno di loro, là, uccise da solo un grosso babbuino, e nella lotta si buscò un morso che gli mozzò il naso, sciupando il suo nobile profilo, ma tutti, nella fattoria, la considerarono una ferita onorevole, perchè i babbuini sono dannosi e gli indigeni li detestano.

Dotati di un'intelligenza eccezionale, i bracchi sapevano quali dei miei servi erano maomettani e non potevano toccare i cani. I primi anni avevo un fuciliere somalo di nome Ismail [...]. [...] Maomettano osservante, per nulla al mondo avrebbe toccato un cane, cosa che, nel suo mestiere, gli creava un sacco di preoccupazioni. Ma con Dusk fece un'eccezione: lasciava che lo portassi con noi nelle spedizioni sui carri trascinati da muli e gli permetteva persino di dormire nella sua tenda: sapeva che il bracco riconosceva i maomettani e non si avvicinava. Sul serio, mi assicurava: Dusk vedeva subito se uno era un vero maomettano. "Adesso ho capito", disse una volta. "Dusk è della tua tribù. Ride a tutti".

I miei cani accettarono il potere e la posizione di Lulu nella casa.

L'arroganza di quei cacciatori a lei faceva l'effetto dell'acqua pura.

Li spodestò dalla ciotola del latte e dal loro posto preferito davanti al camino.

Le avevo legato al collo un laccio con una campanellina, e ben presto si arrivò al punto che i cani, quando sentivano avvicinarsi attraverso le stanze lo scampanellio, si alzavano rassegnati dalle loro cucce calde accanto al fuoco, e andavano a sdraiarsi in qualche altro angolo della stanza.

 

[...]    Dovevo ormai decidere anche la sorte dei miei cavalli e dei miei cani.

Avevo sempre pensato di ucciderli, ma molti amici mi scrissero che sarebbero stati felici di averli. E ogni volta che uscivo a cavallo, seguita dai miei cani, non mi sembrava giusto ucciderli con un colpo di fucile: erano ancora così pieni di vita. Per molto tempo fui incapace di prendere una decisione, non ho mai cambiato idea tante volte. Alla fine scelsi di regalarli ai miei amici.

 

[...] I due giovani bracchi di allora, David e Dinah, figli di Pania, li diedi a un amico di una fattoria vicino a Gil-Gil: là sarebbero potuti andare a caccia quanto volevano. Forti e giocherelloni, fecero una partenza in grande stile in una macchina venuta appositamente per loro: col muso fuori del finestrino ansavano, la lingua a penzoloni, come eccitati dalla pista di una nuova e stupenda selvaggina. Quesgli occhi acuti, quelle zampe veloci, quei cuori pieni d'ardore, lasciavano la casa e la pianura per recarsi a scorrazzare, felici, in altri luoghi."

 

 

 

dal libro "La mia Africa" di Karen Blixen, traduzione di Lucia Drudi Demby, Milano, Feltrinelli, 1987

 

 

 

* per la scelta e la trascrizione dei brani, ringrazio Raffaele :)

 

 

        

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