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Derek Walcott (1930) Poeta, drammaturgo e pittore caraibico. Con la sua opera poetica e drammaturgica ha saputo compiere una sintesi tra cultura caraibica e letteratura anglofona. Nel 1992 gli è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura.(questa la motivazione: "per un'opera poetica di grande luminosità, retta da una visione storica, l'esito di un impegno multiculturale"). OP: tra i
suoi libri di poesia, ricordiamo In a Green Night: Poems 1948-1960
(1962), The Castaway and Other Poems (1965), in cui
appaiono la figura di Robinson Crusoe e la metafora del naufragio, The
Gulf and Other Poems (1969), Midsummer (1984), Omeros,
poema epico in esametri che narra le storie e gli esili di Achille e
Philocrete, due pescatori caraibici (1990), Tiepolo's Hound (2000),
in cui predomina la presenza dell'elemento pittorico. In Italia, presso
Adelphi, sono apparsi la raccolta di versi Mappa del nuovo mondo
(1992, saggio introduttivo di Iosif Brodskij) e i testi teatrali Ti-Jean
e i suoi fratelli e Sogno sul Monte della Scimmia.
Tiepolo's Hound
"Tiepolo's Hound" ( Il levriero del Tiepolo) pubblicato nel 2000, non è ancora stato tradotto in italiano. «Si tratta di un libro ispirato a una pittura che ho visto in un museo di New York — ha detto Walcott in proposito — Era un quadro del Tiepolo o forse di Veronese. Non ricordo esattamente chi fosse l'autore, non ho voluto verificarlo, per me resta importante l'impressione che ha lasciato nella mia memoria. Mi colpì enormemente il calore della luce, quella pennellata che rendeva il colore vivido della carne del cane. Da pittore e da poeta volevo rendere omaggio alla forza di quell'immagine, che per me resta come sospesa tra realtà e fantasia».
La Riapparizione del cane
Il cane (1820-23), Goya Olio su tela Madrid, Museo del Prado
E un giorno, all'ombra delle gaggie sulla spiaggia, sotto il sole di mezzogiorno, vidi una copia del cane
di Tiepolo. Una cosa non ancora dipinta e che non richiedeva ricerche, lì sul proprio terreno, sul salso
dell'erba bassa. Levrieri smaniosi e coi fianchi inarcati, a guinzaglio, ne avevo visti, ma solo sui tessuti
d'arazzo delle Stagioni. Ora, sulla spiaggia campita d'azzurro, c'era questa cosina tremante e senza padrone.
Un cucciolo malfermo e alla fame, che aveva perduto la strada che porta alle case nelle vie del villaggio.
E lei per la compassione ne pianse. Perchè questo non era un cagnino ricolmo di coccole nel molle di una cuccia
di raso, né il bastardo dipinto da Goya che ti guarda da una ragade nella fossa infernale in un quadro
del Prado, ma solo una bestiola dubitosa di tutto e di sè, e anche di un'ombra, e scossa da una sorta di terrore
locale. Il tremito della morte per fame gli bruciava l'addome gonfio; e lei con un gemito lo prese in braccio,
l'erede di quell'ibrido ora non più in un'affresco ma figlio bastardo dell'abbandono e della speranza, per dargli quel tanto di amore e di cure che basta per vivere e che non basta ai suoi simili, e fu qui
nel villaggio che fu dei miei vecchi che trovò il suo rifugio. Lo avevamo noi quel segugio.
Derek Walcott da Tiepolo's Hound
“Un cane, anch’egli sul punto di sprofondare nelle sabbie mobili, solleva la testa. In nessun’altra opera Goya offre un’immagine tanto estrema di vuoto, contrapponendosi a tutta la tradizione artistica. L’unica cosa visibile del cane è la testa, che occupa soltanto l’1% della superficie pittorica. Il restante 99% della composizione è privo di qualsiasi oggetto riconoscibile, se si esclude l’inspiegabile pendio in ombra nella parte bassa del dipinto. Il cane guarda verso l’alto come se si aspettasse che qualcuno giungesse da lì, ma né una persona, né un santo scende a salvarlo.” Rose-Marie & Rainer Hagen, « Goya »,
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