IL SOLE 24 ORE – 11.12.00

GIURISPRUDENZA • Sentenza Corte dei conti

Gli impiegati pagano il danno da disservizio

DI VITTORIO ITALIA

Il "danno da disservizio" è una nuova categoria giuridica del danno.

Allorché il servizio, che dovrebbe essere prodotto o reso da parte di un impiegato, non viene prodotto o è prodotto male, si determina un danno per la pubblica amministrazione, e l'autore del disservizio deve risarcirlo.

Questo principio è stato stabilito dalla Corte dei conti (sezione giurisdizionale per l'Umbria, 31 luglio 2000, n. 424/R, in < La settimana giuridica" 2000, IV, p. 527), con una sentenza nuova, importante, e degna di approvazione.

Essa -proprio per la sua novità - solleva vari problemi, ed è quindi opportuno ripercorrere succintamente la concatenazione delle argomentazioni.

1 - In primo luogo si deve notare che il "danno da disservizio" non è esplicitamente considerato nelle leggi. Queste prevedono, a esempio, l' "interruzione di un servizio pubblico> (articolo 331 del Codice penale), la "violazione di obblighi di servizio" (articolo 18 del Dpr 3/57), oppure prevedono, genericamente, la "negligenza", o la "colpa grave". La determinazione di questa nuova fattispecie è quindi opera della giurisprudenza, che ha poi precisato che il "danno da disservizio" si verifica: a) nei casi di illecito esercizio di pubbliche funzioni; b) nei casi di mancata resa (cioè nei casi di servizio non reso, inattuato); c) di mancata resa della prestazione dovuta.

2 - In secondo luogo, secondo la sezione umbra della Corte dei conti, il disservizio provoca un danno all'organizzazione e allo svolgimento dell'attività amministrativa, perché si verifica una "minore produttività dei fattori economici", cioè "della combinazione del lavoro del personale con le risorse destinate alla produzione di utilità, idonee a promuovere lo sviluppo economico e sociale della collettività amministrata".

In conseguenza, il comportamento dell'impiegato che ha prodotto il disservizio è viziato da colpa grave; egli è perciò responsabile e deve risarcire il danno.

Tutti questi passaggi logici, che contengono una fortissima carica innovatrice, non sono una creazione del magistrato contabile. Essi appaiono invece come corollari necessari dei principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa (legge 241/90), nonché della valutazione della gestione e dei risultati di essa, sulla base della legge 286/99.

Sotto questo profilo, quindi, la sentenza appare incardinata con i nuovi principi che disciplinano l'attività della pubblica amministrazione.

3 - In terzo luogo la sentenza stabilisce in modo nuovo la quantificazione del "danno da disservizio". Infatti - afferma la Corte - poiché il disservizio comporta una minore produttività dei fattori economici, questo danno non può essere limitato allo stipendio (che il soggetto che ha provocato il disservizio ha percepito in quel periodo) ma dovrà ricomprendere "i maggiori costi generali causati dallo spreco di risorse economiche non utilizzate, secondo i canoni di legalità, efficienza, efficacia, economicità e produttività" e questo danno può essere valutato dal giudice contabile "in via equitativa".

Il richiamo all'equità può sollevare qualche dubbio, dato che questo potere non è esplicitamente previsto nelle leggi relative alla Corte dei conti. Ma il punto essenziale, che costituisce il nuovo centro del cerchio, è costituito dal richiamo congiunto ai principi di legalità, efficienza, economicità e produttività dell'azione amministrativa, espressione concreta del dovere costituzionale di quella "buona amministrazione", che per molto tempo è rimasta soltanto una formula decorativa.