Italia Oggi, 15.2.01 GIUSTIZIA E SOCIETÀ’

Per il tribunale di Busto Arsizio non è sufficiente lo spossessamento formale

Esproprio con occupazione

Iter nullo senza la presa di possesso entro tre mesi

DI ANTONIO CICCIA

All'espropriazione deve seguire la materiale occupazione del fondo entro tre mesi.

Altrimenti la procedura espropriativa è nulla e anche l'affittuario del fondo può chiedere i danni al comune.

Non basta allo scopo la formale immissione nel possesso dei beni.

Questo il contenuto di una recente sentenza del tribunale di Busto Arsizio (del 31 dicembre 2000, giudice Andrea Bortoluzzi, resa nella causa n. 279/1991) che fa applicazione della sentenza Corte di cassazione sezioni unite n. 500/99 sul risarcimento degli interessi legittimi.

Il nodo era rappresentato da un caso di questo tipo: l'amministrazione espropria un terreno occupato da una azienda florovivaistica, ma lo spossessamento della stessa avviene solo con un atto formale e non con una concreta presa di possesso da parte di altri.

Secondo il giudice questo fatto invalida tutta la procedura espropriativa. E se la procedura è invalidata il giudice civile ben può accertare e condannare l'ente espropriante al risarcimento dei danni, facendo una autonoma valutazione del comportamento della p.a. e senza necessità per il danneggiato di rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere l'annullamento dell'atto amministrativo.

Questa è tra l'altro proprio una novità apportata dalla citata sentenza n. 500/99: si può in sostanza saltare un passaggio e rivolgersi al giudice competente per il danno e se tale giudice è il giudice ordinario questi può autonomamente valutare la fattispecie aquiliana.

L'art. 20, comma 1, della legge865/1971, ricorda il giudice lombardo, espressamente stabilisce che il decreto di occupazione perde la sua efficacia, qualora la immissione nel possesso non avvenga entro tre mesi dalla sua emanazione.

E una tale immissione, si legge nella sentenza, deve essere conseguente, sotto il profilo civilistico a una concreta e non solo formale apprensione del fondo.

Non basta, esamina il provvedimento, il mero atto formale del decreto di esproprio a far venir meno il convincimento dell'espropriato sia di tenere la cosa come propria.

Inoltre l'art. 2919 del codice civile disciplina, in materia analoga, il trasferimento del diritto di proprietà ma non dispone che l'espropriato perda ipso iure il possesso della cosa mutandolo in detenzione in nome dell'espropriante.

L'eventuale protrarsi del godimento dell'espropriato, dunque, tecnicamente non integra mera detenzione (ovvero elemento soggettivo che riconosce l'altrui maggiore titolo) ma possesso anche perché la consapevolezza che il diritto di proprietà appartiene ad altri non esclude affatto l'animus possidendi.

Sulla base di questi ragionamenti il giudice ritiene che non basta un provvedimento amministrativo (un pezzo di carta) se non c'è stato lo spossessamento di fatto a integrare l'occupazione richiesta dalla legge del 1971.

Ciò è tanto più significativo, sottolinea il tribunale di Busto Arsizio, in riguardo al possesso dei beni aziendali.

L'azienda è un complesso di beni organizzato per la gestione dell'attività di impresa.

E un tale possesso in senso lato deve essere oggetto, in sede espropriativa, perché una tal procedura efficace, di una occupazione non

solo formale ma di fatto.

In assenza dell'occupazione formale e di fatto il possesso dell'imprenditore non può non perdurare oltre la formale immissione nel possesso.

Con il decorso del trimestre, in assenza di immissione materiale nel possesso del fondo, conclude la pronuncia, il comune non era dunque legittimato a immettere altri nel possesso dallo stesso non conseguito né in fatto né in diritto, essendo, in dipendenza del mancato rispetto del termine di cui all'art. 20 della legge 865/71, divenuto inefficace il decreto di occupazione d'urgenza.

In conseguenza di tale inefficacia l’interessato ha diritto al rilascio dell'immobile e al risarcimento del danno patito.

Il comportamento del comune, venuto meno all'osservanza dell'obbligo di correttezza che riguardava l'esercizio delle sue potestà, è stato ritenuto lesivo dell'interesse dell'affittuario poiché è stato attuato in aperta violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.

Il giudice lombardo ha pertanto condannato il comune a risarcire il conduttore del fondo per i danni subiti liquidati in circa un centinaio di milioni, sommando i danni per le infrastrutture, quelli per le colture e da ultimo quelli per l'avviamento commerciale.