CANI & SCRITTORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DISCLAIMER  

 

 

ITALO CALVINO  

(1923-1985)

 

      

 

Giornalista, autore di romanzi e racconti. Tra le sue numerose opere narrative: "Il sentiero dei nidi di ragno" (1947), romanzo d'esordio di stampo neorealista, "Il visconte dimezzato" (1952), "Il barone rampante" (1957), "Il cavaliere inesistente" (1959) -la  "Trilogia" di romanzi fantastici e allegorici, poi raccolti nel volume "I nostri Antenati -, "La giornata di uno scrutatore" (1963), "Le cosmicomiche" (1965), "Ti con zero" (1968) "Le città invisibili" (1972), "Il castello dei destini incrociati" (1973), "Se una notte d’inverno un viaggiatore" (1979), "Palomar" (1983),"Fiabe italiane" (1956) una selezione di storie del folklore popolare di tutte le  regioni, "Marcovaldo" (1963) celebre libro per ragazzi, "Una pietra sopra" (1980)  interventi sul dibattito letterario dell’epoca, "Collezione di sabbia" (1984) prose sparse concepite per particolari occasioni. 

 

 

 

 

 

 

 

OTTIMO MASSIMO

 

 

 

Ne "Il Barone rampante" (1957) si narra la storia di  Cosimo Piovasco, barone di Rondò che, ragazzo, s'arrampica per una bizza sugli alberi, decide di non scendere più a terra e d'albero in albero caccia, combatte, studia, amoreggia e viene rapito da una mongolfiera.Tra i suoi compagni di avventura c'è anche un esuberante bassotto di nome Ottimo Massimo.

 

 

 

 

[…] Ma un necessario complemento umano gli mancava, nella sua vita di cacciatore: un cane.  […] Cosimo dunque andava a caccia quasi sempre da solo, e per recuperare la selvaggina […] usava delle specie di arnesi da pesca: lenze con spaghi, ganci o ami, ma non sempre ci riusciva […]

E quando udiva il latrato dei segugi dietro la lepre o la volpe, sapeva di dover girare al largo, perché quella non era bestia sua, di lui cacciatore solitario e casuale. Rispettoso delle norme com’era, anche se dai suoi infallibili posti di vedetta poteva scorgere e prendere di mira la selvaggina rincorsa dai  cani altrui, non alzava mai il fucile. Aspettava che per il sentiero arrivasse il cacciatore ansante, a orecchio teso e occhio smarrito, e gli indicava da che parte era andata la bestia.

Un giorno vide correre una volpe: un’onda rossa in mezzo all’erba verde, uno sbuffo feroce, irta nei baffi: attraversò il prato e scomparve nei brughi. E dietro: - Uauauaaa!- i cani.

Giunsero al galoppo, misurando la terra con i nasi, due volte si trovarono senza più odore di volpe nelle narici e svoltarono ad angolo retto.

Erano già distanti quando con un uggiolio: - Uì, uì- fendette l’erba uno che veniva a salti più da pesce che da cane, una specie di delfino che nuotava affiorando un muso più aguzzo e delle orecchie più ciondoloni di un segugio. Dietro era pesce: pareva nuotasse sguazzando le pinne, oppure zampe di palmipede, senza gambe e lunghissimo.

Uscì nel pulito: era un bassotto.

Certamente, s’era unito al branco dei segugi ed era rimasto indietro, giovane com’era, anzi quasi ancora un cucciolo. Il rumore dei segugi era adesso un – Buaf – di dispetto, perché avevano perso la pista e la corsa compatta si diramava in una rete di ricerche nasali tutt’intorno a una radura gerbida, con troppa impazienza di ritrovare il filo d’odore perduto per cercarlo bene, mentre lo slancio si perdeva, e già qualcuno ne approfittava per fare una pisciatina contro un sasso.

Così il bassotto trafelato, col suo trotto a muso alto ingiustificatamente trionfale, li raggiunse.

Faceva, sempre  ingiustificatamente, degli uggiolii di furbizia, -Uài ! Uài !

Subito, i segugi –Aurrrch! – gli ringhiarono, lasciarono lì per un momento la ricerca di odor di volpe e puntarono contro di lui, aprendo bocche da morsi, - Ggghrr! –

Poi, rapidi, tornarono a disinteressarsene, e corsero via.

Cosimo seguiva il bassotto, che muoveva passi a caso là intorno, e il bassotto, ondeggiando a naso distratto, vide il ragazzo sull’albero e gli scodinzolò. Cosimo era convinto che la volpe fosse ancora nascosta lì. I segugi erano sbandati lontano, li si udiva a tratti passare sui dossi di fronte con un abbaio rotto e immotivato, sospinti dalle voci soffocate e incitanti dei cacciatori. Cosimo disse al bassotto: - Dài! Dài! Cerca!

Il cane giovane si buttò ad annusare, e ogni tanto si voltava a guardare in su il ragazzo. - Dài! Dài!

Ora non lo vedeva più. Sentì uno sfascio di cespugli, poi, a scoppio: - Auauauaaa! Iaì! iaì! iaì! – Aveva levata la volpe!

Cosimo vide la bestia correre nel prato. Ma si poteva sparare a una volpe levata da un cane altrui? Cosimo la lasciò passare e non sparò. Il bassotto alzò il muso verso di lui, con lo sguardo dei cani quando non capiscono e non sanno che possono aver ragione a non capire, e si ributtò a naso sotto, dietro la volpe.

- Iaì! iaì! iaì! – Le fece fare tutto un giro. Ecco, tornava. Poteva sparare o non poteva sparare? Non sparò. Il bassotto guardò in su con un occhio di dolore. Non abbaiava più, la lingua più penzoloni delle orecchie, sfinito, ma continuava a correre.

La sua levata aveva disorientato segugi e cacciatori. Sul sentiero correva un vecchio con un greve archibugio. –Ehi,-gli fece Cosimo,- quel bassotto è vostro?

-Ti andasse nell’anima a te e a tutti i tuoi parenti! – gridò il vecchio che doveva aver le sue lune.- Ti sembriamo tipi da cacciare coi bassotti?

-Allora a quel che leva, io ci sparo,- insistè Cosimo, che voleva proprio essere in regola.

-E spara anche al santo che t’ha in gloria! – rispose quello, e corse via.

Il bassotto gli riportò la volpe. Cosimo sparò e la prese. Il bassotto fu il suo cane; gli mise nome Ottimo Massimo.

 

 

 

 

 

 

 

Ottimo Massimo era un cane di nessuno, unitosi al branco dei segugi per giovanile passione. Ma da dove veniva? Per scoprirlo, Cosimo si lasciò guidare da lui.

Il bassotto, rasente la terra, attraversava siepi e fossi; poi si voltava a vedere se il ragazzo di lassù riusciva a seguire il suo cammino.Tanto inconsueto era questo itinerario, che Cosimo non s’accorse subito dov’erano arrivati. Quando capì, gli balzò il cuore in petto: era il giardino dei Marchesi D’Ondariva.

La villa era chiusa, le persiane sprangate; solo una, a un abbaino, sbatteva al vento. Il giardino lasciato senza cure aveva più che mai quell’aspetto di foresta d’altro mondo. E per i vialetti ormai invasi dall’erba, e per le aiole sterpose, Ottimo Massimo si muoveva felice, come a casa sua, e rincorreva le farfalle.

Sparì in un cespuglio. Tornò con in bocca un nastro. A Cosimo il cuore battè più forte. – Cos’è, Ottimo Massimo? Eh? Dimmi chi è? Dimmi!

Ottimo Massimo scodinzolava.

-Porta qua, porta, Ottimo Massimo!

Cosimo, sceso su di un ramo basso, prese dalla bocca del cane quel brandello sbiadito che era stato certamente un nastro nei capelli di Viola, come quel cane era stato certamente un cane di Viola, dimenticato lì nell’ultimo trasloco della famiglia. Anzi, ora a Cosimo sembrava di ricordarlo, l’estate prima, ancora cucciolo, che sporgeva da un canestro al braccio della ragazzina bionda, e forse gliel’avevano portato in regalo allora allora.

-Cerca, Ottimo Massimo!- E il bassotto si gettava tra i bambù; e tornava con altri ricordi di lei, la corda da saltare, un pezzo lacero d’aquilone, un ventaglio.

In cima al tronco del  più alto albero del giardino, mio fratello incise con la punta dello spadino i nomi Viola e Cosimo, e poi, più sotto, sicuro che a lei avrebbe fatto piacere anche se lo chiamava con un altro nome, scrisse: Cane bassotto Ottimo Massimo.

Da allora in poi, quando si vedeva il ragazzo sugli alberi, s’era certi che guardando in giù, innanzi a lui, o appresso, si vedeva il bassotto Ottimo Massimo trotterellare pancia a terra.Gli aveva insegnato la cerca, la ferma, il riporto: i lavori di tutte le specie di cani da caccia, e non c’era bestia del bosco che non cacciassero insieme. Per riportargli la selvaggina, Ottimo Massimo rampava con due zampe sui tronchi più in su che poteva; Cosimo calava a prendere la lepre o la starna dalla sua bocca e gli faceva una carezza. Erano tutte là le loro confidenze, le loro feste.

Ma continuo tra la terra e i rami correva dall’uno all’altro un dialogo, un’intelligenza, d’abbai monosillabi e di schiocchi di lingua e dita. Quella necessaria presenza che per il cane è l’uomo e per l’uomo è il cane, non li tradiva mai, né l’uno, né l’altro; e per quanto diversi da tutti gli uomini e cani del mondo, potevano dirsi, come uomo e cane, felici.”

 

 

 

da “Il barone rampante” di Italo Calvino, Einaudi, 1971

© Giulio Einaudi Editore

 

 

 

le illustrazioni di H.A Rey

sono tratte dal libro per bambini "Pretzel" di Margret Rey, Folding Books Ltd, London 1950

 

 

 

        

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