IL SOLE 24 ORE – 9.10.2000

ZONA GRIGIA TRA REGOLARITA’ E MALCOSTUME

di MARCELLO CLARICH

Le consulenze esterne della pubblica amministrazione, ovvero una zona grigia nella quale è difficile distinguere il sano dal marcio.

Le polemiche recenti sugli incarichi a consulenti poco qualificati affidati dalla giunta del Comune di Roma e finiti nel mirino della Corte dei conti pongono sul tappeto un problema complesso.

Anzitutto, anche nel settore privato le consulenze si prestano a usi impropri. Possono costituire, infatti, strumento di evasione fiscale. Come ha dimostrato Tangentopoli, possono anche coprire fenomeni di corruzione, sotto forma di compensi per i "buoni uffici" volti a procurare commesse o favori di altro tipo.

Nella pubblica amministrazione il tema ha più facce. Intanto, è certamente vero che il ricorso alle consulenze esterne è spesso giustificato dalla povertà delle risorse umane e professionali interne agli uffici e dalle rigidità che ancor oggi caratterizzano il pubblico impiego.

Se gli amministratori e i dirigenti pubblici potessero davvero licenziare i pesi morti e assumere al loro posto, sulla base di concorsi seri, personale qualificato, il fenomeno delle consulenze si sgonfierebbe.

Oltretutto le migliori professionalità formatesi all'interno delle amministrazioni, in mancanza di incentivi economici e di carriera adeguati, tendono oggi a offrirsi sul mercato, ottenendo spesso posizioni di prestigio e ben remunerate nel mondo delle imprese private e delle libere professioni.

Da questo punto di vista la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici operata con il decreto n. 29 del `93 non ha ancora prodotto i risultati sperati.

E’ anche vero che i vertici politici delle amministrazioni hanno necessità di dotarsi di un nucleo di collaboratori di fiducia, magari già sperimentati in altri contesti.

Non a caso la riforma Bassanini (legge n. 127 del 1997) consente ora agli enti locali di istituire uffici di diretta collaborazione del sindaco con personale assunto tramite contratti a termine di diritto privato.

Fin qui tutto bene. I guai cominciano quando le consulenze esterne vengono decise più a scopi clientelari che per esigenze effettive dell'amministrazione. Su questi abusi vigila doverosamente la Corte dei conti, custode supremo della buona gestione delle risorse pubbliche. Il Comune di Roma è solo la punta di un iceberg.

I criteri sono chiari: le amministrazioni si possono rivolgere a consulenti solo se mancano davvero risorse interne adeguate; le delibere di incarico devono motivare in modo specifico in ordine sia alla necessità di ricorrere alla consulenza, sia alla professionalità specifica della persona prescelta.

Per gli incarichi di consulenza più complessi, poi, che ricadono nella normativa sugli appalti di servizi (decreto legislativo n. 157 del 1995) vi è la regola della gara. Fuori da questo quadro restano comunque le consulenze affidate a istituti universitari e di ricerca pubblici, poco utilizzate e che invece andrebbero favorite.

L'abuso delle consulenze esterne, oltre che essere eticamente e legalmente scorretto, visto che si tratta di impiego di danaro pubblico, produce un ulteriore danno: demotiva i dipendenti pubblici più qualificati e solerti che perdono un'opportunità di esprimere la loro capacità e così sono indotti o a tirare i remi in barca o a lasciare l'amministrazione.

Si innesca così un circuito perverso che le forze insufficienti della Corte dei conti (ma anche delle procure penali), non riusciranno certo a spezzare.