Italia Oggi 16 febbraio 2001

Analisi/Effetti della legge 340/2000

La conferenza dei servizi inciampa sul maggioritario

Di Ernesta Iorio e Caterina Iorio

La legge annuale di semplificazione n. 340/2000 ha introdotto rilevanti modifiche all'istituto della conferenza dei servizi già disciplinata dagli artt. 14 e seguenti della legge 241/90 e successive modifiche e integrazioni.

Ma tale intervento ha chiarito e risolto solo in parte i dubbi interpretativi e le difficoltà applicative già riscontrate per il passato.

Perplessità emergono circa la natura giuridica della conferenza di servizi decisoria e il problema dell'applicabilità del principio maggioritario al procedimento di formazione della decisione finale.

La novella legislativa, infatti, intervenendo incisivamente sulla precedente formulazione dell'art. 14 del vecchio testo, ha completamente omesso al comma 2 ogni riferimento alla natura di accordo amministrativo della decisione finale adottata in sede di conferenza.

La precedente formulazione della disposizione citata, parlava di "determinazioni concordate" in sede di conferenza e, sulla base del dato letterale, la dottrina più attenta ha sempre attribuito alle decisioni assunte in tale sede, la natura di accordo amministrativo nel quale tutte le amministrazioni intervenute esprimono il proprio consenso in luogo degli atti di competenza di ciascuna di esse.

In sintesi: un'"approvazione collettiva" dell'iniziativa tale da escludere la configurazione della conferenza quale collegio e l'applicabilità del principio della maggioranza.

Stando, invece, alla nuova formulazione dell'art. 14-ter, comma 1, così come introdotto dall'art.11 della novella, "la conferenza di servizi assume le determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori a maggioranza dei presenti".

Il dato normativo sembrerebbe assimilare la conferenza a un vero e proprio collegio, seppure imperfetto, che si esprime a maggioranza dei presenti e la cui decisione finale assumerebbe la natura di vera e propria approvazione di una proposta di provvedimento.

Tuttavia, la formulazione letterale della norma, che espressamente applica il principio maggioritario solo "alle determinazioni relative all'organizzazione dei propri lavori", ingenera non pochi dubbi, sotto il profilo dogmatico, in merito alla possibilità di estendere, sic et simpliciter, il medesimo criterio alla formazione della volontà conclusiva.

Sennonché a dire dei più l'introduzione del principio maggioritario (sebbene espressamente circoscritto) e l'eliminazione di ogni accenno alle determinazioni concordate renderebbe verosimile l’applicazione dello stesso anche al modo di formazione della decisione conslusiva.

A conferma di quanto sostenuto si richiama l’art. 12 comma 2, della legge 340 che, nel disciplinare le fattispecie di dissenso, riconosce all’amministrazione procedente la facoltà di assumere comunque la determinazione di conclusione del procedimento ed, espressamente, lega il contenuto di quest'ultima alla "maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi.

L'assunto sembrerebbe ulteriormente confermato dal riconoscimento della legittimazione alla partecipazione alla conferenza di un unico rappresentante, accorgimento volto a garantire un'equa capacità decisionale agli enti intervenuti.

Ciò posto, alfine di evidenziare le incongruenze normative, è opportuno procedere a un esame sistematico della disciplina in materia senza perdere di vista la ratio sottesa all'istituto della conferenza.

In proposito si osserva che l'attribuzione di un potere decisionale, in caso di dissenso, in capo all'amministrazione procedente sulla base delle posizioni espresse a maggioranza in sede di conferenza, costituisce certamente uno strumento di soluzione al problema del dissenso, così come, nella precedente formulazione dell'art. 14, il potere di sospensione della decisione assunta non all'unanimità in sede di conferenza, costituiva un mero strumento procedimentale finalizzato al superamento del dissenso espresso dalle amministrazioni partecipanti che non trova però riscontro nel più generale principio di legalità.

Basti considerare la natura intrinseca dell'istituto della conferenza di servizi che si configura come mero strumento di semplificazione procedimentale: il ricorso alla conferenza di servizi non altera, infatti, le sfere di competenza e la ripartizione dei poteri attribuiti, alle amministrazioni di volta in volta coinvolte, per la tutela di specifici interessi, ma muta semplicemente le modalità di esercizio di ciascun potere, che non si esaurisce nella mera adozione dell'atto procedimentale di competenza (nullaosta, parere ecc.), ma si espande in una vera e propria discussione sul contenuto dell'atto finale diretta a contemperare tutti gli interessi pubblici coinvolti.

L'applicazione del principio maggioritario, al contrario, non solo elimina la pari dignità dei vari interessi, direttamente tutelati dalla norma attributiva del potere, qualora uno di questi fosse posto in minoranza in sede di votazione, ma sconvolge l’assetto delle competenze attribuite ai diversi organi ed enti per la tutela di specifici interessi pubblici.

Se questo è l’intento del legislatore, la conferenza di servizi rappresenta un'utile strumento per obliterare le discrezionali valutazioni degli enti dissenzienti, preposti ex lege alla tutela degli interessi pubblici concreti coinvolti nel procedimento, e trasferire i relativi poteri in capo all’ente procedente la cui decisione, sebbene avvalorata dalla maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza, manca delle valutazioni della p.a. a cui la legge ha conferito il relativo potere.