Da Nuova Rassegna n. 13/2000

 

L’articolo prende le mosse dalla proposta, lanciata dalla Rivista, di avviare un dibattito sull’opportunità o meno di abolire la norma che limita numericamente la reiterabilità della elezione di una stessa persona alla carica di Sindaco (N.d.R)

 

LIMITAZlONE DEI MANDATI PER I SINDACI

Il dibattito-referendum indetto da "Nuova Rassegna" sulla limitazione dei mandati del Sindaco e del Presidente della Provincia (di seguito parlerò solo di sindaci, per semplificazione) è interessante e ben posto.

Sicuramente coglie appieno i problemi che avevo sollevato in un articolo, dal titolo Anche il Sindaco ha un limite, pubblicato su "il Resto del Carlino", "La Nazione" e "Il Giorno" il 24 febbraio scorso (dal quale, peraltro, l’iniziativa appare ispirata).

Mi auguro che la partecipazione dei lettori sia significativa, nel numero, ma anche nella qualità; nel senso che, se dovessero rispondere soprattutto i sindaci o loro assessori, diretti interessati all’abolizione del divieto di terzo mandato, il valore del sondaggio sarebbe alquanto scarso, diversamente da una mole di risposte che pervenissero piuttosto da altri, in particolare da consiglieri comunali o semplici cittadini.

A mio parere, l’esito dovrebbe dare conto di tali significative distinzioni.

I SINDACI OGGI

Intanto, va precisato che il comma 2 dell’art. 2 della legge 25 marzo 1993, n. 81, non manda i sindaci definitivamente in pensione dopo 9-10 anni (fino al 30 aprile 1999 il mandato era di 4 anni, oggi è di 5): li mette a riposo solamente per un turno.

Il senso ispiratore della norma è solare.

Del nuovo Ente locale, disegnato dalle riforme dell’ultimo decennio, il Sindaco è diventato il dominus, avendo assunto un potere che, senza forzature, è paragonabile, in quanto ad autorità, a quello del podestà; ma su campi d’intervento e con una capacità di spesa enormemente aumentati rispetto al ventennio, e soprattutto senza più alcun controllo amministrativo, neppure del rispetto della legalità.

Disponendo anche di un’ampia maggioranza consiliare che, in sostanza, da lui dipende (se cade lui, tutti se ne vanno a casa), il Sindaco, quasi sempre, può fare e disfare a piacimento nell’amministrazione del Comune, senza grandi disturbi; è vero che la dirigenza ha ora molto margine di autonomia e ampi spazi di responsabilità, ma i dirigenti sono nominati o revocati negli incarichi, con differenze in busta paga altissime, dal Sindaco stesso, con tutto quello che, umanamente se non politicamente, ne consegue.

Si dirà che ogni primo cittadino rende conto del suo operato agli elettori quando è l’ora del rinnovo.

Ma egli può presentarsi alle elezioni avendo avuto tra le mani una macchina formidabile, produttrice di consensi e comprensiva di ogni possibile mezzo di propaganda dell’immagine.

Sappiamo tutti, al di là della retorica istituzionale, che è così.

Ma se non a me, si deve credere, almeno, a "l’Unità" (Francesco Montemurro, 13 gennaio 2000) quando parla di "enorme potere decisionale in capo al Sindaco-Presidente della Provincia, previsto dalla legge 81/93 (proprio quella, N.d.A.) e rafforzato dalla legge 127/97".

È’, dunque, logico che un potere siffatto necessiti di non essere mantenuto troppo a lungo in capo ad una persona.

A parte il fatto che impone un impegno giornaliero faticoso e (checché ne dica Andreotti) logorante, c’è il rischio - ho detto solamente il rischio - che degeneri in strapotere e che la funzione diventi, favorita anche dai buoni stipendi "conquistati", un mestiere, sempre più povero di slancio e di carica ideali.

Al contrario, è proprio nell’ultimo mandato non prorogabile che il Sindaco può esprimere il meglio di se, non essendo condizionato dal dover essere nuovamente votato e potendosi dedicare al bene della comunità senza angosce elettorali.

E, tuttavia, prima ancora che ad un solo Sindaco sia stata applicata questa norma di garanzia, dall’Associazione nazionale dei comuni viene la sollecitazione a cancellarla, non tanto a modificarla.

Le motivazioni sono di due specie: a) non è giusto che solo i sindaci siano limitati nel loro diritto di elettorato passivo: lo siano anche le altre cariche istituzionali; b) ci sono piccoli comuni in cui non si trova un altro possibile candidato. Sono obiezioni che possono essere accettate, ma con qualche riserva.

Prima di tutto, il confronto può essere fatto solo con le due cariche che rappresentano un potere di governo parimenti monocratico, cominciando dal Presidente della Regione, oggi anch’egli eletto direttamente dai cittadini, e finendo col Presidente del Consiglio dei ministri, non appena egli fosse allo stesso modo investito.

Sono cariche per le quali, in Italia, le probabilità che restino ad una persona per oltre 10 anni sono infinitesimali; ma il principio è sacrosanto, e ci si deve battere perché venga esteso anche agli altri casi, non perché sia eliminato laddove, giustamente, già introdotto.

In quanto ai piccoli comuni, perché non si trovi un candidato Sindaco, bisogna scendere almeno sotto i 1.000 abitanti. Siamo in Italia, dove sono ambite anche le cariche nelle bocciofile.

Si possono se mai introdurre alcuni correttivi, solamente che se ne voglia discutere, evitando di proporre dogmaticamente la tesi abolitoria.

Ma su un punto non si può cedere: che qualsiasi modifica o tanto più cassazione della norma sia applicata ai casi in essere, cioè ai sindaci che sono stati eletti essendo essa vigente (si potrebbe forse introdurre un’eccezione per i sindaci che, attraverso il secondo mandato, non raggiungessero i 9 anni in carica, che è la normalità minima delle fattispecie attuali).

Ma non si può rovesciare una regola del gioco durante il gioco e prima ancora che abbia dispiegato un solo effetto, come se il Parlamento non sapesse quello che faceva quando l’ha approvato.

D’altra parte, le norme elettorali, per principio "si applicano ai mandati ...successivi alle elezioni effettuate dopo l’entrata in vigore della ...legge" che le introduce: ho tratto il virgolettato proprio dalla legge n. 81, di seguito al comma 2 dell’art. 2 che stiamo discutendo; ma altrettanto è stato fissato nella legge che ha disposto l’allungamento dei mandati amministrativi a 5 anni, ecc.

LA RIVENDICAZIONE SINDACALE DEI SINDACI

Si potrebbe dire che, essendo l’ANCI a insistere per la cancellazione del divieto del terzo mandato consecutivo per i sindaci, sia la generalità dei comuni a richiederla. Dunque, se la vogliono loro ...

In verità, l’Associazione dei comuni italiani è egemonizzata dai sindaci, tanto che, provocatoriamente, si potrebbe chiamarla piuttosto ANSI.

Non tanto perché mi firmo ANCI-SI (nomen omen), sono, invece, convinto che dovrebbe rappresentare equilibratamente l’attuale regime istituzionale dei comuni, che è imperniato su due assi, quello del Sindaco (e suoi assessori) per la gestione, quello dei consigli comunali per l’indirizzo politico e il controllo.

Che poi, ingiustamente, uno sia forte e l’altro debole non giustifica più radicali sbilanciamenti. Altrimenti i sindaci non avrebbero ragione di lamentarsi del sovrappeso politico raggiunto dai "governatori" delle regioni, aspirando essi stessi ad esserlo.

Nell’ANCI, i consiglieri comunali sono 2 su 14 nel Comitato operativo, 6 su 56 nel Consiglio direttivo, 25 su 133 nel Consiglio nazionale, 124 su 696 nell’Assemblea congressuale.

Un vero e proprio dibattito sul tema della limitazione dei mandati non si è avuto in nessuno di questi organi; ci sono stati piuttosto dei pronunciamenti, diciamo così, autorevoli.

Se si andasse ai voti, l’esito è scontato, anche se non sarebbe unanime, ma con una rappresentatività globale dei comuni piuttosto monca.

I congressi delle associazioni regionali, da cui prende corpo la base elettorale dell’ANCI, non consentono una piena espressione democratica dei comuni.

Cito l’Emilia-Romagna, che ha "eletto" 22 delegati al congresso nazionale di Catania, tutti sindaci (come pure gli II delegati di diritto), senza che i consigli comunali neppure abbiano saputo se, quando, dove e come ciò sia avvenuto (pongo, en passant, il problema: la rappresentanza dei comuni nell’ANCI non può escludere dalla base elettorale i consiglieri comunali).

Conclusione: l’abolizione della limitazione dei mandati per i sindaci è chiesta dai sindaci, non dai comuni. Una rivendicazione ...sindacale, legittima, ma tale.

A CHI GIOVA

In fine, mi concedo una disgressione politica sul tema cui prodest, applicato agli schieramenti parlamentari che dovrebbero votare (cioè rimangiarsi) l’abolizione della norma che limita il radicamento in carica dei sindaci.

È’ fuori discussione che, salvo casi rari o patologici, il Sindaco in carica da 9-10 anni, che ha anche affinato la sua capacità di ingraziarsi gli elettori dopo un primo vaglio vincente, partirebbe fortemente avvantaggiato nelle successive competizioni.

Entrambi gli schieramenti politici nazionali hanno una buona dote di sindaci e, quindi, al loro interno, e particolarmente nell’ANCI, di sostenitori della proposta cancellatoria della limitazione dei mandati.

Ma nel complesso il centro-destra ha un numero di sindaci enormemente inferiore; perfino nei comuni in cui si è votato, più recentemente, in un turno molto favorevole al centro-destra nelle regioni (dove ha vinto il centro-sinistra, gli abitanti rappresentano il 39,3% del totale, contro il 60,7 dove ha vinto il centro-destra), si è avuto un risultato penalizzante per il Polo e i suoi alleati (38,5% contro 61,5): a dimostrazione, peraltro, che i sindaci "tirano" (e anche più dei presidenti delle pro- vince: nelle amministrazioni provinciali il rapporto è stato favorevole al centro-sinistra, ma 54,3% contro 45,7). E aggiungo: "tirano" non solo per se stessi, ma anche nelle elezioni politiche per la coalizione che li esprime.

Dunque, sarebbe incomprensibile che il centro-destra, avendo molte nobili ragioni di principio a favore del mantenimento della limitazione dei mandati (quelle che in malo modo ho esposto sopra), si desse la zappa sui piedi sostenendo il contrario, che giova soltanto al centro-sinistra. Staremo a vedere.

ALVARO ANCISI

Membro del Comitato operativo nazionale dell’ANCI

NdR

Nel precedente fascicolo n. 12 abbiamo pubblicato l’intervento dell’avv. Antonio Romano a proposito del dibattito-referendum di cui trattasi.

Siamo lieti di "chiudere" l’iniziativa - almeno in questa fase: a pagina successiva la scheda di partecipazione -con le riflessioni del dott. Alvaro Ancisi, atteso che proprio da un suo articolo era nata l’idea del sondaggio (come ricordato dallo stesso autore).

Confermiamo il programma di rendere noti, nel prossimo fascicolo, i risultati. LA REDAZIONE