ITALIA OGGI Sabato 27 Gennaio 2001

DIRIGENTI INDUSTRIALI

Federmanager chiede l'inserimento nell'ordinamento italiano delle definizioni varate in Europa

Dirigenti, qualifiche da riconoscere

Scade il 31 luglio il termine per recepire la direttiva dell'Ue

DI MASSIMO ROSSETTI

direttore generale Fndai

Come è noto, nel nostro ordinamento non esiste una definizione legale di dirigente.

Definizione che, pertanto, fino a oggi, è stata ed è di derivazione esclusivamente contrattuale collettiva e, prevalentemente, giurisprudenziale.

Ciò premesso, la direttiva 1999/42, in data 7/6/99, del parlamento europeo e del consiglio Ce, nell'istituire un meccanismo di riconoscimento delle qualifiche per le attività professionali disciplinate dalle direttive di liberalizzazione e che completa il sistema generale di riconoscimento delle qualifiche stesse, detta, per la prima volta, una definizione, a questo punto legale-comunitaria, di dirigente d'azienda.

Tale definizione è contenuta nell'art. 7 della direttiva e consiste nello svolgere in un'impresa del settore professionale corrispondente la funzione di direttore d'azienda o di filiale (lettera a), ovvero la funzione di institore a vice direttore, se tale funzione implica una responsabilità corrispondente a quella dell'imprenditore o del direttore d'azienda rappresentato (lettera b), ovvero la funzione di dirigente con mansioni commerciali e/o tecniche e responsabile di uno o più reparti dell'azienda (lettera c).

La direttiva dovrà essere trasposta nel nostro ordinamento prima del 31/7/2001 con decreto legislativo da emanarsi in attuazione della legge di delegazione (legge 29/12/2000, n. 422, così detta "legge comunitaria 2000") per il recepimento di disposizioni comunitarie.

Quanto alla portata della definizione in parola, essa, a mio avviso, non può che essere generale, poiché il titolo della direttiva fa espresso riferimento al completamento del sistema generale di riconoscimento delle qualifiche e, peraltro, riesce difficile pensare che, ad altri, eventuali fini, possano sussistere definizioni comunitarie di dirigente diverse da quelle di cui trattasi.

Si è, dunque, in presenza di una novità storica, suscettibile di radicali e profonde innovazioni sotto vari profili.

A questo proposito, dovrebbe, innanzitutto, venire definitivamente meno la nozione, esclusiva, di dirigente, quale alterego dell’imprenditore; nozione alla quale la Corte di cassazione si è, nel passato anche recente, prevalentemente e pervicacemente attenuta e alla quale, talvolta, continua ancora ad attenersi.

Mi sembra, infatti, evidente che la definizione di dirigente di azienda accolta all'art. 7, lettera c), della direttiva in argomento sia del tutto corrispondente a quella ricavabile dalla sentenza n. 12860/98 della stessa Cassazione: laddove si dà rilevanza, oltre che alla tradizionale capacità di incidere sull'andamento generale dell'impresa o di un suo ramo autonomo (requisito riservato solo all'alta o medio-alta dirigenza), alla capacità di incidere, in misura rilevante e immediata, sugli obiettivi dell'impresa medesima, anche quelli specifici di un settore in cui il dirigente operi.

Ciò è reso manifesto dal fatto che la lettera c) in questione si riferisce a mansioni commerciali e/o tecniche associate alla responsabilità anche di un solo reparto dell'azienda, posto che, usualmente, nelle realtà organizzativa aziendali, per "reparto" si intende la struttura minima dotata di autonomia.

Ritengo, quindi, che il reparto di cui parla la direttiva coincida nel nostro ordinamento con l’unità produttiva autonoma, come definita dalla giurisprudenza: vale a dire quella caratterizzata da sostanziali condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa, tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo produttivo o una frazione o un momento di esso.

Inoltre, questa definizione legale di dirigente, conforme alla realtà e alla dinamica socio-economica del mondo delle imprese e del lavoro, dovrebbe far cadere le artificiose segmentazioni della categoria operate, a vari fini, dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cassazione) dal '93 a oggi.

Più precisamente, mi riferisco alle distinzioni tra dirigente alterego, minidirigente, pseudodirigente, in specie sotto il profilo della preventiva contestazione degli addebiti in caso di licenziamento per colpa e dell’applicabilità, sempre in caso di licenziamento, delle guarentigie legali previste per altri lavoratori dipendenti.

Naturalmente tutto questo presuppone e implica che, così come, coerentemente con l’approdo a cui è pervenuto l’ordinamento comunitario, la Federmanager aveva anticipato nella propria piattaforma rivendicativa dell'ottobre 1999 per il rinnovo contrattuale concernente la categoria dei dirigenti dell'industria, si pervenga finalmente da parte delle imprese al riconoscimento della qualifica dirigenziale, alle figure apicali dei quadri, rispondenti alla definizione di dirigente di cui alla lettera c) dell'art. 7 della direttiva in discorso.

In questo modo si supererebbe la oggi anacronistica soluzione adottata, anche per ragioni allora molto contingenti, con la legge 13/5/85, n. 190, istitutiva dei quadri, ormai non più distinguibili dai dirigenti, nella accezione comunitaria di questi ultimi dettata dalla predetta lettera c), ferma restando la necessaria enucleazione nell'ambito degli attuali quadri, nei quali, per lo più, sono stati massivamente trasformati gli impiegati con mansioni direttive, dei lavoratori con le mansioni e le responsabilità previste dalla richiamata lettera c).

Sempre in questo modo, infine, si opererebbe la necessaria e indifferibile omogeneizzazione e armonizzazione dell'ordinamento italiano a quello comunitario per quanto riguarda la qualifica professionale di dirigente d'azienda.