Italia Oggi, 24.4.01

Per una rappresentanza unitaria

Una confederazione delle professioni. I tempi ormai sono maturi

DI GIAN PAOLO PRANDSTRALLER

Il progetto di una confederazione delle professioni diventa sempre più attuale, nonostante le difficoltà della sua concreta realizzazione. L'ineluttabilità dell'idea discende dalle cose; invece le strategie dei possibili artefici non hanno a tutt'oggi centrato l'obiettivo.

Vorrei dedicare alcune considerazioni alla necessità della confederazione. Esse acquistano senso sulla base del fatto che la società in cui viviamo non è una società industriale, ma una società postindustriale, caratterizzata da un'alta incidenza del fattore conoscenza scientifico-tecnica sulla produzione e sulla vita civile.

Una constatazione preliminare: in Italia, la società della conoscenza è accettata solo a parole. Le grandi forze economiche sono contrarie all'avvento di una simile società; pensano che essa turberebbe gli equilibri di potere trasmessi dall'epoca industriale, tramontata da circa trent'anni. Hanno ancora una mentalità che rispecchia le esigenze di quel periodo, non una visione coerente con i principi e gli scopi del postindustriale.

Questa mentalità le induce a considerare l'universo sociale ancora composto di due sole parti: padroni e dipendenti. E a chiudere gli occhi sui ceti intermedi, sui lavoratori della conoscenza, che si sono sviluppati negli ultimi due decenni, in modo tale che controllano ormai tutto il mondo dei servizi.

La situazione di questi ceti è dunque di essere socialmente importanti ma non rappresentati politicamente e, quel che è peggio, non amati né dalla maggioranza degli imprenditori né dai rappresentanti sindacali dei lavoratori dipendenti.

Un silenzio assurdo continua a gravare sui questi ceti, cosicché l'importanza di ciò che fanno per la produzione e la vita civile resta sottovalutato; né la grande stampa si cura di render noto all'opinione pubblica il loro contributo.

È consequenziale a tale situazione, profondamente ingiusta, che le categorie e le forze professionali si uniscano in una entità di rappresentanza che col suo stesso esistere tuteli efficacemente quel tipo di lavoro che è caratteristico di quasi tutti i ceti intermedi, il lavoro professionale. Solo così il movimento unionistico dei professionisti può portare a un cambiamento dello stato di cose attuale.

La confederazione è lo sbocco naturale di processi di lotta che nell'ultimo quinquennio del secolo XX hanno dato frutti importanti (impedendo la distruzione dell'assetto professionale) ma non sono ancora arrivati a creare una entità di rappresentanza compatta e unitaria.

È del tutto aperto, in Italia, il problema seguente: come si può realizzare concretamente la società della conoscenza? È chiaro che tale società richiede che le istituzioni capaci di produrre conoscenza siano sostenute e migliorate, e che i poteri economici e politici non le utilizzino in modo puramente strumentale.

D'altra parte che venga eliminato l’eccesso di burocrazia che incombe sul paese. Da noi, istituzioni come la scuola, l’università, la formazione, sono fino a oggi nelle mani della burocrazia piuttosto che di quegli attori le cui funzioni derivano dalla conoscenza e dall'applicazione di quest'ultima alla vita pratica.

La scuola è tuttora un ente burocratico, i cui organi di rappresentanza sono pesantemente controllati dal potere politico. Il Consiglio superiore della pubblica istruzione, istituito con dl 30/6/1999 n. 233, sarà composto da 36 membri, di cui solo 15 verranno dal corpo degli insegnanti (ma saranno probabilmente nominati dai sindacati); altri 15 da personalità di nomina ministeriale; tre eletti dalle scuole di lingua tedesca, slovena e della Valle d'Aosta e tre nominati dal ministro in rappresentanza delle scuole pareggiate, parificate ecc. Come potrà un simile organismo, così facilmente controllabile dall'esterno, essere autonomo e garantire la professionalità degli insegnanti?

L'università negli ultimi anni si è ampiamente burocratizzata; è un ambito nel quale non vi è molto spazio per il vero talento scientifico, per chi abbia voglia di fare ricerca. La distanza di questo tipo di università dalle università americane e britanniche, che producono conoscenza scientifica e perciò contribuiscono all'avanzamento sociale ed economico dei rispettivi paesi, è rilevante.

Perché l'università italiana assuma la natura e gli scopi delle consorelle anglosassoni occorrerà uno sforzo enorme, data la resistenza di quanti vedono nell'università soltanto un luogo di lavoro poco impegnativo e garantito per tutta la vita. Esclusivamente i ceti professionali possono sostenere questo sforzo, incoraggiare un vero cambiamento nel settore.

Nel decisivo campo della conoscenza la società italiana è legata a modelli inattuali e antiquati. Né basta qualche illuminato ministro per modernizzare veramente le istruzioni decisive in fatto di conoscenza.

Occorre un'entità sociale che prema dal basso e che faccia sentire la propria presenza sulla scena della rappresentanza degli interessi. Il progetto confederale delle professioni è l’unico che può incidere veramente su questo terreno. La confederazione non è soltanto un fatto sindacale, ma un motore di trasformazione di meccanismi vecchi, rassegnati ormai alla mediocrità e alla routine burocratica.

Oggi sono attive e presenti tre forze professionali che possono realizzare la confederazione:

1) le professioni riconosciute, cioè gli ordini;

2) le associazioni o sindacati professionali;

3) le casse di previdenza delle professioni.

Queste forze, ormai coscienti della propria capacità d'azione, devono trovare il modo di confederarsi, superando i particolarismi e i personalismi. Così facendo creeranno i presupposti perché in Italia sia difesa e sostenuta la cosa che più conta, il lavoro intellettuale.