ITALIA OGGI – 14.6.00

Provvedimenti Unilaterali e autoritativi hanno snaturato l’applicazione del ccnl

LA DIRIGENZA PUBBLICA E’ VIOLENTATA DALLE AMMINISTRAZIONI

di Antonio Contaldi

 

Con la contrattualizzazione anche per l'area della dirigenza pubblica, si era creduto di avere introdotto una regolamentazione privatistica e su basi paritetiche del rapporto di lavoro di questo personale; se, però, si esaminano i risultati dell'applicazione del contratto collettivo dei dirigenti del comparto "ministeri", tuttora vigente, si può dedurre che ne sono stati diffusamente violati i contenuti più qualificanti, con provvedimenti unilaterali e autoritativi.

Il discorso non può non cadere sull'articolo 37 (ccnl), il quale prevede che le funzioni dirigenziali vengano graduate sulla base della peculiarità, dell'importanza e della complessità dei compiti svolti, stabilendo altresì che per ogni funzione devono essere individuati i criteri compatibili.

Orbene, l’operazione di diverse amministrazioni è stata quella di sommare tutti i criteri previsti nel contratto stesso, applicandoli in maniera indifferenziata a tutte le figure dirigenziali, valutando così nello stesso modo lavoratori che svolgono compiti del tutto diversi.

Inoltre, il trattamento di tali criteri è avvenuto su basi puramente quantitative e prescindendo dalla collocazione degli uffici negli assetti amministrativi. Il risultato è stato che a uffici sovraordinati è stata attribuita una posizione meno favorevole rispetto a quella di uffici di livello inferiore. Con una simile scelta, in qualche amministrazione, le stesse figure professionali sono state addirittura collocate in una posizione diversa, in base al settore di. appartenenza: in sostanza, ogni ministero, applicando in tal modo il contratto, ha introdotto, in maniera illegittima, un proprio ordinamento della dirigenza. Altra parte molto importante è quella relativa alla valutazione dei risultati dell'attività dirigenziale.

Talune amministrazioni hanno costruito un sistema valutativo indicando un valutatore diverso da quello previsto dalla legge e dal contratto e predisponendo criteri non distinti per le funzioni dirigenziali da valutare: sarebbe come valutare l'orafo con gli stessi criteri di un meccanico.

Successivamente è stato emanato il dlgs 286/1999 che prevede una nuova disciplina dei controlli. Questo avrebbe dovuto almeno comportare un aggiornamento dei primitivi sistemi di valutazione; ma ci si è guardati dal farlo; la conseguenza è che l'attività dirigenziale non ha avuto e non ha un sistema di valutazione in linea con la legge.

Un'altra grave violazione della legge e del contratto è avvenuta in materia di affidamento di incarichi; qui talune amministrazioni, anziché porre in essere le procedure previste dall'art. 19 del diga 29/93, recepito dall'art. 22 del contratto collettivo, hanno dato luogo motu proprio ad avvicendamenti di dirigenti in sedi importanti, senza porre a concorso i posti residui vacanti.

Lo strumento preso a fondamento di una simile impostazione è la nuova formulazione dell'art. 19 del citato dlgs 29/93 contenuta nel dlgs 80/1998, secondo cui gli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale sono conferiti dal dirigente dell'ufficio di livello dirigenziale generale.

Questa disposizione, però, sposta solo la competenza a emanare il decreto di nomina del dirigente dal ministro al dirigente generale, in nulla innovando per quanto riguarda le procedure, che sono quelle paraconcorsuali stabilite nell'articolo 22 del contratto: è posizione della più accreditata dottrina (R. Scognamiglio, G. Zagrebelsky, T. Martines), del resto, che il contratto collettivo di lavoro e la legge operano in regime di separazione di competenza.

Non può, a questo punto, non essere evidenziata la grave situazione in cui è stata posta la dirigenza del comparto "stato" in seguito all'attuazione del ruolo unico previsto dal dpr 150/1999.

Molte amministrazioni, con interpretazioni arbitrarie e illegittime, hanno proceduto alla stipulazione di contratti con i singoli dirigenti, escludendone, però, molti altri. Questo fatto ha comportato per i dirigenti non confermati la messa a disposizione della presidenza del consiglio dei ministri, con la conseguente caduta in una condizione di precarietà di cui è facile comprendere il pregiudizio. Simili scelte, si ribadisce, sono state compiute al di fuori di ogni regola: infatti, né la normativa del dlgs 29/93, e tutte le successive modificazioni e integrazioni, né il ricordato dpr 150 del 26/2/1999, né il contratto danno questa facoltà.

La non conferma nell'incarico, peraltro, è avvenuta con atti privi di ogni motivazione, in palese violazione della legge 241/90, che stabilisce appunto un generale obbligo di motivazione per gli atti amministrativi, a "fortiori" per quelli che comprimono diritti.

Se poi si considera che la sola figura in base alla Costituzione (art. 97) che innesta sicuramente per i pubblici dipendenti processi di espulsione è la "giusta causa", si comprende che le scelte in questione avrebbero dovuto trovare fondamento in un sistema di valutazione, adeguato e trasparente, di cui le amministrazioni avrebbero dovuto munirsi e che allo stato, in generale, manca.

Il principio di spoils-system anche per i dirigenti di seconda fascia, nella versione di cui sono fatte portatrici le amministrazioni e che si è venuto concretizzando nell'uso arbitrario degli istituti normativi e contrattuali, non trova possibilità di cittadinanza nell'ordinamento giuridico italiano, fondato, com'è stato detto, su norme costituzionali che sanciscono l'indipendenza di tutti i pubblici dipendenti dai partiti politici e il principio di correttezza e imparzialità anche relativamente al rapporto di lavoro fra l’amministrazione e i medesimi.

Come ancora non porre in evidenza che talune parti dei contratti sottoscritti dai dirigenti contengono una derogatio in pejus rispetto alle previsioni del contratto collettivo? Si deve ora segnalare il comportamento antisindacale, quale emerge da una normazione delegata prodotta a getto continuo, che entra nel merito di istituti già definiti, per i dirigenti di seconda fascia, con regolamentazione contrattuale, senza alcuna intesa con le parti sociali. Non si può definire il nuovo contratto collettivo dei dirigenti se non si pone riparo ai numerosi errori compiuti nell'applicazione del primo contratto. Occorre, in via preliminare, fare una netta distinzione fra le questioni riguardanti le vicende del rapporto di lavoro e quelle che chiamano in causa i poteri autorganizzatori delle amministrazioni, riconducendo a contrattazione tutte le prime, quali, per esempio, i criteri per gli affidamenti di incarico, quelli per la valutazione del risultato, oltreché tutti i fatti involgenti la parte economica.

Si deve eliminare, alla luce degli evidenziati errori, la distinzione in fasce delle posizioni dirigenziali, dando però riconoscimenti più consistenti ai risultati delle attività; per questo bisogna costruire adeguati strumenti di misurazione, affidati a un organo imparziale e terzo, con la partecipazione dei dirigenti ai procedimenti valutativi.

Bisogna sanare le situazioni dei dirigenti ingiustamente allontanati dal posto di lavoro secondo equità e diritto. Si devono recuperare principi di trasparenza e di oggettività nell’affidamento degli incarichi dirigenziali e ciò perché è interesse dell'utente avere le professionalità più adeguate ai compiti degli uffici.

Si impone, in considerazione delle acquisite esperienze, la necessità di centralizzare la contrattazione delle parti di rilevanza generale in un unico agente pubblico, onde realizzare univocità di comportamenti e di determinazioni.

La disciplina del rapporto di 1avoro del personale dirigenziale è un tassello importante del processo di riforma della pubblica amministrazione: senza una dirigenza responsabilizzata e di elevata professionalità, infatti, diventa illusorio pensare a gestioni efficaci e rispondenti alle attese della collettività.