ITALIA OGGI – 8.4.00

Terza forza tra classe politica e sindacale

SENZA DIRIGENTI NON C’E’ SVILUPPO ECONOMICO

Di Giorgio Ambrogioni – Condirettore generale Fndai

 

Da un po' di tempo, ed era ora, sulla stampa si parla frequentemente della cosiddetta classe dirigente, ovvero si sottolinea come l'Azienda Italia manchi di una classe dirigente adeguata alle sfide della competizione internazionale. Questo è anche il positivo effetto di una serie di articoli pubblicati su ItaliaOggi a firma del condirettore Claudio Mori e del professor Giampaolo Prandstraller.

Qualche giorno fa Saverio Vertone ha ripreso il tema e lo ha fatto ponendosi questa domanda: è possibile inseguire la competitività in Europa e nel mercato globale badando solo al fisco, alla flessibilità, alla borsa e a Internet senza curarsi delle grandi scelte politico-gestionali e delle conseguenti esecuzioni tecniche, e cioè senza accorgersi che in Portogallo, in tre anni, è stato fatto un ponte sul Tago di 17 km, mentre in Italia, nello stesso tempo, a volte, non si riesce a completare un marciapiede? E si chiede di chi sia la colpa; tra i tanti responsabili (partiti, sindacati, intellettuali ecc.) Vertone cita la cosiddetta classe dirigente, e poiche ci sentiamo a pieno titolo classe dirigente riteniamo di dover reagire.

Proprio giovedi scorso (6 aprile, ndr) la Consulta del Cnel ha presentato un rapporto sul ruolo sociale ed economico del management, ne è emerso che questo ruolo appare appannato.

Non ci sorprende e questo perché in questo paese si vuole che il ruolo del management di impresa sia appannato, non si vuole che faccia ombra al ceto imprenditoriale e a quello politico, ma è un errore grave e, in prospettiva, una scelta perdente.

Ha ragione Claudio Mori quando il 2 dicembre scorso, su queste pagine, dichiarava: "Si sta formando un blocco di rappresentanza sociale che reclama il ruolo decisionale che le spetta; c'è oramai una classe dirigente economica che vuole confrontarsi con quella politica e quella imprenditoriale, è inutile ignorare questa evoluzione; i riti sindacali ai quali siamo abituati stanno saltando".

Questa tendenza a impedire l'affermazione di una terza forza o terzo incomodo, tra classe dirigente politico-sindacale (sindacati di massa) e classe dirigente imprenditoriale si esalta nei riti ad escludendum della concertazione (che ora qualcuno rinnega) e trova conferma in tanti fatti.

Basta per esempio analizzare le politiche fiscali, previdenziali e assistenziali per verificare come tutte abbiano un'impronta punitiva nei confronti di questa categoria sociale che compie fino in fondo i propri doveri fiscali e si caratterizza per un elevatissimo livello di solidarietà sociale.

Ma non basta: fíno a ora sono caduti nel vuoto tutti gli appelli per l'introduzione di ammortizzatori sociali a favore dei dirigenti disoccupati nonostante che i dirigenti versino all'Inps i contributi per la mobilità.

Il dirigente è percepito dal politico come un soggetto privilegiato e, in quanto tale, va penalizzato: di qui il blocco della perequazione automatica delle pensioni, il divieto di cumulo tra pensione e lavoro autonomo, il contributo di solidarietà sulle pensioni, i vincoli e le limitazioni fiscali introdotti dalla riforma Bindi su fondi sanitari autogestiti e autofinanziati, in sostanza tutti interventi demotivanti, penalizzanti e che spesso rasentano l'esproprio.

Ma anche la classe dirigente imprenditoriale ha le sue responsabilità: modelli aziendali e approcci contrattuali che non valorizzano il ruolo manageriale sono l'espressione di una visione riduttiva del ruolo del gruppo dirigente che tende a dimenticare che se oggi in Italia c'è un sistema industriale questo è dovuto anche all'impegno di migliaia di manager, molti dei quali erano in prima fila quando nelle imprese, negli anni 70, in pieno clima di contestazione gli imprenditori preferivano delegare ai dirigenti defilandosi.

Certamerite lo spazio sociale e la visibilità nessuno li regala, occorre conquistarli con l'impegno e con le idee: ma in Italia in un sistema di potentati politici, economici e sociali non è facile ma è comunque quello che vogliamo fare.

La manifestazione che Cida e Fndai hanno realizzato a Milano il 3 aprile e che ha visto riuniti oltre 2.500 dirigenti in pensione ha un significato che va al di là delle singole richieste avanzate dal governo, cioè il ripristino di un meccanismo di adeguamento delle pensioni a fronte di una forte ripresa dell'inflazione, l'eliminazione del divieto di cumulo, una riforma dello stato sociale che sia attenta alle legittime attese della dirigenza; è stato ed è un segnale forte di un malessere profondo di una categoria, rappresentativa di valori che non devono essere persi ma anzi recuperati e valutati.

Vertone, nell'articolo che abbiamo ricordato, dice: " ... la classe dirigente economica è il completamento indispensabile della classe dirigente politica": come Fndai e come Cida siamo più che mai impegnati a realizzare questo obiettivo ponendoci come interlocutori per politiche sociali ed economiche di effettivo sviluppo e modernizzazione.