CANI & SCRITTORI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DISCLAIMER  

Milan Kundera

(1929)

 

Scrittore ceco naturalizzato francese. Dopo un esordio come poeta (Monologhi, 1957), si è dedicato alla narrativa con Amori ridicoli (1963) e Secondo quaderno di amori ridicoli (1964), con i quali ottenne un vasto successo. I romanzi successivi ne hanno consacrato la fama internazionale:Lo scherzo (1967), La vita è altrove (1973), Il valzer degli addii (1975), Il libro del riso e dell’oblio (1980), L’insostenibile leggerezza dell’essere (1984), L’arte del romanzo (1986), L’immortalità (1990), I testamenti traditi (1993), La lentezza (1995).

 

 

KARENIN

Karenin è la cagna di Teresa e Tomás, i protagonisti de "L'insostenibile leggerezza dell'essere". Malgrado si tratti di una femmina, le viene dato il nome di un cane e in tutto il romanzo viene sempre designata al maschile. A lei è dedicato l’ultimo struggente capitolo “Il sorriso di Karenin”.

 

 

Per diminuire la sua sofferenza la sposò (poterono finalmente disdire il subaffitto dove lei non abitava ormai da tempo) e le procurò un cucciolo.

La madre era il sanbernardo di un suo collega. Il padre era il cane lupo del vicino. I piccoli bastardi non li voleva nessuno e al collega dispiaceva ucciderli.

Tomás, scegliendo i cuccioli, sapeva che quelli che non avrebbe scelto sarebbero dovuti morire. Si sentiva come un presidente della repubblica davanti a quattro condannati a morte, con la possibilità di graziarne uno soltanto. Alla fine si decise: scelse una femmina, che nel corpo gli ricordava il cane lupo e nella testa la madre, il sanbernardo. Lo portò a Tereza. Lei alzò il cagnolino, se lo strinse al petto e quello le bagnò subito la camicetta.

Poi gli cercarono un nome. Tomás voleva che anche dal nome fosse chiaro che il cane apparteneva a Tereza, e si ricordò del libro che lei stringeva sotto il braccio quando era arrivata a Praga senza preavviso. Propose di chiamare il cucciolo Tolstoj.

<<Non può chiamarsi Tolstoj,>> obiettò Tereza <<è una femminuccia. Può chiamarsi Anna Karenina>>.

<<Non può chiamarsi Anna Karenina, nessuna donna può avere un musetto buffo come questo>> disse Tomás. <<Karenin, piuttosto. Sì, Karenin. Me lo sono sempre immaginato proprio così>>.

<<Ma chiamarla Karenin non turberà la sua sessualità?>>.

<<E’ possibile>> disse Tomás <<che una cagna che i padroni chiamano continuamente con il nome di un cane sviluppi tendenze lesbiche>>.

Le parole di Tomás curiosamente si avverarono. Benché in genere le cagne si affezionano di più ai padroni che alle padrone, con Karenin avvenne il contrario. Decise di innamorarsi di Tereza. Tomás gliene fu riconoscente. Gli accarezzava la testolina e gli diceva: <<Fai bene, Karenin, piuttosto. Era proprio quello che volevo da te. Visto che io solo non basto, devi aiutarmi tu>>.

 

 

 

 […]

 

 

 

Alle sei squillò la sveglia. Era il momento di Karenin. Si svegliava sempre prima di loro ma non aveva il coraggio di disturbarli. Aspettava paziente il suono della sveglia che gli dava il diritto di saltare sul letto, di zampettare sui loro corpi e di dare musate. Per un po’ avevano cercato di impedirglielo e lo cacciavano giù dal letto, ma lui era più testardo di loro e alla fine si era conquistato i propri diritti. Del resto, negli ultimi tempi Tereza si era accorta che era piacevole ricevere il buon giorno da Karenin. Il momento del risveglio era una vera e propria gioia per lui: si meravigliava ingenuamente e stupidamente di essere ancora al mondo e ne provava una felicità sincera. Lei invece si svegliava con disgusto, col desiderio di prolungare la notte e di non aprire gli occhi.

Adesso Karenin era in ingresso e guardava in alto l’attaccapanni dov’era appeso il collare con il guinzaglio. Lei glielo mise al collo e si avviarono insieme verso il negozio. Lì comprò latte, pane, burro e come sempre un panino per lui. Sulla strada del ritorno, lui le trotterellava accanto, col panino in bocca. Si guardava attorno con orgoglio, soddisfattissimo di essere notato e indicato dalla gente.

A casa si allungò col panino sulla soglia della camera aspettando che Tomás si accorgesse di lui, si accovacciasse e cominciasse a ringhiare, facendo finta di volergli prendere il panino. Era così ogni giorno: per cinque minuti buoni si rincorrevano su e giù per l’appartamento fino a che Karenin non si infilava sotto al tavolo e divorava rapidamente il panino.

 

 

 

 

Sera a Cape Cod (1939)

di Edward Hopper

National Gallery of Art, Washington, D.C

 

[…]

 

Vivere in campagna era l’unica possibilità di fuga che restava loro […] in breve tempo arrivarono a conoscere i contadini meglio di quanto i contadini non si conoscessero tra loro. Fu soprattutto il presidente della cooperativa a diventare un loro vero amico. Aveva una moglie, quattro bambini e un maiale che aveva ammaestrato come fosse un cane. Il maiale si chiamava Mefisto ed era il vanto e l’attrazione del villaggio. Ubbidiva alla lettera, era lindo e rosato, trotterellava sui suoi zoccoletti come una donna polpacciuta sui tacchi alti. Quando Karenin vide Mefisto per la prima volta, ne rimase sconcertato e gli girò intorno a lungo annusandolo. Ma presto fece amicizia con lui e lo preferiva ai cani del villaggio che disprezzava perché stavano legati al canile e abbaiavano stupidamente, continuamente e senza motivo. Karenin apprezzava il valore della rarità e oserei quasi dire che ci teneva a questa amicizia con il maiale.

 

[…]

 

Fu nuovamente presa da una speranza che non aveva nulla di logico. Si alzò e si vestì. Anche lì al villaggio la sua giornata iniziava con la spesa al negozio dove comprava il latte, il pane e dei panini. Ma quando chiamò Karenin perché l’accompagnasse, questi sollevò a malapena il capo. Era la prima volta che si rifiutava di partecipare alla cerimonia che un tempo era lui stesso a esigere ad ogni costo.

Uscì perciò senza di lui.<<E Karenin dov’è?>> Chiese la commessa che aveva già un panino pronto per lui. Quella volta fu Tereza che lo portò via nella sua borsa. Sulla porta di casa lo tirò fuori e glielo mostrò. Voleva che venisse a prenderlo. Ma lui rimaneva disteso e immobile.

Tomás vedeva la tristezza di Teresa. Prese lui stesso il panino in bocca e si mise carponi di fronte a Karenin. Poi gli si avvicinò lentamente.

Karenin lo guardava, sembrava che nei suoi occhi si fosse acceso come un lampo di interesse, ma non si alzava. Tomás sporse il viso fino a sfiorare il suo muso. Senza muovere il corpo, il cane prese in bocca il pezzo di panino che sporgeva dalla bocca di Tomás. Allora Tomás lasciò andare il panino in modo che rimanesse tutto a Karenin.

Ancora carponi, Tomás arretrò, si rannicchiò e cominciò a ringhiare. Faceva finta di voler litigare per il panino. Il cane rispose al padrone con un ringhio. Finalmente! Era quello che aspettavano! Karenin ha voglia di giocare! Karenin ha ancora voglia di vivere!

Quel ringhio era il sorriso di Karenin e loro volevano che quel sorriso durasse il più a lungo possibile. Perciò Tomás gli si avvicinò, sempre carponi, e afferrò l’estremità del panino che spuntava dal muso del cane. I loro visi erano vicinissimi. Tomás sentiva l’odore del fiato del cane e i lunghi peli attorno alla bocca di Karenin gli solleticavano il viso. Il cane ringhiò ancora una volta, scuotendo il muso. A ciascuno dei due rimase tra i denti metà panino. Poi Karenin fece un vecchio errore. Lasciò la sua metà per potersi impadronire della metà che teneva in bocca il padrone. Aveva dimenticato come sempre che Tomás non era un cane e aveva le mani. Tomás non lasciò il panino che aveva in bocca e raccolse da terra la metà abbandonata.

<< Tomás!>> gridò Tereza. <<Non gli prendere il panino!>>. Tomás lasciò cadere a terra le due metà davanti a Karenin, il quale ne inghiottì rapidamente una, ma tenne l’altra a lungo in bocca, con ostentazione, per vantarsi davanti ai due padroni di aver vinto la partita. Loro lo guardavano e si ripetevano che Karenin sorrideva e che fino a quando sorrideva aveva un motivo per vivere, anche se era condannato a morte.

 

 

da “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera,

traduzione di Antonio Barbato, Adelphi Edizioni, 1987

 

 

 

 

 

* un ringraziamento speciale va a Julie & Marty che mi hanno consigliato questo libro e hanno scelto insieme a me il quadro di Hopper. Grazie anche Edmund R.  ;)

 

 

        

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