ITALIA OGGI – 13.10.00

Le motivazioni della Corte dei conti sul caso Rutelli

UN ALTOLA’ ALLE CONSULENZE NON NECESSARIE

Di Enrico Scoccini e Giuseppe Ripa

 

La leggerezza non si confà ai pubblici amministratori.

È infatti vietato ricorrere a consulenti o a operatori esterni se la scelta non si pone in un’ottica di convenienza economica e di opportunità ai fini di una sana e corretta amministrazione.

E la prescrizione decorre non dal compimento del fatto, ma dalla sua scoperta.

È in questo contesto che si cala la sentenza emessa dalla Corte dei conti il 25 settembre 2000 soprattutto per i risvolti politici assunti essendo stata resa pubblica contemporaneamente alla designazione di Rutelli quale leader dello schieramento di centro-sinistra.

Tuttavia, sotto il profilo giuridico, la sentenza in questione non è meno importante, per l'affermazione di alcuni importanti principi in materia di responsabilità amministrativa, di cui gli amministratori e dipendenti degli enti locali dovranno per il futuro tener conto.

Prima di esaminare le affermazioni di diritto della Corte, è bene esaminare brevemente il caso.

La procura della Corte dei conti ha citato a giudizio, innanzi alla sezione giurisdizionale del Lazio, il sindaco di Roma Francesco Rutelli, insieme ad altri 18 convenuti, tra assessori, funzionari comunali e beneficiari degli incarichi che, a diverso titolo, in relazione alle rispettive finzioni all'interno dell'amministrazione, avrebbero concorso ad arrecare un danno erariale al comune di Roma, in quanto avrebbero affidato a consulenti esterni, scelti fiduciariamente dal sindaco o dagli assessori, incarichi retribuiti.

La tesi accusatoria della procura si basa sulla tesi che gli incarichi erano generici e indeterminati, più volte prorogati, e tali da determinare un sistema surrettizio di assunzione di personale. La qualificazione professionale dei professionisti esterni era inoltre, secondo l’accusa, di liveIlo qualitativo alquanto scadente, né alcuni consulenti potevano vantare un'esperienza specifica nella materia oggetto dell'incarico.

I provvedimenti di nomina peraltro non esternavano i motivi per i quali tali professionalità non potevano essere reperite all'interno dell'amministrazione comunale.

Dinanzi a tale quadro accusatorio la Corte ha esaminato analiticamente le singole posizioni dei consulenti, i provvedimenti di nomina, i loro curricula, le retribuzioni corrisposte, le funzioni loro affidate in rapporto alla struttura organizzativa del comune di Roma e, alfine di stabilire la responsabilità erariale dei convenuti, ha predisposto una griglia valutativa, le cui maglie sono date da alcuni criteri guida:

  1. i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni, possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell'amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e, conseguentemente, implichino conoscenze specifiche che non si possono nella maniera più assoluta riscontrare nell'apparato amministrativo;
  2. l'incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa ma la soluzione di specifiche problematiche;
  3. deve caratterizzarsi cioè per la specificità e temporaneità, e deve dimostrarsi, altresì, l'impossibilità di adeguato assolvimento dell'incarico da parte delle strutture dell'ente per mancanza di personale idoneo;
  4. non deve rappresentare uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell'ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;
  5. il compenso connesso all'incarico dev'essere proporzionato all'attività svolta, e non liquidato in maniera forfettaria; - teri di conferimento;

  1. la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata alfine di consentire l'accertamento della sussistenza dei requisiti previsti;
  2. l’organizzazione dell'amministrazione deve, comunque, caratterizzarsi secondo i principi di razionalizzazione, non duplicazione di funzioni e non sovrapposizione con funzioni di attività e gestione amministrativa;
  3. deve caratterizzarsi per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane nonché per l’economicità, trasparenza ed efficacia dell'azione amministrativa;

l) l’amministrazione deve impiegare anzitutto le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato e che, solo nella documentata e motivata assenza delle stesse, possa far ricorso a professionalità esterne, peraltro, da individuare in base a criteri predeterminati, certi e trasparenti;

m) per gli incarichi a estranei è necessario anche che il conferimento debba contenere i criteri di scelta;

n) non sia generico o indeterminato alfine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell'ente, il che presuppone la ricognizione e la certificazione dell'assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste, e tutto questo sia per quanto riguarda l’indicazione dei requisiti che per ciò che concerne i criteri di conferimento;

o) tali criteri non debbano essere generici anche perché la genericità non consente un controllo della legittimità sull'esercizio dell'attività amministrativa di attribuzione degli incarichi;

p) i consulenti debbono avere una competenza e una esperienza specifica della materia oggetto della consulenza.

Così, applicando tali criteri, la Corte dei conti del Lazio ha ritenuto illegittimo il conferimento dell'incarico di consulente dell'assessore, relativamente alle comunicazioni ai cittadini dei provvedimenti attinenti le politiche della mobilità urbana, per una conduttrice radiofonica di programmi culturali, la cui attività principale, nel corso della consulenza, è stata quella di inviare dépliant, lettere e volantini ai cittadini, laddove il comune di Roma disponeva di un ufficio stampa con numerosi addetti.

Al pari è stata ritenuta illegittima e fonte di danno erariale, l'incarico di "elaborare studi e relazioni sulle problematiche concernenti l'ampio progetto di pubblicizzazione e diffusione dei programmi urbanistici" a una modella fotografica e collaboratrice di alcuni programmi televisivi, per mancanza di specifica professionalità e indeteminatezza dell'incarico.

Così pure è stato ritenuto illegittimo e fonte dì danno erariale un incarico, retribuito forfettariamente, a un giornalista concernente "il coordinamento e la realizzazione del programma di competenza del dipartimento politiche del territorio", in relazione al fatto che l'amministrazione disponeva già di una struttura tale da svolgere l’incarico, peraltro non complesso.

I casi concreti sono molto numerosi, ma le linee guida dei criteri di giudizio sono costanti nella sentenza della Corte dei conti.

Considerazioni diverse vengono svolte per quanto attiene alla responsabilità del segretario comunale e per i dirigenti dei servizi e per i capo di gabinetto del sindaco.

La Corte ha ritenuto che la loro responsabilità, per i pareri emessi in ordine alla sola regolarità tecnica, contabile e di legittimità, abbia il fondamento negli articoli 52 e 53 della legge 142/90, in cui è affermato il principio che "in presenza di un pregiudizio arrecato all'ente, il carattere consultivo dell’attività svolta non esclude la responsabilità del soggetto che ha formulato il parere".

La Corte si richiama a una sua pregressa e consolidata giurisprudenza al riguardo, secondo cui la responsabilità del segretario comunale e dei soggetti che ne svolgono le funzioni per l’attività consultiva è in relazione all'obiettiva e autonoma valenza procedimentale che tale attività svolge nell'ambito del procedimento, assumendo un ruolo causale ed efficiente nel venire in essere dell'atto illegittimo e dei suoi effetti pregiudizievoli.

I convenuti avevano al riguardo affermato che la loro attività meramente consultiva non aveva alcun nesso causale con l'evento pregiudizievole consistente nel danno erariale, in quanto il parere consultivo ma non vincolante non aveva l'effetto di sospendere il procedimento amministrativo.

Ma, ad avviso della Corte, il parere motivato di dissenso dei responsabili dell'amministrazione avrebbe avuto l'effetto di dissuadere il sindaco e gli assessori dall'adottare le delibere illegittime e produttive di danno.

La Corte ha inoltre trattato un'altra questione di grande interesse pratico: quella della prescrizione.

Tutti i convenuti avevano al riguardo eccepito preliminarmente la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni i erariali, perché alcuni fatti contestati attenevano a un periodo anteriore al quinquennio.

Ad avviso della Corte la decorrenza della prescrizione inizia non dal compimento del fatto illegittimo produttivo di danno, ma dalla sua scoperta, e ciò in applicazione dell'art. 2935 c.c, secondo cui la prescrizione inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, con ciò dilatando notevolmente i termini di prescrizione, che in pratica vengono fatti coincidere con il momento in cui non viene segnalato pubblicamente l'evento dannoso.

Infine, è da segnalare un'ultima, ma non meno importante, questione, affrontata dalla Corte dei conti in relazione alle modifiche normative introdotte dal legislatore, quasi in concomitanza con il procedere del giudizio della Corte nel caso in esame.

L'art. 6, comma 8, della legge 127/97, ha statuito che al comma 7, dell'art. 51 della legge 142/90 è aggiunto il seguente periodo: "Il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi può, inoltre, prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta e degli assessori, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti dai dipendenti dell'ente, ovvero, purché l'ente medesimo non abbia dichiarato il dissesto e non versi nelle situazioni strutturalmente deficitarie di cui all'art. 45 del dlgs 504/92 e successive modificazioni, da collaboratori assunti a tempo determinato"

È’ seguìto il dl 26 gennaio 1999 n. 8, convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1999 n. 75, che all'art. 2, comma 2-bis, ha statuito che "le disposizioni di cui all'art. 51, comma settimo, della legge 8 giugno 1990 n.142, così come integrate dall'art. 6, comma ottavo, della legge 15 maggio 1997 n. 127, si applicano a ciascun comune. e in ciascuna provincia, a decorrere dalla data delle prime elezioni effettuate ai sensi della legge 25 marzo 1993, n. 81".

Sulla base di tali norme, i convenuti avevano eccepito la cessazione della materia del contendere, non potendo più essere considerati illeciti i fatti contestati, in relazione a tali norme.

Ma la Corte ha al riguardo affermato che la chiamata in giudizio dei convenuti riguarda le consulenze esterne conferite nel triennio1994-1995-1996; l'atto di citazione è stato depositato il 12 marzo 1999 mentre l’emendamento all'art. 2 del dl 29 gennaio 1999 è stato presentato per la prima volta al senato il 23 febbraio 1999, approvato il 23 marzo 1999 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 27 marzo 1999.

Ad avviso della Corte, indipendentemente dalla qualificazione che si voglia dare alla legge 25 marzo 1999 n. 75, l'indagine della procura, effettuata sulle consulenze dei soli anni 1994-1995 e 1996 rendono ininfluenti e ultronee le argomentazioni svolte al riguardo dalla difesa dei convenuti.

Infatti, si è innanzi a rapporti giuridici già conclusi ossia esauriti e definiti. In questo contesto, irretroattività significa che la nuova legge non può modificare, ora per allora, i termini di tali rapporti: non escludere tutto questo significherebbe che, su questioni già concluse, l'ordinamento giuridico può essere modificato unilateralmente a cose fatte e ciò in violazione di un principio di civiltà giuridica essenziale.

Reputa il collegio che nella fattispecie non è applicabile la legge sopravvenuta n. 75, del 1999 perché incontra il limite "del fatto compiuto" per cui le nuove norme non possono essere applicate a rapporti precedentemente sorti i cui effetti sono già esauriti.

Da ciò discende che non risulta venuto meno l'interesse alla prosecuzione dell'attività processuale in questione per cessazione della materia del contendere.

Ne consegue che all'attualità permangono gli effetti dannosi nei confronti del comune di Roma cagionati dai suoi amministratori.

Se da un lato la tesi interpretativa della Corte si presta a riserve e dubbi, non può certo non evidenziarsi l'atteggiamento del legislatore, che interviene, con leggi definite interpretative e quindi retroattive, per rendere leciti fatti e procedure, che sulla base della vigente normativa all'epoca del loro compimento erano per certo illegittimi.

II giudizio allora, anche in relazione alla vicinanza tra alcuni personaggi coinvolti nel giudizio di responsabilità erariale ed alcuni esponenti del governo che ebbero a proporre le modifiche legislative, più che giuridico diviene politico.

 

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