LUIGI OLIVERI

Le competenze della dirigenza nell'assetto degli Enti locali disegnato dal Testo unico – Il riparto in rapporto al Segretario e al Direttore generale

Il D.lgs 267/2000 rende più chiare le competenze della dirigenza e, soprattutto, la sfera di autonomia della dirigenza rispetto sia alla parte politico-amministrativa, sia alle figure di coordinamento, rappresentate dal segretario e dal direttore.

IN RAPPORTO AGLI ORGANI DI GOVERNO. La giunta, come previsto dall'articolo 48 del testo unico, deve compiere unicamente atti concernenti le funzioni di governo. L'eliminazione nell'articolo relativo alle competenze giuntali a qualsiasi riferimento alla possibilità di emanare atti di amministrazione attiva in alternativa alla dirigenza, rende chiaro che la residualità della competenza della giunta adesso opera esclusivamente nei riguardi degli altri organi di governo. La giunta opera solo laddove la legge e lo statuto non attribuiscano competenze al sindaco o al consiglio.

Pertanto, quando si verta in merito ad atti relativi alla gestione, la competenza è esclusivamente riservata alla dirigenza: non è più possibile ritenere che la giunta in via residuale adotti provvedimenti amministrativi di natura gestionale, nemmeno al fine di superare l'empasse determinata da possibili "zone grigie" della ripartizione delle competenze tra dirigenti o responsabili di servizio.

Dal canto suo, l’articolo 107 del testo unico completa il quadro previsto dall’articolo 48, attraverso i commi 4 e 5 del medesimo articolo 107, i quali dispongono rispettivamente che le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate (per il futuro) soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative, mentre immediatamente a seguito dell’entrata in vigore del testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi politici il compito di adottare atti di gestione, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salve le attribuzioni del sindaco disposte dagli articoli 50, comma 3, e 54 del testo unico, che comunque attengono rispettivamente sempre al compimento di funzioni di governo dell’ente o all’esercizio delle funzioni di ufficiale di governo.

Quindi, da un lato lo statuto non può assegnare alla giunta le competenze gestionali, in quanto eventuali eccezioni o deroghe al principio della separazione delle funzioni possono essere operate solo dalla legge: si è in presenza, dunque, di una vera e propria riserva di legge, che sottrae alla normativa statutaria la possibilità di assegnare, legittimamente, alla giunta, funzioni di natura gestionale.

D'altro lato, disposizioni di legge e statutarie non conformi al principio in esame, in quanto assegnino agli organi di governo l'adozione di atti di gestione o provvedimenti amministrativi (da intendere come provvedimenti di natura non programmatica o di indirizzo), sono applicabili solo in quanto si intenda che l'attribuzione di dette competenze si intenda assegnata alla dirigenza.

In altre parole, non occorre attendere l'adeguamento dello statuto alle norme contenute nel D.lgs 267/2000, relativamente all'applicazione del principio della separazione, perché i dirigenti comincino ad adottare tutti gli atti gestionali che eventualmente fossero ancora assegnati alla giunta.

A questo punto, appare ancora più chiaro di quanto già non lo fosse nel previgente regime, che l’elencazione delle competenze dirigenziali contenuta nel comma 3 dell’articolo 107 (che riprende il comma 3 dell’articolo 51 della legge 142/1990) è soltanto esemplificativa, in quanto descrive le attribuzioni principali della dirigenza. Gli statuti, nell'adempiere al loro compito di specificare le competenze degli organi, allora, potranno solo evidenziare ed esplicitare ulteriori competenze e responsabilità, che, comunque, anche a prescindere di espresse disposizioni statutarie saranno egualmente da considerare appartenenti alla sfera della dirigenza, proprio per effetto dei citati commi 4 e 5 dell’articolo 107.

La difficoltà nel definire la linea di confine delle competenze dirigenziali da quelle giuntali, resa certamente più ampia dal D.lgs 267/2000, deriva dal fatto che il testo unico, come del resto prima la legge 142/1990, non definisce le competenze della giunta, sottolineando, semmai, i casi di incompetenza dell'organo "esecutivo" che da oggi sarebbe più corretto definire "di programmazione operativa". Occorre, però, alla luce della nuova formulazione del testo, chiedersi quali siano le funzioni di governo alle quali la giunta è chiamata ad attendere, fermo restando che l’amministrazione concreta appartiene alla dirigenza, mentre le competenze del consiglio e del sindaco sono certamente inalienabili e non esercitabili dalla giunta.

Nel diritto positivo, è l’articolo 3, comma 1, del D.lgs 29/1993 che si occupa di individuare le funzioni proprie degli organi di governo, disponendo che "Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Ad essi spettano, in particolare:

a) le decisioni in materia di atti normativi e l'adozione dei relativi atti di indirizzo interpretativo ed applicativo;

b) la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l'azione amministrativa e per la gestione;

c) la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale;

d) la definizione dei criteri generali in materia di ausili finanziari a terzi e di determinazione di tariffe, canoni e analoghi oneri a carico di terzi;

e) le nomine, designazioni ed atti analoghi ad essi attribuiti da specifiche disposizioni;

f) le richieste di pareri alle autorità amministrative indipendenti ed al Consiglio di Stato;

g) gli altri atti indicati dal presente decreto".

Questa elencazione va completata con le disposizioni dell’articolo 14 del medesimo decreto legislativo, a mente del quale "Il Ministro esercita le funzioni di cui all'articolo 3, comma 1. A tal fine periodicamente, e comunque ogni anno entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, anche sulla base delle proposte dei dirigenti di cui all'articolo 16:

a) definisce gli obiettivi, priorità, piani e programmi da attuare ed emana le conseguenti direttive generali per l'attività amministrativa e per la gestione;

b) effettua, ai fini dell'adempimento dei compiti definiti ai sensi della lettera a), l'assegnazione ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni delle risorse di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), del presente decreto, ivi comprese quelle di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, ad esclusione delle risorse necessarie per il funzionamento degli uffici di cui al comma 2; provvede alle variazioni delle assegnazioni con le modalità previste dal medesimo decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279, tenendo altresì conto dei procedimenti attribuiti ed adotta gli altri provvedimenti ivi previsti".

E’ bene ricordare che ai sensi dell’articolo 27-bis del D.lgs 29/1993, come ribadisce lo stesso articolo 111 del D.lgs 207/2000, gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti nelle norme fin qui citate, nel rispetto delle proprie peculiarità ordinamentali.

Traslando le previsioni dell’articolo 3, comma 1, del D.lgs 29/1993 all’ordinamento locale, si nota che la lettera e) relativa alle nomine e designazioni di rappresentanti dell’ente appartiene alla competenza consiliare. Le altre funzioni possono certamente essere esercitate dalla giunta, rientrando in particolare quelle delle lettere b) e c) nella funzione di redazione del Piano Esecutivo di Gestione. Anche l’elencazione dei compiti di governo di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 29/1993 attiene alle funzioni di programmazione da svolgere mediante il Peg.

Con particolare riferimento alla lettera d) dell'articolo 3, comma 1, del D.lgs 29/1993 è da evidenziare che le giunte non possono più legittimamente attribuire gli ausili finanziari e/o i contributi ai terzi. Per non correre il rischio di vedersi annullate per qualsiasi ragioni deliberazioni aventi questo fine, gli enti debbono provvedere a definire gli indirizzi generali per l'erogazione di detti aiuti, adottando regolamenti che individuino le "griglie", apposite tabelle che specifichino i casi nei quali è possibile procedere, definendo anche i minimi e i massimi di ciascun intervento finanziario. La concreta attribuzione dell'ausilio, comprendente l'identificazione del soggetto destinatario, deve, allora, spettare al dirigente. Nei casi di incertezza, non è da ammettere un intervento "di chiusura" della giunta, essendo legittimo solo un atto di indirizzo che, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, lettera a), del D.lgs 29/1993, specifichi un orientamento applicativo delle disposizioni regolamentari che stanno a monte.

Occorre aggiungere che il D.lgs 267/2000, all'articolo 78, comma 1, ha confermato la previsione di cui all'articolo 19, comma 3, della legge 265/1999, a mente della quale "il comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, e quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni".

Parte della dottrina (1) aveva sottolineato già a seguito dell'entrata in vigore della legge 265/1999 che la disposizione dell'articolo 19, comma 3, della medesima legge aveva contribuito a rendere più forte e pregnante il principio di separazione. Il testo unico irrigidisce e rende ancora più netto detto principio, talchè la previsione di cui all'articolo 78, comma 1, del testo unico rappresenta un'ulteriore elemento di illegittimità di un eventuale atto gestionale adottato dalla giunta, valutabile quindi dall'indagine dei giudici amministrativi.

IN RAPPORTO AL SEGRETARIO E AL DIRETTORE. Occorre sottolineare che il comma 2 dell'articolo 107 del testo unico sembra definire e garantire una specifica sfera delle competenze dei dirigenti, non solo in rapporto con gli organi di governo, ma anche in relazione al segretario ed al direttore generale.

Acclarato che alla dirigenza spetta un quantum di competenze indefettibile, che ai sensi del comma 6 dell'articolo 107, dà anche la misura della loro responsabilità diretta ed esclusiva, nel rilevare che l'articolo 107, comma 2, dispone che i dirigenti compiono tutti gli atti che comportano l'adozione di provvedimenti amministrativi (tra i quali quelli del terzo comma), che non rientrino nelle funzioni del segretario o del direttore generale, occorre chiedersi quale sia la portata di questa previsione.

E' certo che da essa discende la conseguenza (del resto già ovvia) dell'impossibilità per i dirigenti di esercitare le competenze specifiche del segretario o del direttore. Ma se le attribuzioni dei dirigenti, a mente del comma 4 dell'articolo 107, possono essere derogate solo espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative, ciò vuol dire che le loro competenze sono esclusive e non esercitabili da nessun altro soggetto. Pertanto, così come i dirigenti non possono esercitare le competenze del segretario e del direttore, allo stesso modo, occorrerebbe concludere che segretario e direttore non possono esercitare le competenze dei dirigenti.

Il che, prima facie, appare corretto, dati i compiti di direzione e coordinamento, che escludono in linea di principio la coincidenza tra coordinatore e gestore e, soprattutto, la coincidenza tra ruolo di controllore (insito soprattutto nella figura del direttore generale) e di controllato (2).

In questo senso, illuminante è l'ordinanza del Tar Lazio, sez. I, in data 19 luglio 2000, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del sistema delle nomina della dirigenza, come disegnata dal D.lgs 80/1998. Il giudice amministrativo laziale ha ritenuto con estrema chiarezza che uno degli elementi di sospetta incostituzionalità del sistema è dato proprio dallo strettissimo rapporto che lega le figure dirigenziali o comunque di vertice con l'amministrazione in relazione alla nomina esclusivamente fiduciaria, in quanto "il regime configurato per la dirigenza di vertice contraddice l'impostazione della riforma perché tradisce la scelta di principio di separazione tra politica ed amministrazione".

L'ordinanza sembra confermare quei diffusi orientamenti dottrinali che considerano non corretto attribuire funzioni gestionali, soprattutto sostitutive della dirigenza, al segretario o al direttore generale, proprio per lo strettissimo legame con gli organi politici che li nominano. Il direttore, in particolare, costituisce un vero e proprio alter ego del sindaco: una gestione diretta, da parte sua, potrebbe quindi rappresentare un escamotage per consentire al sindaco di gestire, sia pure per l'interposta persona del suo "fiduciario", rompendosi, quindi, il muro separatorio delle competenze, con i conseguenti problemi di legittimità.

Prima di giungere alla conclusione dell'indagine in merito alla portata dell'articolo 107, comma 2, del testo unico, occorre dare conto di quanto ha rilevato, in merito, dottrina (3) sempre attenta alle geometrie delle competenze tra organi dell'ente locale.

Tale dottrina nell'interpretare l'articolo 107, comma 2, ponendosi i medesimi dubbi proposti da chi scrive, pur nel sottolineare l'incertezza normativa, suggerisce di trattare distintamente la questione per il segretario, da un lato, ed il direttore generale, dall'altro.

Quanto al segretario, si conclude per l'ininfluenza dell'articolo 107, comma 2, in quanto l'articolo 97, comma 4, lettera d), consente al sindaco di attribuirgli "ogni altra funzione", sicchè anche quelle gestionali sarebbero comprensibili in dette attribuzioni.

Quanto al direttore generale, si conclude che in sede statutaria debba essere pur sempre considerato possibile assegnargli competenze gestionali "nella misura in cui ciò possa essere ritenuto funzionale ad un miglior conseguimento degli obiettivi e ad una più ottimale sovrintendenza alla gestione dell'ente". Pertanto, lo statuto, nella sua funzione di specificazione delle competenze degli organi, potrebbe comunque attribuire al direttore generale funzioni gestionali.

Le conclusioni cui giunge la citata dottrina, tuttavia, non appaiono appaganti.

IN RELAZIONE AL SEGRETARIO. Per quanto concerne il segretario comunale, la ricostruzione interpretativa delle sue competenza, in rapporto con quelle della dirigenza, debbono tenere conto di due imprescindibili considerazioni:

1) è stata abrogata – già con la legge 127/1997 la previsione, contenuta a suo tempo nell'articolo 52, comma 3, della legge 142/1990, a mente della quale al segretario erano attribuiti il compito di curare l'attuazione dei provvedimenti e la responsabilità dell'istruttoria delle deliberazioni, provvedendo ai relativi atti esecutivi, oltre ai compiti di sovrintendenza e coordinamento;

2) il D.lgs 267/2000 ha sancito, normativamente, che il segretario comunale, pur essendo un dipendente pubblico, non è né un funzionario, né un dirigente pubblico.

Ebbene, queste circostanza non possono essere pretermesse nell'indagine del significato dell'articolo 107, comma 2, del testo unico.

Con l'abrogazione dell'articolo 52 della legge 142/1990 è tramontata la configurazione del segretario comunale quale "vertice" burocratico. Non avendo più compiti attuativi ed esecutivi, il segretario deve esercitare le altre e diverse funzioni, di programmazione, coordinamento e sovrintendenza e controllo (abbia o meno l'incarico di direttore generale). D'altro lato, l'articolo 3, comma 2, del D.lgs 29/1993 (che contiene principi da considerare inderogabili anche per gli enti locali, dato che detti enti debbono adeguare il proprio ordinamento a detta disposizione, come prevede l'articolo 111 del testo unico) detta una disposizione, richiamata anche dall'articolo 107, comma 6, del D.lgs 267/2000, a mente della quale i dirigenti sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati.

Se una responsabilità è esclusiva, vuol dire che riguarda solo quei soggetti in capo ai quali è assegnata, con l'esclusione, appunto, di tutti gli altri. Il segretario comunale, allora, resta irrimediabilmente al di fuori di questa responsabilità, in quanto per legge non esercita più funzioni gestionali, sicchè, simmetricamente, non essendo dirigente, non può essere nemmeno responsabile della gestione.

Resta, allora, il problema della previsione normativa di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico, che consente al sindaco di attribuire al segretario comunale ogni altra funzione. All'apparenza, detta norma contrasta e si elide con la previsione dell'articolo 107, comma 4, del testo unico, per effetto della quale le attribuzioni dei dirigenti possono essere derogate solo espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

Tuttavia, non è pensabile che nell'ambito di uno stesso provvedimento normativo (che tra l'altro è un testo unico di coordinamento) esistano due norme antitetiche, dunque non coordinate, e quindi incompatibili. Occorre, allora, dare vita ad un'interpretazione sistematica che renda le due norme conciliabili tra loro.

Pertanto, bisogna individuare quali tra le due norme costituisca la premessa maggiore, in rapporto alla quale l'altra sia la premessa minore.

Appare logico, allora, che la norma di riferimento sia quella che ponga la riserva di legge, ovvero l'articolo 107, comma 4: l'esclusività delle competenze dirigenziali può essere derogata solo con legge, non con lo statuto.

Allora, l'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico deve essere letto nel senso che lo statuto o il sindaco possono attribuire al segretario comunale ogni altra funzione, ad eccezione, quindi, delle funzioni dirigenziali, che non possono non fare capo ai dirigenti o ai responsabili di servizio a pena di stravolgere l'assetto normativo previsto dal legislatore.

Solo in tal modo è possibile rendere compatibili le disposizioni del testo unico fin qui analizzate.

D'altra parte, pare necessario sottolineare che le "funzioni", cui si riferisce l'articolo 97, sono cosa diversa dal concetto di "competenza", trattato, invece, dall'articolo 107.

La competenza, infatti, delinea i confini entro i quali gli organi possono esercitare le pubbliche potestà loro affidate dalla legge o dai regolamenti. In particolare, La competenza per materia attribuisce a ciascun organo una specifica cerchia di branche tecnico amministrative da regolamentare o gestire.

Le funzioni sono, invece, le modalità di esplicazione delle competenze. Restando all'articolo 107, la competenza della materia gestionale è fissata dai commi 1 e 2; il comma 3, invece, specifica alcune delle funzioni esercitabili nell'ambito della competenza gestionale.

Ora, a mente dell'articolo 6, comma 2, del testo unico lo statuto specifica le competenze degli organi, ma non attribuisce le competenze. Fermo restando, allora, che l'individuazione della sfera di competenza resta affidata al legislatore (si ribadisce che nel caso delle competenze dirigenziali c'è una vera e propria riserva di legge), lo statuto può solo specificare le funzioni esercitabili nell'ambito delle competenze, ma non attribuire competenze.

Dunque, se le cose stanno così, con lo statuto si possono solo specificare le funzioni del segretario, ma non assegnargli competenze, derogando alla legge. Questa è un'ulteriore considerazione che porta a concludere che l'articolo 97, comma 4, lettera d), non permette di assegnare al segretario competenze gestionali, ma solo di attribuire funzioni. Allora, è ammissibile che al segretario siano assegnate funzioni, non competenze, dirigenziali-gestionali, ma al solo scopo di consentire la copertura del vertice burocratico di un determinato settore, in caso di vacanza, assenza o impedimento del titolare del settore medesimo, e, dunque, per un periodo limitato e sempre a condizione che non sia prevista l'assegnazione ad interim delle funzioni di direzione ad altro dirigente o responsabile di servizio, soluzione che apparirebbe più confacente, ma che oggettivamente nei comuni di piccole dimensioni spesso non è praticabile.

L'esercizio di tali funzioni, allora, sarebbe necessariamente a tempo determinato ed a scadenza: in sostanza, non sarebbe ammissibile, neppure per via statutaria, assegnare in via normale la direzione di una struttura al segretario comunale. Il che, per altro, appare corretto anche per non gravare detta figura di responsabilità ulteriori o trasformarlo in una sorta di demiurgo, che tutto risolve, ivi comprese le carenze organizzative e strutturali dell'amministrazione, che invece vanno risolte unicamente prevedendo per ogni struttura di vertice un dirigente o responsabile di servizio che si assuma il compito e le responsabilità connesse alla direzione delle strutture medesime.

IN RELAZIONE AL DIRETTORE GENERALE. Resta, ovviamente, chiaro che quanto detto fin qui vale anche per il segretario-direttore. Ma nei riguardi del segretario privo di incarico di direttore generale possono applicarsi, sia pure con alcune diversità, le ragioni che inducono a ritenere non corretta l'assegnazione di funzioni e/o competenze gestionali al direttore generale.

In questo caso, al di là del fatto che nessuna norma di legge consente espressamente di attribuire al direttore generale dette competenze, vale pur sempre il rilievo che, tecnicamente, il direttore generale non è un dirigente. E' prevista, del resto, una vera e propria incompatibilità tra la figura del direttore generale e quella del dirigente (che se incaricato di detta funzione deve collocarsi in aspettativa); non è un caso, invece, che il segretario possa svolgere l'incarico di direttore senza che subentri nessuna incompatibilità.

Sicchè, se il direttore fosse investito della gestione, diverrebbe a sua volta un dirigente, con un'evidente e, qui, insanabile contraddizione.

Non pare possibile, come pure ha ritenuto l'illuminata dottrina cui si è fatto prima riferimento, ritenere che lo statuto possa assegnare competenze e funzioni gestionali al direttore generale, in base ad una valutazione di opportunità o di strategia organizzativa. La forza normativa dello statuto deriva dalla legge, non può accrescersi o diminuirsi in base a valutazioni di merito o di opportunità. Se, quindi, lo statuto non può assegnare competenze dirigenziali perché la legge non lo consente (potendo solo specificare le competenze) allora non sarebbe legittima una disposizione statutaria che assegnasse funzioni e/o competenze dirigenziali al direttore generale, anche se si considerasse tale previsione opportuna.

Ma, oltre a questi rilievi, restano comunque assorbenti e fondamentali i dubbi, come visto sopra sottolineati anche dal Tar Lazio, della legittimità dell'assegnazione di funzioni operative-gestionali ad un soggetto che finirebbe per essere il controllore di se stesso, ma soprattutto la trasfigurazione dell'organo politico, che lo nomina fiduciariamente ed al quale è legato a doppio filo, sicchè l'azione gestionale del direttore generale finirebbe per essere un modo surrettizio per consentire all'organo politico di gestire, quando, appunto per ragioni di opportunità, si ritenga che certe attività non debbano essere lasciate alla direzione di un soggetto, il dirigente a tempo indeterminato, che essendo di carriera ha un'autonomia certo maggiore del direttore generale.

Le sfere di competenza dei dirigenti o responsabili di servizio, allora, debbono ritenersi intangibili ed esclusive, come del resto, le loro responsabilità. Il che dovrebbe escludere, allora, il ricorso generale all'assegnazione al segretario della responsabilità di servizi.

La norma dell'articolo 107, comma 2, propone, allora, risvolti di natura organizzativa: gli enti locali, in linea di principio, ad ogni struttura di vertice debbono preporre un dirigente o responsabile. Il segretario o il direttore dovrebbero agire quali responsabili solo nei casi di vacanza, assenza o impedimento, per garantire la continuità della gestione (sempre che non si ricorra al conferimento ad interim ad altri dirigenti).

 

(1) L. Oliveri, "La riforma delle autonomie locali", Maggioli, Rimini, 1999, pagg. 164 e segg.

(2) Cfr. in tal senso, L. Oliveri, op. cit., pagg. 166-168, "La disposizione, pone, semmai un problema: occorre capire se la mancata menzione, tra i dirigenti, delle figure del segretario comunale e del direttore generale sia casuale. Oppure, il frutto di un preciso ragionamento del legislatore, ai sensi del quale segretario e direttore non sono compresi nella controparte tecnico amministrativa. Sicchè, l'articolo 19, comma 2, della legge 265/1999, potrebbe configurarsi come l'implicita ulteriore trasformazione del ruolo di segretari e direttori in funzionari tecnico-politici, appartenenti all'apparato politico e non gestionale. In realtà, è osservazione che sta diventando comune in dottrina, per quanto riguarda il direttore generale, che questo non appartenga all'apparato tecnico dirigenziale. Infatti, nonostante vi siano anche voci contrarie, la dottrina osserva che questo soggetto non è un dirigente dell'apparato, non svolge attività gestionali, e la sua nomina presenta indubbi aspetti di analogia con la nomina che il sindaco effettua nei confronti degli assessori. Tra direttore e organi di governo c'è un rapporto talmente diretto, che oggettivamente non può negarsi una sua collocazione su un piano diverso da quello dell'apparato dirigenziale. Tanto più che, spesso, il direttore generale è parte – componente o presidente – dei nuclei di valutazione dei dirigenti. Perciò, ai sensi dell'articolo 20, posto alle dirette dipendenze dell'organo di governo, del quale è promanazione tecnica, e contrapposto a coloro che sono soggetti alla sua valutazione. Sebbene, allora, il direttore generale svolga una funzione di trade union tra organi politici e gestionali, ai fini della realizzazione del programma, è chiaro che egli non sta in una posizione esattamente intermedia tra i due insiemi, ma è un'estensione tecnica dell'organo di governo. Si comincia, non a caso, a parlare di <<assessore tecnico aggiunto>>. Le medesime considerazioni possono essere svolte per il segretario nominato anche alla carica di direttore generale. Ma anche nei riguardi del segretario comunale privo dell'incarico di direttore generale, può osservarsi il fenomeno di fatto della sua collocazione come controparte della dirigenza. Infatti, il segretario, oltre ad essere nominato per scelta nominativa del sindaco (mentre i dirigenti vengono ancora selezionati tramite concorso, ad eccezione delle ipotesi di cui all'articolo 51, commi 5 e 5bis, della legge 142/90), a sua volta sovente fa parte del nucleo di valutazione. Mentre, per contro, egli non è soggetto alla valutazione di tale organo, essendo la sua attività subordinata al giudizio della giunta e del sindaco, i quali possono concorrere alla sua revoca, in caso di gravi violazioni di legge. Sulla base di queste considerazioni, si potrebbe concludere che il legislatore ha intenzionalmente escluso le figure del direttore generale e del segretario, nella formulazione dell'articolo 19, comma 3, della legge 265. Quindi, sembra possibile interpretare la norma nel senso che la distinzione delle funzioni e competenze dirigenziali non vada garantita soltanto nei riguardi degli organi di governo, ma anche nei confronti dei soggetti tecnici, diretta emanazione dei medesimi organi. Sicchè, anche il comportamento del direttore generale e del segretario deve conformarsi al principio di imparzialità, buona amministrazione e, soprattutto, rispetto dell'autonomia dei dirigenti. Sarebbe la conferma dell'esistenza, tra direttore e segretario, da un lato, e dirigenti, dall'altro, di un rapporto non di sovraordinazione gerarchica, ma di direzione e coordinamento. Pertanto sono da escludere provvedimenti di avocazione, ordini di servizio o anche direttive volte a restringere il campo delle scelte tecniche gestionali dei dirigenti, da parte di direttore o segretario. Infatti, violerebbero non solo principi generali sostenuti dalla dottrina sull'organizzazione amministrativa, ma anche una disposizione di legge, sia pure implicita, quale appunto l'articolo 19, comma 3, della legge 265/1999".

(3) E. Barusso, Comuni d'Italia n. 9/2000, pagg. 1152-1154.