n. 01-2001

Michelangelo Lo Monaco

La disapplicazione dell’atto amministrativo in sede giurisdizionale ed amministrativa

 

 

1. La disapplicazione: ambito di operatività e natura giuridica.

L’ambito di operatività dell’istituto della disapplicazione è oggetto di viva discussione in dottrina e giurisprudenza, estremamente incerte per quanto riguarda la sua rilevanza.

E’, preliminarmente, opportuno individuare le norme che disciplinano il controverso istituto de quo. Precisamente, è necessario soffermarsi sulle difficoltà nelle quali gli interpreti si trovano nel fare applicazione dei principi posti dagli articoli 4 e 5 della legge del 1865, n. 2248, all. E.

Tali disposizioni di legge fissano i poteri del giudice ordinario verso gli atti amministrativi e trovano la loro giustificazione nel principio, di ispirazione illuministica, della separazione dei poteri dello Stato (1).

L’ingerenza del potere giudiziario nella sfera dell’azione amministrativa è evitata, ex articolo 4 della L. 2248, all. E, escludendo che il giudice ordinario possa intervenire sull’atto amministrativo annullandolo, revocandolo o modificandolo.

Il successivo articolo 5 stabilisce che le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi.

La norma va intesa nel senso che il giudice, una volta riconosciuta la illegittimità del provvedimento, atto concreto o regolamento, lo disapplica e cioè disconosce l’efficacia dispositiva che esso dovrebbe avere ai fini della disciplina del rapporto controverso, decidendo come se quell’atto non esistesse, tamquam non esset (2).

E’ evidente che l’atto, fuori dal processo de quo, conserverà tutta la sua efficacia (3).

L’autorità giudiziaria potrà, quindi, in materia di diritti, solo non applicare e, pertanto, considerarlo non operante, un atto amministrativo quando ne abbia verificato l’illegittimità (4).

I rapporti tra gli articoli 4 e 5 della legge del 1865 n. 2248, all. E hanno dato luogo ad opinioni divergenti.

Secondo parte della dottrina (5) i due articoli regolano fattispecie diverse.

Mentre l’articolo 4 si riferisce ad un accertamento principale sulla legittimità dell’atto amministrativo, diversamente, invece, l’articolo 5 si riferisce ad un accertamento incidentale, che il giudice compie nella catena di questioni che lo portano alla decisione sulla questione principale. Solo in quest’ultima ipotesi si verifica una vera e propria disapplicazione dell’atto amministrativo, poiché il giudice, nella catena di questioni che deve risolvere per decidere una controversia, vi trova anche quella sulla legittimità di un atto amministrativo.

Altra parte della dottrina (6) ritiene che i due articoli della legge del 1865 siano parte di un unico precetto complessivo. La tesi fa, soprattutto, leva sull’argomento testuale che sembra difficilmente superabile.

Infatti, l’articolo 5 recita "in questo, come in ogni altro caso", dovendosi riferire necessariamente la locuzione in questo a quanto stabilito dall’articolo 4 della legge citata.

Per altri è certamente difficile configurare un potere di disapplicazione nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 4 della medesima legge (7).

Infatti, la cognizione diretta del giudice ordinario su di un atto amministrativo illegittimo, lesivo di un diritto soggettivo, è impedito dal c.d. affievolimento del diritto soggettivo ad interesse legittimo.

L’atto amministrativo posto in essere nell’esercizio di un potere amministrativo, di cui risulti titolare la pubblica amministrazione, benché illegittimo, è imperativo ed esecutivo e pertanto idoneo a produrre il c.d. effetto degradatorio: il diritto soggettivo degrada ad interesse legittimo (8).

In senso contrario è, però, orientata la giurisprudenza (9), secondo la quale l’unica vera ipotesi di disapplicazione è quella sancita dall’articolo 4, in quanto, solo in questo caso, la disapplicazione ha la funzione di procedere ad una riqualificazione di un atto illegittimo in fatto antigiuridico produttivo di danno.

Nell’ipotesi dell’articolo 5, invece, non c’è necessità di procedere ad una riqualificazione dell’atto, ma è sufficiente accertarne l’illegittimità per dedurre la fondatezza della pretesa o della contestazione di cui è presupposto.

E’, comunque, pacificamente riconosciuto il potere di disapplicazione del giudice ordinario, sia esso penale o civile, appuntandosi gli unici dubbi interpretativi, in merito, sulla possibilità di estendere il sindacato dell’autorità giudiziaria al vizio di eccesso di potere.

In proposito, meno recentemente, si sosteneva che poiché l’eccesso di potere rappresenta il vizio tipico dell’attività discrezionale della pubblica amministrazione, in quanto consiste nel superamento dei limiti interni della stessa, e poiché l’attività discrezionale illegittima è idonea a degradare il diritto ad interesse, ciò valesse ad escludere, nei suoi confronti, la giurisdizione del giudice ordinario e, con essa, il potere di disapplicazione (10).

Oggi la tesi è superata, in quanto, facendo riferimento l’articolo 5 unicamente ad atti conformi a legge, si riconosce al giudice ordinario un controllo sugli atti amministrativi esteso a qualsiasi vizio di legittimità, compreso l’eccesso di potere, con esclusione dell’invalidità per vizi di merito (11).

Circa la natura giuridica della disapplicazione, la dottrina maggioritaria ritiene che il potere di disapplicazione del giudice ordinario si sostanzia in una facoltà di carattere processuale (12), che consente al giudice ordinario di decidere la causa portata alla sua cognizione senza tener conto dell’atto amministrativo illegittimo.

Altra parte della dottrina ritiene, invece, che la disapplicazione è un istituto di diritto sostanziale e precisamente un tipo di invalidità degli atti amministrativi, riguardante non l’atto in se stesso, sibbene i suoi effetti che sarebbero giuridicamente irrilevanti (13).

Quest’ultima posizione, condivisa anche da altri (14), ci consentirà di arrivare alle conclusioni che si vedranno.

2. Tendenze evolutive: operatività dell’istituto nel processo amministrativo.

Si è posto, inoltre, il problema se alla disapplicazione di atti illegittimi possa procedere anche il giudice amministrativo, dal momento che la legge attribuisce tale potere genericamente alle autorità giudiziarie.

La tradizionale esegesi dell’articolo 5 della legge del 1865 n. 2248, all. E lo nega, perché il giudizio davanti al giudice amministrativo ha carattere essenzialmente impugnatorio. Ciò significa che il giudice amministrativo può eliminare l’atto amministrativo illegittimo e non già disapplicarlo (15).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato (16) ha, invece, affermato l’applicabilità dell’articolo 5 della legge citata al giudice amministrativo nei casi in cui la illegittimità dell’atto venga dedotta, in via di eccezione, in giudizi nei quali sia fatta valere una pretesa fondata sull’atto stesso e solo se l’atto non abbia immediati effetti lesivi su un interesse qualificato del privato.

In merito, deve notarsi che è in via di superamento l’opinione, da tempo diffusa in giurisprudenza, a tenore della quale la disapplicazione dei provvedimenti amministrativi illegittimi da parte del giudice amministrativo sarebbe inibita, nell’attuale sistema processuale, dalla considerazione che la stessa porterebbe a superare l’effetto preclusivo dei termini perentori stabiliti per l’impugnazione degli atti amministrativi.

Va, sul punto, infatti segnalata quella corrente giurisprudenziale (17), secondo la quale il mito della non disapplicabilità dei regolamenti illegittimi nel processo amministrativo, sicuramente operante in caso di regolamenti immediatamente lesivi, ossia di regolamenti volizioni-azioni, da impugnarsi nel termine di decadenza di sessanta giorni, nonché in quello di atti applicativi di regolamenti c.d. volizioni preliminari, in quanto in tal caso il regolamento va impugnato insieme all’atto attuativo e, conseguentemente, annullato, non disapplicato, va sfatato laddove oggetto di impugnativa risulti un atto amministrativo violativo di un regolamento amministrativo illegittimo.

E’ da ritenersi, infatti, che in tal caso, il giudice amministrativo possa, o meglio, debba anche d’ufficio, in base al brocardo jura novit curia, prendere atto dell’illegittimità del regolamento violato dall’atto amministrativo e, quindi, concludere, a seguito della disapplicazione del regolamento medesimo, nel senso della legittimità dell’atto censurato.

In dottrina è stato detto che, in sede di giurisdizione esclusiva, ove si accerti che l’amministrazione non abbia il potere di sacrificare taluni diritti, direttamente attribuiti dalla legge, mediante l’emanazione di norme regolamentari, queste possano venire disapplicate dal giudice amministrativo, indipendentemente dalla impugnativa dell’atto amministrativo applicativo (18).

Ciò significa che, in materia di diritti soggettivi, il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo, attribuito dalla legge soltanto al giudice ordinario, può essere esercitato anche dal giudice amministrativo (19).

Questa affermazione, del tutto corretta,sembra meritevole di qualche chiarimento (20). Quando la posizione sostanziale garantita dall’ordinamento giuridico assurga alla consistenza di diritto soggettivo perfetto e l’ordinamento non attribuisca all’amministrazione alcun potere di degradarla, ciò significa, per usare una terminologia abituale nella giurisprudenza, che si è in presenza di pretese discendenti immediatamente dalla legge.

Il difetto assoluto di un potere dispositivo dell’amministrazione comporta, allora, la pariteticità delle posizioni dell’amministrazione e del privato, ovverosia, che l’eventuale atto amministrativo lesivo non è autoritativo, sicchè non si pone la necessità di una sua impugnazione e quindi di un suo annullamento. In tali casi, il giudice amministrativo conosce direttamente il rapporto senza il filtro del provvedimento ed è per questo che, se si vuole, si può parlare di disapplicazione dell’atto amministrativo, purché sia ben chiaro, però, che tale disapplicazione è possibile e consentita perché l’atto non ha carattere autoritativo (21).

Se, invece, esso avesse tale carattere, allora, si sarebbe in presenza di una posizione di interesse legittimo o di un diritto soggettivo degradato e, quindi, si sarebbe nel campo della giurisdizione di annullamento e non più in quella esclusiva, nel senso di giurisdizione su diritti soggettivi.

3. Disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa in generale e comunale in particolare.

Ulteriori e più gravi problemi si incontrano nell’affermare esistente un potere di disapplicazione in capo all’autorità amministrativa. Precisamente, accanto ai succitati orientamenti dottrinari (22), che ritengono la disapplicazione un istituto di natura processuale, quindi, non operante al di fuori del processo, vi è una costante giurisprudenza orientata nel senso di non consentire alla pubblica amministrazione di disapplicare i propri provvedimenti, ancorché li ritenga illegittimi.

A fronte di tali provvedimenti, l’amministrazione può esercitare il potere di annullamento d'ufficio, esternando gli specifici motivi di pubblico interesse che rendono possibile la caducazione degli effetti dell’atto illegittimo (23).

Dinanzi a tali posizioni dottrinarie e giurisprudenziali, dovrebbe ritenersi pacifica la impossibilità per la pubblica amministrazione di disapplicare propri atti precedentemente non annullati, dovendo essa attivare i propri poteri di annullamento d’ufficio.

Ma, vi sono dei casi in cui tale conclusione appare iniqua e non certo conforme al principio di legalità dell’azione amministrativa ed a quello di buon andamento della pubblica amministrazione fissato dall’art. 97 della Costituzione.

E così, sotto la spinta di una attenta dottrina (24), che ritiene la disapplicazione un tipo di invalidità dell’atto amministrativo, riguardante i suoi effetti e pertanto estensibile, anche, all’autorità amministrativa, affermandone il carattere sostanziale e non processuale, la giurisprudenza più sensibile ha operato una rivisitazione del problema.

Le conclusioni che si vogliono raggiungere necessitano della scomposizione del problema de quo in due tronconi, a seconda che l’autorità amministrativa possa annullare d’ufficio l’atto illegittimo, in quanto autorità che emanò l'atto (auto-annullamento), autorità gerarchicamente sovraordinata (annullamento gerarchico) o titolare, sulla base di leggi speciali (25), di una generica potestà di vigilanza sugli organi sottoordinati, pur non esercitando poteri di gerarchia propria, oppure sia impossibilitata a fare ciò, in quanto autorità diversa da quella che emanò l’atto e non legata a quest'ultima da alcuna delle predette relazioni.

Precisamente, la fattispecie della disapplicazione da parte dell’autorità diversa da quella che emanò l’atto, per la cui soluzione negativa è sicuramente possibile avanzare delle riserve, va comunque distinta da quella in cui a non osservare il provvedimento sia la stessa autorità a suo tempo emanante, quella ad essa gerarchicamente sovraordinata o titolare di una generica potestà di vigilanza, caso in cui più facilmente si può essere d’accordo con la giurisprudenza, peraltro pacifica, poiché, giustamente, tali autorità amministrative non possono disapplicare l’atto stesso, svolgendo la propria ulteriore attività come se esso non esistesse, ma potranno prescinderne solo dopo averlo annullato, essendo i soggetti competenti a farlo (26).

Sembra, perciò, ovvio, anche se non alla giurisprudenza, che il principio della non disapplicabilità dell’atto amministrativo, ad opera dell’autorità amministrativa, è più logico che valga nei casi in cui l’autorità che procede a disapplicare potrebbe annullare l’atto a suo tempo emesso, ma non, invece, quando a disapplicare l’atto è un’autorità diversa, che nessun potere di incidenza avrebbe sull’atto stesso e che potrebbe trovarsi nella condizione di dover applicare un atto palesemente illegittimo, con la conseguenza di rimanere assolutamente vincolata dalla disposizione de qua.

Con riferimento alla disapplicazione da parte di una autorità amministrativa si è, talvolta, affermato che è legittimo l’atto amministrativo che abbia rifiutato l’applicazione di una norma regolamentare illegittima, ancorché questa non sia stata annullata (27).

Non può, infatti, sembrare strano il fatto che una norma regolamentare venga disapplicata, nonostante non sia stata annullata, nel caso in cui a disapplicare sia una autorità amministrativa diversa da quella competente ad annullare la norma illegittima.

Che la posizione della giurisprudenza, circa l’impossibilità di disapplicare atti amministrativi, da parte dell’autorità amministrativa, sia del tutto aprioristica emerge, poi, da quelle pronunce che escludono la possibilità di disapplicazione di provvedimenti amministrativi da parte della pubblica amministrazione sulla base di principi non sorretti da una attenta disamina della situazione prospettata dinanzi all’organo decidente.

Si fa riferimento a quell’orientamento che esclude l’esistenza di un potere di disapplicazione in capo agli organi di controllo, affermando (28) che è illegittima in sede amministrativa e, quindi, anche in sede di controllo ad opera di un Comitato Regionale di Controllo, la disapplicazione di atti ritenuti illegittimi, essendo in ogni caso necessario un atto di annullamento ad opera dei competenti organi (29).

Nella fattispecie in esame, infatti, se la conclusione può ritenersi esatta, deve, però, precisarsi che la motivazione non può essere quella per cui l’autorità di controllo non può disapplicare in quanto autorità amministrativa, bensì quella che fa riferimento alla possibilità o meno, per l’autorità che procede a disapplicare, di annullare l’atto stesso.

In sostanza, soltanto nei casi in cui l’autorità di controllo avesse avuto la possibilità, a suo tempo, di annullare l’atto, potrebbe sostenersi che gli organi di controllo, in sede di riscontro della legittimità di un provvedimento amministrativo, non possono tornare a pronunciarsi, anche se incidentalmente, sulla legittimità di pregressi provvedimenti, già positivamente riscontrati, ma, questo, non per il solo fatto di essere, anch’essi, delle autorità amministrative, ma perché, come soltanto in alcune pronunce viene evidenziato, per una fondamentale esigenza di certezza dei rapporti giuridici, alla quale peraltro risponde la perentorietà dei termini per l’esercizio del controllo, l’organo a ciò demandato consuma il proprio potere nello stesso momento in cui lo esercita, vistando o annullando l’atto esaminato, per cui la decisione tutoria, una volta emessa, diventa irretrattabile (30).

Sulla base delle superiori considerazioni, emerge che l’autorità comunale potrà disapplicare l’atto amministrativo illegittimo, solo quando lo stesso sia stato emanato da altro organo dell’ente locale, perché se fosse stato emanato dallo stesso organo, quest’ultimo, anziché inosservare, dovrebbe annullarlo d’ufficio.

Se ciò è vero, allora, non sembra affatto condivisibile l’affermazione del Consiglio di Stato, secondo cui le norme del regolamento comunale in tema di svolgimento e valutazione delle prove pratiche di concorso per l’accesso all’impiego si configurano come norme imperative e non possono essere disapplicate o semplicemente ignorate dalla commissione esaminatrice (31).

In tal caso, infatti, quest’ultima si configura come autorità diversa da quella che emanò l’atto illegittimo (regolamento) di competenza del consiglio comunale.

Pienamente rispondente alle conclusioni sopra raggiunte appare la posizione di chi ha statuito che, anche se il bando costituisce lex specialis del concorso, la sua disciplina può essere legittimamente disapplicata dalla commissione giudicatrice, ove sia in aperto contrasto con quanto disposto da norme di legge (32).

Nella specie, è stato ritenuto legittimo il comportamento di una commissione giudicatrice che aveva imposto l’espletamento delle prove d’esame previste dalla legge anziché quelle indicate nel bando.

D’altra parte, la legittimità dell’operato della commissione di concorso va considerata, anche, nel senso che la stessa non ha posto in essere una attività modificativa del bando o della volontà che attraverso di esso l’amministrazione ha inteso esprimere, bensì, ha disposto nel senso della puntuale rispondenza della procedura concorsuale a quanto la legge ha, nella specie, previsto circa il tipo di prove da effettuare.

Dello stesso tenore è quella giurisprudenza (33) che ha ritenuto illegittima l'esclusione dalla gara di un concorrente che abbia presentato un documento conforme alla legge, ma non al bando di gara, anche se quest'ultimo non è stato impugnato.

Analogamente, è stato affermato il potere-dovere della commissione aggiudicatrice di disapplicare le prescrizioni del bando di gara in contrasto con la legge, consentendo, ciò, una razionale lettura dell'avviso di gara alla stregua delle norme legislative ad esso temporalmente applicabili (34).

Conferma tale orientamento giurisprudenziale quella pronuncia secondo la quale la fonte normativa di rango legislativo "incide" direttamente sulla disposizione regolamentare invocata dall'amministrazione, che era tenuta, pertanto, a disapplicarla (35).

Di contrario avviso, invece, in materia di bandi di gara in generale, quella giurisprudenza (36) secondo la quale le prescrizioni del bando, proprio perché contenute nella legge speciale del concorso, sono vincolanti non solo per i concorrenti, ma, anche, per lo stesso organo chiamato ad esaminarli e per l’amministrazione e questo, secondo molte pronunce, anche quando tali prescrizioni siano in contrasto con norme di legge o regolamento (37).

La posizione sostenuta dinanzi, circa la possibilità riconosciuta ad autorità amministrativa diversa da quella emanante di disapplicare atti amministrativi, risulta confermata, implicitamente, dalla pronuncia della Corte dei Conti, secondo la quale costituisce comportamento colposo, causativo di danno erariale, consistente nelle spese sostenute per la ripetizione delle prove, la disapplicazione, da parte di una commissione di concorso, delle norme interne disciplinanti l’esame, ove abbia dato luogo all’annullamento delle prove stesse, ma ciò soltanto qualora il potere di disapplicazione non fosse esercitabile, per carenza di presupposti ovvero per l' assoluta legittimità delle norme disapplicate (38).

Da ciò si desume che, se le norme interne disapplicate fossero state veramente illegittime, nessun danno erariale sarebbe stato ravvisabile, mentre avrebbe configurato una ipotesi di danno erariale il comportamento di una commissione giudicatrice che, in presenza di palese illegittimità del regolamento di concorso, anziché disapplicarlo, avesse seguito le prescrizioni in esso previste, esponendo l’amministrazione a ricorso giurisdizionale, il cui esito negativo, per essa, era prontamente intuibile.

In merito vi era chi (39), acutamente, sosteneva che la pubblica amministrazione avrebbe dovuto, normalmente, astenersi dal dare corso all’atto di cui si disputava per non pregiudicare lo stato delle cose, in caso di vittoria dell’attore.

E’ chiaro che nessuna differenza sostanziale esiste fra un giudizio pendente e un giudizio che verrà instaurato con assoluta certezza in un immediato futuro, con esito già prevedibile.

Considerata ammissibile, alle condizioni evidenziate, la disapplicazione ad opera dell'autorità comunale ed amministrativa in generale, il vero problema che emerge dalla disamina effettuata è quello relativo ai limiti del sindacato che l’autorità diversa da quella emanante,non gerarchicamente sovraordinata o titolare di una generica potestà di vigilanza può esercitare nei confronti dell’atto amministrativo illegittimo.

La soluzione che la dottrina offre oscilla fra chi (40) ritiene che l’autorità amministrativa possa disapplicare solo in presenza di illegittimità formale (incompetenza e violazione di legge), opinione, questa, larvatamente rinvenibile in giurisprudenza (41) e preferibile, anche perché si limiterebbe il sindacato dell’autorità amministrativa ad ipotesi facilmente ed inequivocabilmente rilevabili, dal momento che la incompetenza e la violazione di legge conseguono alla mancata osservanza di precise e ben individuate disposizioni normative, che devono essere specificamente indicate, e chi prospetta di estendere il sindacato anche al vizio di eccesso di potere (42).

Sul punto deve dirsi, inoltre, come appare più conforme ai principi generali dell’ordinamento giuridico che il sindacato sull’eccesso di potere, comportando un esame sulla correttezza dell’esercizio di facoltà di scelta spettanti all’amministrazione, venga affidato ad organi terzi, quali il giudice ordinario od amministrativo, e non ad altri organi della stessa pubblica amministrazione che ha emanato l’atto.

E’ certo, comunque, che il problema della disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa di atti amministrativi, scarsamente sentito ed esaminato in precedenza, deve essere, ora, affrontato in maniera molto più analitica alla luce, fra l’altro, di quanto stabilito dagli organi giurisdizionali che impongono all’autorità amministrativa di disapplicare persino le leggi ed i regolamenti che siano incompatibili con le norme comunitarie immediatamente applicabili (43).

 

 

(1) M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983.

(2) P. Virga, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982.

(3) M. S. GIANNINI-A. PIRAS, voce Giustizia Amministrativa, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, 1970.

(4) A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989.

(5) M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983.

(6) A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989; M. S. GIANNINI-A. PIRAS, voce Giustizia Amministrativa, in Enciclopedia del diritto, vol. XIX, Milano, 1970.

(7) M. GAMBARDELLA, in Cass. Pen., 1985, I.

(8) R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1994.

(9) Cass., Sez. Unite, n. 3477/1984 e Cass. 9/1/1989, in Foro Italiano, 1989, I.

(10) P. VIRGA, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1994.

(11) R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1994; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 1999.

(12) A. LUGO, La dichiarazione incidentale di inefficacia dell’atto amministrativo, in Studi per Calamandrei, V; P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982.

(13) E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950.

(14) M. S. GIANNINI, Giustizia amministrativa, Roma, 1963.

(15) Vedi in questo senso TAR Sicilia, Sez. Palermo, 25 maggio 1983, n. 430, in Foro amministrativo, 1983, I; TAR Lazio, sez. I, 10 giugno 1988, n. 684, in Foro amministrativo, 1989.

(16) C.d.S., V, 14.02.1942, n. 93 in Consiglio di Stato 1942, I.

(17) Vedi C.d.S., sez. V, 26.2.1992 n. 144, in Consiglio di Stato, 1992, I.

(18) V. Caianello, I caratteri della giurisdizione esclusiva, in Studi in onore di A. Papaldo, Milano, 1975.

(19) E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950.

(20) E. M. BARBIERI, voce Giurisdizione esclusiva nel giudizio amministrativo, in Enciclopedia giuridica, Roma, 1989.

(21) In giurisprudenza, ad es. vedi C.G.A. 04 aprile 1979, n. 47, in Consiglio di Stato 1979, I.

(22) A. LUGO, La dichiarazione incidentale di inefficacia dell’atto amministrativo, in Studi per Calamandrei, V; P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982.

(23) C.d.S., V, 25.11.1988, n. 773 in Foro amministrativo, 1988, II; C.d.S., Ad. Plen., 25 maggio 1973, n. 2.

(24) E. CANNADA BARTOLI, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950.

(25) Tra tali leggi vanno ricordate le seguenti: il D.P.R. 24/7/1977, n. 616 stabilisce, all’art. 19, 4° comma, nella parte non abrogata dall’art. 164 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, che alcuni provvedimenti di polizia amministrativa rientranti nella competenza dei Comuni debbano essere adottati dopo preventiva comunicazione al Prefetto e devono essere sospesi, annullati o revocati per motivata richiesta dello stesso, ai sensi dell’art. 7 della legge 22/10/1971 n. 865 il Presidente della Regione può annullare, entro diciotto mesi dall’accertamento delle violazioni urbanistiche, le concessioni edilizia rilasciate illegittimamente dai Comuni.

(26) C.d.S., IV, 17.06.1993 n. 620, in Foro amministrativo, 1993. Negli stessi termini la giurisprudenza può dirsi pacifica: vedi TAR Sicilia, sez. I, Catania, 25 settembre 1993, n. 645 in TAR, 1993, I; C.d.S., IV, 07 agosto 1991 n. 637, in Consiglio di Stato, 1991, I.

(27) C.d.S., V, 13 gennaio 19954 n. 51, in Foro amministrativo, 1954, I, 2. Nel caso in esame è stato ritenuto legittimo il decreto del Prefetto che dichiarava la propria incompetenza a decidere sul diniego di licenza edilizia, in sede di ricorso gerarchico improprio, previsto dal regolamento edilizio comunale, ritenuto illegittimo. Il collegio giudicante, giustamente, ha constatato come, ove il provvedimento prefettizio avesse applicato la norma regolamentare che prevedeva il ricorso gerarchico improprio al Prefetto avverso i provvedimenti del Sindaco in materia edilizia, norma illegittima, perché la legge consideri definitivi i provvedimenti del Sindaco in tale materia, i controinteressati avrebbero potuto proporre ricorso in sede giurisdizionale, impugnando, in una con il provvedimento prefettizio, la norma regolamentare illegittima.

(28) C.d.S., V, 27 ottobre 1982, n. 760, in Foro amministrativo, 1982, I.

(29) TAR Puglia, sez. II, Bari, 19 gennaio 1993 n. 22, in T.A.R., 1993; C.d.S., IV, 30 novembre 1985 n. 582, in Foro amministrativo, 1985; C.d.S., V, 12 novembre 1992, n. 1284, in Consiglio di Stato, 1992, I.

(30) TAR Sicilia, sez. II, Catania, 7 aprile 1993, n. 221 in Giurisprudenza Amministrativa Siciliana, 1993; TAR Lazio, sez. I, 16 luglio 1986, n. 1015, in T.A.R. 1986, I.

(31) C.d.S., V, 8 marzo 1993, n. 344, in Consiglio di Stato, 1993, I.

(32) TAR Puglia, sez. Lecce, 23 novembre 1984 n. 653, in T.A.R., 1985, II.

(33) T.R.G.A.-Trentino Alto Adige, 27/1/1994 n. 2.

(34) TAR Lombardia, Milano, sez. III, 18/11/1999, n. 3702.

(35) TAR Puglia, Bari, sez. II, 23/3/2000, n. 1248.

(36) TAR Lazio, sez. Latina, 9 marzo 1991, n. 187, in T.A.R., 1991, I.

(37) TAR Piemonte, sez. II, 28 gennaio 1993, n. 17, in T.A.R., 1993, I.

(38) Corte dei Conti, sez. I, 16 gennaio 1985, n. 5, in Rivista Corte Conti, 1985.

(39) G. AZZARITI, Esecuzione dell’atto amministrativo lesivo di diritto in pendenza del giudizio, in Foro italiano, 1947, IV.

(40) E. Battaglini, In tema di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, in Giustizia penale, 1932, 2.

(41) TAR Campania, sez. II, Napoli, 5 marzo 1998, n. 808, che ritiene possibile, per la pubblica amministrazione, disapplicare propri atti solo per vizi formali insanabili degli stessi che possano ingenerare incertezza sulla stessa loro provenienza dall'autorità amministrativa.

(42) E. Cannada Bartoli, L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950. Il problema è affrontato, dall’Autore, con riferimento all’inosservanza di atti amministrativi da parte dei privati.

(43) Corte di Giustizia della Cee sentenza del 22 giugno 1989, n. 103; C.G.A. Sicilia, 2 luglio 1997, n. 242.