Italia Oggi, 10.4.00

Diritto di accesso – Il Consiglio di Stato interviene sulla richiesta di atti

NESSUN VINCOLO PER IL CONSIGLIERE

Legittimo far pagare anche le spese per la ricerca dei documenti

 

Il consigliere comunale ha diritto a ottenere la copia dei provvedimenti del Comune. Si tratta, infatti, di una richiesta in linea con i compiti di istituto, tra i quali rientra la salvaguardia della trasparenza attraverso il controllo dell'attività dell'ente locale. Il principio è stato affermato dal Consiglio di Stato, che ha anche ritenuto legittima la richiesta di 4mila lire per atto avanzata da un Comune a un cittadino che aveva ottenuto la copia di 213 documenti.

L'accesso del consigliere. Un consigliere comunale, capogruppo di minoranza, aveva chiesto la copia delle delibere adottate dalla giunta comunale in un arco di tempo ben definito, nonché la copia di due provvedimenti del sindaco. Il consigliere intendeva impugnare quegli atti di fronte al giudice, perché ritenuti illegittimi. Dal sindaco arrivava un rifiuto. Il primo cittadino riteneva, infatti, non necessarie le copie dei documenti, perché il semplice accesso agli atti era sufficiente per acquisire gli elementi che il consigliere cercava.

La motivazione dei primo cittadino non ha trovato il gradimento della quinta sezione del Consiglio di Stato, che con la decisione 940/2000 ha confermato l'indirizzo del Tar Puglia. I giudici di appello hanno ricordato. il diritto del consigliere a ottenere la copia degli atti richiesti. Diritto che deriva da ben tre leggi: l'articolo 24 della legge 816/85, l'articolo 31 della legge 142/1990 e la legge 24 1 /90. Le prime due norme consentono, ha spiegato il Consiglio di Stato ai consiglieri comunali e provinciali di ottenere "dagli uffici tutte le informazioni utili per l'espletamento del mandato, senza alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, dal rnomento che essi pure sono vincolati all'osservanza del segreto nei casi specificati dalla legge".

Inoltre, la legge 241 sulla trasparenza amministrativa non obbliga - hanno affermato i giudici - il consigliere comunale a specificare "ì motivi della richiesta (e pertanto la domanda va accolta astraendo dai motivi eventualmente addotti, né l'interesse della stessa come se fosse un privato. Diversamente gli organi di governo dell'ente sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'estensione del controllo sul loro operato". Il sindaco, infine, non può motivare il diniego con il fatto che le richieste di copie degli atti comunali possono creare disfunzioni e difficoltà agli uffici. Si tratta, secondo il Consiglio di Stato, di una giustificazione "inconsistente", perché "con l'uso di una fotocopiatrice, il rilascio delle copie richiede un impegno lavorativo estremamente ridotto".

Costo dell'accesso. Un cittadino aveva chiesto a un Comune la copia di 213 atti amministrativi. Il Comune dava corso alla richiesta e, una volta pronti i documenti, comunicava all'interessato l'importo della spesa, che risultava superiore a un milione di lire, per effetto sia dei costi delle fotocopie che di quelli sostenuti per la ricerca degli atti e l'evasione della pratica. Questi ultimi erano stati quantificati dall'amministrazione comunale in 4mila lire per atto.

Il richiedente riteneva che la pretesa del Comune fosse esosa e chiamava in causa i giudici amministrativi. Prima il Tar Marche e ora la quinta sezione del Consiglio di Stato (decisione 1709/2000) hanno però ritenuto legittimi gli importi comunali. "Il rilascio di copie - hanno affermato i giudici di appello non solo non è gratuito, ma è assoggettato al pagamento di una somma che non si risolve nel solo costo di riproduzione". A tale spesa vanno, infatti, aggiunti i diritti di ricerca e visura.

ANTONELLO CHERCHI