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Consiglio di stato, sezione VI, sentenza 14 gennaio 2000 n. 244

L'annullamento dell'aggiudicazione, il potere di affidamento dell'incarico al secondo classificato, la revoca del bando e il risarcimento dei danni

La pubblica amministrazione ha la potestà di procedere, in via di autotutela, alla revoca delle determinazioni che avevano dato luogo alla gara di appalto per l'esecuzione di lavori pubblici, una volta annullata I"aggiudicazione al primo classificato. L’esercizio del potere di autotutela trova fondamento nel principio costituzionale di buon andamento, che impegna la pubblica amministrazione ad adottare gli atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire e autorizza, quindi, anche il riesame degli atti adottati, ove reso opportuno da circostanze sopravvenute, ovvero da un diverso apprezzamento della situazione preesistente (per un precedente vedi, da ultimo, sezione V, n. 508 del 6 luglio 1999).

Tuttavia, precisa la sentenza, siffatto potere soggiace alle regole del procedimento amministrativo, come delineate dalla citata legge n. 241 del 1990. Infatti, l'artìcolo 7 non si limita a prescrivere che l’avvio del procedimento sia comunicato, salvo che sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenirvi, ma richiede, altresì, che notizia dell’inizio del procedimento sia data ai soggetti "individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari" ai quali possa derivare pregiudizio dal provvedimento finale.

Una tale posizione deve indubbiamente rinvenirsi nel soggetto che, avendo partecipato a un pubblico incanto ed essendo stato collocato al secondo posto nella graduatoria, abbia ottenuto, nella sede giurisdizionale, l'annullamento dell'aggiudicazione effettuata in favore del primo classificato, in forza dell'impugnazione da lui stesso proposta avverso l'illegittima ammissione alla procedura dell'aggiudicazione effettuata in favore del primo classificato, in forza dell'impugnazione da lui stesso proposta avverso l'illegittima ammissione alla procedura dell'aggiudicatario medesimo. La riconducibilità dell'ipotesi considerata alla fattispecie astrattamente prevista dal secondo inciso dal primo comma dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990 risulta accreditata dalla circostanza della sussistenza dell'interesse all'impugnazione della aggiudicazione effettuata nei confronti del concorrente illegittimamente ammesso alla procedura, nella persona del secondo classificato, e della posizione qualificata di tale imprenditore alla conservazione degli atti della procedura ancora utilizzabili, con conseguente innegabile pregiudizio della suddetta posizione di interesse legittimo, per effetto del provvedimento di autotutela. L’annullamento dell'intera gara in via di autotutela, pertanto, è viziato in radice dalla mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, che, nella specie, non trova giustificazione alcuna in esigenze di celerità e ha precluso la partecipazione collaborativa prevista dalla legge in parola in funzione di preventiva composizione dei contrapposti interessi.

Al di là di detti vizi procedurali la sentenza ha osservato che il potere dell'amministrazione di disporre la rinnovazione integrale di una gara di appalto a seguito dell'invalidità derivata dall'illegittima ammissione dell'aggiudicatario, richiede, anche in assenza di posizioni giuridiche consolidate di altri partecipanti alla procedura, l'apprezzamento della possibilità di conservare gli atti utilizzabili, alla stregua dei richiamati principi desumibili direttamente dalla legge n. 241 del 1990.

In particolare, l'interesse pubblico all'innovazione integrale della procedura deve essere correlato all'esigenza di non aggravare il procedimento e di non vanificare, ai danni del soggetto che ha assunto l'iniziativa di promuovere il controllo giurisdizionale di legittimità, gli effetti favorevoli della decisione.

Si richiede dunque che il ricorso all'autotutela sia sorretto da specifiche ragioni di opportunità, in funzione del migliore perseguimento dell'interesse pubblico e che sia resa esplicita e puntuale contezza del potere esercitato.

In applicazione di detti principi pertanto, i giudici amministrativi hanno ritenuto illegittimo il potere di revoca esercitato dall'amministrazione anche effettuando una analisi del contenuto del nuovo bando che riproduce, pressoché fedelmente, quello precedente. Si è, infatti, ritenuto sussistente un eccesso di potere per sviamento, ritenendo sussistente una volontà dell'amministrazione di eludere e vanificare gli effetti della pronuncia giurisdizionale, non rivelandosi il non lungo tempo trascorso fra l'aggiudicazione e la pronuncia giurisdizionale di annullamento della originaria aggiudicazione come elemento sufficiente a sorreggere le ragioni di opportunità addotte, per di più in asssenza di una verifica delle asserzioni meramente ipotetiche in ordine alla presunta lievitazione dei costi, e in presenza di un nuovo bando che lascia invariate per tali profili le clausole concorsuali. I giudici amministrativi, inoltre, hanno ritenuto non fondato quanto sostenuto dall'amministrazione, la quale afferma di voler tutelare l'esigenza della più ampia concorrenza sussistendo comunque già un consistente numero di imprese a suo tempo ammesse al concorso.

Pur accogliendo il ricorso, inoltre, non è stata condivisa la domanda di risarcimento del danno a norma dell'articolo 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, formulata dal ricorrente con il ricorso introduttivo.

La potenzialità lesiva del provvedimento illegittimo sul patrimonio del soggetto titolare di posizioni di interesse legittimo, pur potendo dare luogo a riparazione del danno anche sotto forma di risarcimento in forma specifica latamente riconducibili alla previsione dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998, pur in assenza di violazione di normativa comunitaria, come sembra potersi evincere dall'abrogazione delle norme che demandano al giudice ordinario il risarcimento del danno nella ipotesi di annullamento giurisdizionale di provvedimenti illegittimi in materia di pubblici appalti, senza operare distinzioni di sorta, non comporta, di per sé sola, l'accoglibilità della domanda generica a conseguire il risarcimento, difettando tra dette parti la configurabilità sia di trattative sia di obblighi di buona fede, e occorrendo, dunque, la puntuale dimostrazione, da parte del concorrente che ha conseguito l'annullamento dell'aggiudicazione a un terzo e successivamente, come nella fattispecie concreta esaminata, anche l'annullamento degli atti di revoca della procedura, la puntuale dimostrazione dell'esistenza del danno patrimoniale e del nesso eziologico con i provvedimenti illegittimi annullati (Cass. civ. n. 5995 del 3 luglio 1997).

a cura di U Di Benedetto