ITALIA OGGI 25 gennaio 2001

Il giudice di pace di Mestre condanna le finanze a pagare le spese sostenute per contestare l’invio

Cartelle pazze, adesso paga il fisco

A un contribuente 1 milione di risarcimento per i disagi subiti

DI GIANNI MACHEDA

Cartella pazza potrebbe costare molto cara al fisco.

Il giudice di pace di Mestre ha infatti condannato il ministero delle finanze a pagare a una contribuente di Mirano una somma di oltre un milione di lire per il danno causato.

La somma è destinata al risarcimento dei danni per le spese sostenute, dall'onorario del commercialista fino ai costi per gli spostamenti da casa all'ufficio dell'amministrazione.

La sentenza, la prima del genere in Italia, crea un precedente che potrebbe avere effetti dirompenti per il fisco. Il dicastero di Ottaviano Del Turco è infatti alle prese proprio in queste settimane con una nuova raffica di più di tre milioni di cartelle pazze.

La vicenda

La signora Regina Baschiero riceve nel 1998 dal concessionario della riscossione di Venezia una cartella relativa alla liquidazione della dichiarazione dei redditi con richieste di imposte, soprattasse e interessi per un totale di 629 mila lire. Piccolo particolare: l'interessata, essendo <<a carico previdenziale" del coniuge, nulla deve all'erario.

In altre parole si tratta di un banale errore del centro di servizio delle imposte dirette di Venezia. La signora si rivolge al suo commercialista, che inoltra all'ufficio l'istanza di sgravio. Il centro di servizio risponde riconoscendo l'errore.

Tutto a posto? No. La Baschiero, fino a quel momento, ha sostenuto una serie di spese: 100 mila lire per il commercialista, più i viaggi da Mirano a Mestre per depositare l'istanza di sgravio, l'invio di raccomandate eccetera.

In totale 300 mila lire che la signora (difesa dall'avvocato Daniele Marchiori di Mestre) vuole restituite. Dal centro di servizio assoluto silenzio. L'ufficio si limita a indicare il responsabile del procedimento ma non dà seguito alla richiesta di risarcimento. E alla fine la vertenza arriva sulla scrivania del giudice di pace.

La decisione

Nella sentenza (n. 653/2000) il giudice Bernardo Caracciolo afferma, innanzitutto, che anche la pubblica amministrazione deve osservare il principio fondamentale del "neminem non (sic!) ledere".

Cioè mettere in pratica le regole comuni poste dal codice civile a tutela dei terzi.

Il non avere considerato, da parte dell'ufficio delle finanze, che la signora destinataria della cartella era a carico previdenziale del coniuge e quindi non soggetta al versamento di alcuna somma a titolo di Irpef "concretizza una condotta negligente, determinante un evento illegittimo (...) oltre che illecito (in quando determinante un danno economico)".

Né può trattarsi di un errore scusabile: la norma (allora richiamata nel rigo VI del quadro V del mod. 740) che esenta dall'imposta le persone a carico previdenziale di altre è, secondo il giudice, di lettura così semplice da non poter presentare difficoltà interpretative.

La signora, dunque, ha subito un danno. E a risponderne, afferma la sentenza, è proprio il centro di servizio, la cui errata attività di liquidazione della denuncia dei redditi ha provocato l’invio della cartella sbagliata e, di conseguenza, la necessità per la destinataria di rivolgersi a un commercialista, sborsando soldi per l'assistenza.

Al proposito, il giudice osserva che l’istanza di sgravio può sì essere prodotta direttamente dal contribuente; ma si tratta di una facoltà, e non di un obbligo, tenuto anche conto delle difficoltà che la gente comune ha nel "maneggiare" la materia fiscale.

L'onorario, dunque, va rimborsato. Morale: le finanze sono state condannate a pagare 300 mila lire di risarcimento danni, 480 mila lire per spese di lite più gli accessori di legge (Iva al 20%, cassa previdenza avvocati al 2%, tutte le spese per la notificazione della sentenza all'avvocatura dello stato, richiesta di pagamento ed eventuale atto di precetto per la riscossione). Un conto da oltre 1 milione. Per una cartella da 629 mila lire.