CANI & SCRITTORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INDICE

DISCLAIMER  

 

 

 

Carlo COLLODI

(1826-1890) 

 

Giornalista e scrittore. Carlo Collodi è lo pseudonimo più noto di Carlo Lorenzini (Collodi è il nome del paese in provincia di Prato di cui era originaria la madre). Abbraccia idee mazziniane e partecipa alle rivolte risorgimentali del 1848-49. Lavora come giornalista fondando il giornale satirico Il Lampione e  come critico teatrale per La Scaramuccia. Esordisce nella narrativa negli anni ’50 con "Un romanzo in vapore" e "Da Firenze a Livorno". Il primo libro per bambini è del 1875: "I racconti delle fate", traduzione dei racconti  dello scrittore francese Charles Perrault. Dopo  Giannettino e Minuzzolo, scrive "Le avventure di Pinocchio",  pubblicate dal Giornale dei bambini nel 1881 in 15 capitoli, con il titolo Le avventure di un burattino.

Il successo di Pinocchio  è immediato e oggi questo libro  è considerato in tutto il mondo un classico della letteratura per l'infanzia.


 

 

I CANI DI PINOCCHIO

 

 

 

MEDORO 

(capitolo 5°)

[...] Allora la Fata, battendo le mani insieme, fece due piccoli colpi, e apparve un magnifico Can-barbone, che camminava ritto sulle gambe di dietro, tale e quale come se fosse un uomo.

Il Can-barbone era vestito da cocchiere in livrea di gala. Aveva in capo un nicchiettino a tre punte gallonato d'oro, una parrucca bianca coi riccioli che gli scendevano giù per il collo, una giubba color di cioccolata coi bottoni di brillanti e con due grandi tasche per tenervi gli ossi che gli regalava a pranzo la padrona, un paio di calzoni corti di velluto cremisi, le calze di seta, gli scarpini scollati, e di dietro una specie di fodera da ombrelli, tutta di raso turchino, per mettervi dentro la coda, quando il tempo cominciava a piovere.

 

- Su da bravo, Medoro! - disse la Fata al Can-barbone; - Fai subito attaccare la più bella carrozza della mia scuderia e prendi la via del bosco. Arrivato che sarai sotto la Quercia grande, troverai disteso sull'erba un povero burattino mezzo morto. Raccoglilo con garbo, posalo pari pari su i cuscini della carrozza e portamelo qui. Hai capito?

Il Can-barbone, per fare intendere che aveva capito, dimenò tre o quattro volte la fodera di raso turchino, che aveva dietro, e partì come un barbero.

Di lì a poco, si vide uscire dalla scuderia una bella carrozzina color dell'aria, tutta imbottita di penne di canarino e foderata nell'interno di panna montata e di crema coi savoiardi. La carrozzina era tirata da cento pariglie di topini bianchi, e il Can-barbone, seduto a cassetta, schioccava la frusta a destra e a sinistra, come un vetturino quand'ha paura di aver fatto tardi.

 

 

I CANI MASTINI

(capitolo 6°)

[...] Allora, preso dalla disperazione, tornò di corsa in città e andò difilato in tribunale, per denunziare al giudice i due malandrini, che lo avevano derubato.

Il giudice era uno scimmione della razza dei Gorilla: un vecchio scimmione rispettabile per la sua grave età, per la sua barba bianca e specialmente per i suoi occhiali d'oro, senza vetri, che era costretto a portare continuamente, a motivo di una flussione d'occhi, che lo tormentava da parecchi anni.

Pinocchio, alla presenza del giudice, raccontò per filo e per segno l'iniqua frode, di cui era stato vittima; dette il nome, il cognome e i connotati dei malandrini, e finì col chiedere giustizia.

Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima parte al racconto: s'intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.

A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da giandarmi.

 

Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:

- Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d'oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione.

Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i giandarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.

 

 

MELAMPO

(capitolo 6°)

 

[...] Il povero burattino era rimasto preso da una tagliuola appostata là da alcuni contadini per beccarvi alcune grosse faine, che erano il flagello di tutti i pollai del vicinato. Pinocchio, come potete immaginare, si dette a piangere, a strillare, a raccomandarsi: ma erano pianti e grida inutili, perchè lì attorno non si vedevano case, e dalla strada non passava anima viva. Intanto si fece notte. 

[...] Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a vedere se qualcuna di quelle faine, che mangiavano di nottetempo i polli, fosse rimasta presa dalla tagliuola. E la sua meraviglia fu grandissima quando, tirata fuori la lanterna di sotto il pastrano, s'accorse che, invece di una faina, c'era rimasto preso un ragazzo.

- Ah,ladracchiolo! - disse il contadino incollerito - dunque sei tu che mi porti via le galline?

- Io no, io no! - gridò Pinocchio, singhiozzando. - Io son entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d'uva!...

- Chi ruba l'uva è capacissimo di rubare anche i polli. Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricordartene per un pezzo.

E aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola e lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino da latte.

Arrivato che fu sull'aia dinanzi alla casa, lo scaraventò in terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:

- Oramai è tardi e voglio andare a letto. I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi mi è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto. Tu mi farai da cane di guardia.

Detto fatto, gl'infilò al collo un grosso collare tutto coperto di spunzoni di ottone, e glielo strinse in modo da non poterselo levare passandoci la testa dentro. Al collare c'era attaccata una lunga catenella di ferro: e la catenella era fissata nel muro.

 

- Se questa notte, - disse il contadino, - cominciasse a piovere, tu puoi andare a cuccia in quel casotto di legno, dove c'è sempre la paglia che ha servito di letto per quattr'anni al mio povero cane. E se per disgrazia venissero i ladri, ricordati di stare a orecchi ritti e di abbaiare.

Dopo quest'ultimo avvertimento, il contadino entrò in casa chiudendo la porta con tanto di catenaccio: e il povero Pinocchio rimase accovacciato sull'aia, più morto che vivo, a motivo del freddo, della fame e della paura. E di tanto in tanto, cacciandosi rabbiosamente le mani dentro al collare, che gli serrava la gola, diceva piangendo:

- Mi sta bene!... Pur troppo mi sta bene! Ho voluto fare lo svogliato, il vagabondo... ho voluto dar retta ai cattivi compagni, e per questo la sfortuna mi perseguita sempre. Se fossi stato un ragazzino per bene, come ce n'è tanti, se avessi avuto voglia di studiare e di lavorare, se fossi rimasto in casa col mio povero babbo, a quest'ora non mi troverei qui, in mezzo ai campi, a fare il cane di guardia alla casa d'un contadino. Oh, se potessi rinascere un'altra volta!... Ma oramai è tardi, e ci vuol pazienza! Fatto questo piccolo sfogo, che gli venne proprio dal cuore, entrò dentro il casotto e si addormentò.

 

Ed era già più di due ore che dormiva saporitamente; quando verso la mezzanotte fu svegliato da un bisbiglio e da un pissi-pissi di vocine strane, che gli parve di sentire nell'aia. Messa fuori la punta del naso dalla buca del casotto, vide riunite a consiglio quattro bestiuole di pelame scuro, che parevano gatti. Ma non erano gatti: erano faine, animaletti carnivori, ghiottissimi specialmente di uova e di pollastrine giovani.

 

 

 

 Una di queste faine, staccandosi dalle sue compagne, andò alla buca del casotto e disse sottovoce:

- Buona sera, Melampo.

- Io non mi chiamo Melampo, - rispose il burattino.

- O dunque chi sei?

- Io sono Pinocchio.

- E che cosa fai costì?

- Faccio il cane di guardia.

- O Melampo dov'è? dov'è il vecchio cane, che stava in questo casotto?

- è morto questa mattina.

- Morto? Povera bestia! Era tanto buono!... Ma giudicandoti alla fisonomia, anche te mi sembri un cane di garbo.

- Domando scusa, io non sono un cane!...

- O chi sei?

- Io sono un burattino.

- E fai da cane di guardia?

- Purtroppo: per mia punizione!...

- Ebbene, io ti propongo gli stessi patti, che avevo col defunto Melampo: e sarai contento.

- E questi patti sarebbero?

- Noi verremo una volta la settimana, come per il passato, a visitare di notte questo pollaio, e porteremo via otto galline. Di queste galline, sette le mangeremo noi, e una la daremo a te, a condizione, s'intende bene, che tu faccia finta di dormire e non ti venga mai l'estro di abbaiare e di svegliare il contadino.

- E Melampo faceva proprio così? - domandò Pinocchio.

- Faceva così, e fra noi e lui siamo andati sempre d'accordo. Dormi dunque tranquillamente, e stai sicuro che prima di partire di qui, ti lasceremo sul casotto una gallina bell'e pelata, per la colazione di domani. Ci siamo intesi bene?

- Anche troppo bene!... - rispose Pinocchio: e tentennò il capo in un certo modo minaccioso, come se avesse voluto dire: "Fra poco ci riparleremo!".

 

 

Quando le quattro faine si credettero sicure del fatto loro, andarono difilato al pollaio, che rimaneva appunto vicinissimo al casotto del cane, e aperta a furia di denti e di unghioli la porticina di legno, che ne chiudeva l'entratina, vi sgusciarono dentro, una dopo l'altra. Ma non erano ancora finite d'entrare, che sentirono la porticina richiudersi con grandissima violenza.

Quello che l'aveva richiusa era Pinocchio; il quale, non contento di averla richiusa, vi posò davanti per maggior sicurezza una grossa pietra, a guisa di puntello.

E poi cominciò ad abbaiare: e, abbaiando proprio come se fosse un cane di guardia, faceva colla voce bu-bu-bu-bu.

 

A quell'abbaiata, il contadino saltò dal letto e, preso ii fucile e affacciatosi alla finestra, domandò:

- Che c'è di nuovo?

- Ci sono i ladri! - rispose Pinocchio.

- Dove sono?

- Nel pollaio.

- Ora scendo subito.

 

E infatti, in men che non si dice amen, il contadino scese: entrò di corsa nel pollaio e, dopo avere acchiappate e rinchiuse in un sacco le quattro faine, disse loro con accento di vera contentezza:

- Alla fine siete cascate nelle mie mani! Potrei punirvi, ma sì vil non sono! Mi contenterò, invece, di portarvi domani all'oste del vicino paese, il quale vi spellerà e vi cucinerà a uso lepre dolce e forte. E' un onore che non vi meritate, ma gli uomini generosi come me non badano a queste piccolezze!...

Quindi, avvicinatosi a Pinocchio, cominciò a fargli molte carezze, e, fra le altre cose, gli domandò:

- Com'hai fatto a scuoprire il complotto di queste quattro ladroncelle? E dire che Melampo, il mio fido Melampo, non s'era mai accorto di nulla...

Il burattino, allora, avrebbe potuto raccontare quel che sapeva: avrebbe potuto, cioè, raccontare i patti vergognosi che passavano fra il cane e le faine: ma ricordatosi che il cane era morto, pensò subito dentro di sé: - A che serve accusare i morti?... I morti son morti, e la miglior cosa che si possa fare è quella di lasciarli in pace!...

- All'arrivo delle faine sull'aia, eri sveglio o dormivi? - continuò a chiedergli il contadino.

- Dormivo, - rispose Pinocchio, - ma le faine mi hanno svegliato coi loro chiacchiericci, e una è venuta fin qui al casotto per dirmi: "Se prometti di non abbaiare e di non svegliare il padrone, noi ti regaleremo una pollastra bell'e pelata!...". Capite, eh? Avere la sfacciataggine di fare a me una simile proposta! Perché bisogna sapere che io sono un burattino, che avrò tutti i difetti di questo mondo: ma non avrò mai quello di star di balla e di reggere il sacco alla gente disonesta!

- Bravo ragazzo! - gridò il contadino, battendogli sur una spalla. - Cotesti sentimenti ti fanno onore: e per provarti la mia grande soddisfazione, ti lascio libero fin d'ora di tornare a casa.

E gli levò il collare da cane.

 

 

 

 

 

 

 

 

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ALIDORO

(capitolo 8°)

 

[...] I carabinieri, giudicando che fosse difficile raggiungerlo, gli aizzarono dietro un grosso cane mastino, che aveva guadagnato il primo premio in tutte le corse dei cani. Pinocchio correva, e il cane correva più di lui: per cui tutta la gente si affacciava alle finestre e si affollava in mezzo alla strada, ansiosa di veder la fine di questo palio feroce.

Ma non poté levarsi questa voglia, perché il cane mastino e Pinocchio sollevarono lungo la strada un tal polverone, che dopo pochi minuti non fu più possibile di veder nulla.

Durante quella corsa disperata, vi fu un momento terribile, un momento in cui Pinocchio si credé perduto: perché bisogna sapere che Alidoro (era questo il nome del can-mastino) a furia di correre e correre, l'aveva quasi raggiunto.

Basti dire che il burattino sentiva dietro di sé, alla distanza d'un palmo, l'ansare affannoso di quella bestiaccia e ne sentiva perfino la vampa calda delle fiatate.

Per buona fortuna la spiaggia era oramai vicina e il mare si vedeva lì a pochi passi.

Appena fu sulla spiaggia, il burattino spiccò un bellissimo salto, come avrebbe potuto fare un ranocchio, e andò a cascare in mezzo all'acqua. Alidoro invece voleva fermarsi; ma trasportato dall'impeto della corsa, entrò nell'acqua anche lui. E quel disgraziato non sapeva nuotare; per cui cominciò subito ad annaspare colle zampe per reggersi a galla: ma più annaspava e più andava col capo sott'acqua.

Quando torno a rimettere il capo fuori, il povero cane aveva gli occhi impauriti e stralunati, e, abbaiando, gridava.

- Affogo! Affogo!

- Crepa! - gli rispose Pinocchio da lontano, il quale si vedeva oramai sicuro da ogni pericolo.

- Aiutami, Pinocchio mio!... salvami dalla morte!...

A quelle grida strazianti, il burattino, che in fondo aveva un cuore eccellente, si mosse a compassione, e voltosi al cane gli disse:

- Ma se io ti aiuto a salvarti, mi prometti di non darmi più noia e di non corrermi dietro?

- Te lo prometto! Te lo prometto! Spicciati per carità, perché se indugi un altro mezzo minuto, son bell'e morto.

Pinocchio esitò un poco: ma poi ricordandosi che il suo babbo gli aveva detto tante volte che a fare una buona azione non ci si scapita mai, andò nuotando a raggiungere Alidoro, e, presolo per la coda con tutte e due le mani, lo portò sano e salvo sulla rena asciutta del lido.

 

 

 

Il povero cane non si reggeva più in piedi. Aveva bevuto, senza volerlo, tant'acqua salata, che era gonfiato come un pallone. Per altro il burattino, non volendo fare a fidarsi troppo, stimò cosa prudente di gettarsi novamente in mare; e, allontanandosi dalla spiaggia, gridò all'amico salvato:

- Addio, Alidoro, fai buon viaggio e tanti saluti a casa.

- Addio, Pinocchio, - rispose il cane; - mille grazie di avermi liberato dalla morte. Tu mi hai fatto un gran servizio: e in questo mondo quel che è fatto è reso. Se capita l'occasione, ci riparleremo.

 

Pinocchio seguitò a nuotare, tenendosi sempre vicino alla terra. Finalmente gli parve di esser giunto in un luogo sicuro; e dando un' occhiata alla spiaggia, vide sugli scogli una specie di grotta, dalla quale usciva un lunghissimo pennacchio di fumo.

- In quella grotta, - disse allora fra sé, - ci deve essere del fuoco. Tanto meglio! Anderò a rasciugarmi e a riscaldarmi, e poi?... E poi sarà quel che sarà.

Presa questa risoluzione, si avvicinò alla scogliera; ma quando fu lì per arrampicarsi, sentì qualche cosa sotto l'acqua che saliva, saliva, saliva e lo portava per aria. Tentò subito di fuggire, ma oramai era tardi, perché con sua grandissima maraviglia si trovò rinchiuso dentro a una grossa rete in mezzo a un brulichio di pesci d'ogni forma e grandezza, che scodinzolando si dibattevano come tant'anime disperate. E nel tempo stesso vide uscire dalla grotta un pescatore così brutto, ma tanto brutto, che pareva un mostro marino. Invece di capelli aveva sulla testa un cespuglio foltissimo di erba verde; verde era la pelle del suo corpo, verdi gli occhi, verde la barba lunghissima, che gli scendeva fin quaggiù. Pareva un grosso ramarro ritto su i piedi di dietro.

Quando il pescatore ebbe tirata fuori la rete dal mare, gridò tutto contento:

- Provvidenza benedetta! Anch'oggi potrò fare una bella scorpacciata di pesce!

- Manco male, che io non sono un pesce! - disse Pinocchio dentro di sé, ripigliando un po' di coraggio.

La rete piena di pesci fu portata dentro la grotta, una grotta buia e affumicata, in mezzo alla quale friggeva una gran padella d'olio, che mandava un odorino di moccolaia da mozzare il respiro.

- Ora vediamo un po' che pesci abbiamo presi!

- disse il pescatore verde; e ficcando nella rete una manona così spropositata, che pareva una pala da fornai, tirò fuori una manciata di triglie.

- Buone queste triglie! - disse, guardandole e annusandole con compiacenza. E dopo averle annusate, le scaraventò in una conca senz'acqua.

Poi ripetè più volte la solita operazione; e via via che cavava fuori gli altri pesci, sentiva venirsi l'acquolina in bocca e gongolando diceva:

- Buoni questi naselli!...

- Squisiti questi muggini!...

- Deliziose queste sogliole!...

- Prelibati questi ragnotti!...

- Carine queste acciughe col capo!...

Come potete immaginarvelo, i naselli, i muggini, le sogliole, i ragnotti e le acciughe, andarono tutti alla rinfusa nella conca, a tener compagnia alle triglie.

L'ultimo che restò nella rete fu Pinocchio.

 

[...] Mentre il pescatore era proprio sul punto di buttar Pinocchio nella padella, entrò nella grotta un grosso cane condotto là dall'odore acutissimo e ghiotto della frittura.

- Passa via! - gli gridò il pescatore minacciandolo e tenendo sempre in mano il burattino infarinato.

Ma il povero cane aveva una fame per quattro, e mugolando e dimenando la coda, pareva che dicesse: "Dammi un boccon di frittura e ti lascio in pace".

- Passa via, ti dico! - gli ripetè il pescatore; e allungò la gamba per tirargli una pedata.

Allora il cane che, quando aveva fame davvero, non era avvezzo a lasciarsi posar mosche sul naso, si rivoltò ringhioso al pescatore, mostrandogli le sue terribili zanne.

In quel mentre si udì nella grotta una vocina fioca fioca, che disse:

- Salvami, Alidoro!... Se non mi salvi, son fritto!

Il cane riconobbe subito la voce di Pinocchio e si accorse con sua grandissima maraviglia che la vocina era uscita da quel fagotto infarinato che il pescatore teneva in mano.

Allora che cosa fa? Spicca un gran lancio da terra, abbocca quel fagotto infarinato e tenendolo leggermente coi denti, esce correndo dalla grotta, e via come un baleno!

Il pescatore, arrabbiatissimo di vedersi strappar di mano un pesce, che egli avrebbe mangiato tanto volentieri, si provò a rincorrere il cane; ma fatti pochi passi, gli venne un nodo di tosse e dovè tornarsene indietro.

Intanto Alidoro, ritrovata che ebbe la viottola che conduceva al paese, si fermò e posò delicatamente in terra l'amico Pinocchio.

- Quanto ti debbo ringraziare! - disse il burattino.

- Non c'è bisogno, - replicò il cane. - Tu salvasti me, e quel che è fatto, è reso. Si sa: in questo mondo bisogna tutti aiutarsi l'uno coll'altro.

- Ma come mai sei capitato in quella grotta?

- Ero sempre qui disteso sulla spiaggia più morto che vivo, quando il vento mi ha portato da lontano un odorino di frittura. Quell'odorino mi ha stuzzicato l'appetito, e io gli sono andato dietro.

Se arrivavo un minuto più tardi!...

- Non me lo dire! - urlò Pinocchio che tremava ancora dalla paura. - Non me lo dire! Se tu arrivavi un minuto più tardi, a quest'ora io ero bell'e fritto, mangiato e digerito. Brrr!... mi vengono i brividi soltanto a pensarvi!...

Alidoro, ridendo, stese la zampa destra verso il burattino, il quale gliela strinse forte forte in segno di grande amicizia: e dopo si lasciarono.

Il cane riprese la strada di casa: e Pinocchio, rimasto solo, andò a una capanna lì poco distante, e domandò a un vecchietto che stava sulla porta a scaldarsi al sole......

 

 

 

 

 

IL PESCE-CANE 

 

(capitolo 10°)

 

 

 

 

merita di essere inserito in questo elenco? :)

 

 

 

 

FONTI:

 

-per i testi

Le avventure di Pinocchio / Storia di un burattino
di Carlo Collodi
Biblioteca Universale Rizzoli,
II Edizione, Rizzoli Editore.
Milano, 1949

- per le illustrazioni

 

Pinocchio illustrato da JACOVITTI

Fratelli Spada Editori,1977

 

 

 

 

        

per commenti, suggerimenti, segnalazioni.

 

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