IL SOLE 24 ORE , 22 GENNAIO 2001

ENTI LOCALI

GIURISPRUDENZA • Una sentenza del Consiglio di stato sulle richieste retributive

Ferie pagate solo se "saltano" contro la volontà dei dipendenti

La richiesta retributiva per ferie e riposi setti manali non goduti deve avere come presupposto la certezza che l’evento non sia stato determinato dalla volontà del dipendente, come anche non può essere riconosciuto alcun compenso per lavoro straordinario quando manchi una preventiva formale autorizzazione da parte dell'amministrazione.

Questi principi trovano riscontro nella sentenza n. 4699/2000 della V sezione del Consiglio di Stato.

Per ferie e riposi settimanali non goduti la richiesta retributiva compete al dipendente sul presupposto che il compenso sostitutivo per ferie non godute, nonostante l'assenza di una norma specifica che ne prevede la relativa indennità, deriva direttamente dal mancato godimento, allorquando si abbia certezza che l’evento non sia stato determinato dalla volontà del dipendente stesso, proprio perché l'indisponibilità di questo diritto non esclude l'obbligo della pubblica amministrazione di corrispondere il compenso al dipendente per le prestazioni rese.

Tanto più che nel caso in esame l'amministrazione comunale non ha contestato il fatto che i dipendenti non hanno fruito a suo tempo delle ferie e dei riposi compensativi, né per altro, ha dimostrato che gli stessi si fossero rifiutati di godere dei congedi, rilevando a riguardo l'inattività del Comune a far constare una predetta circostanza.

Il secondo aspetto che viene affrontato nella sentenza riguarda il compenso per il lavoro straordinario prestato dai dipendenti.

È principio consolidato che non può essere riconosciuto alcun compenso per lavoro straordinario quando manchi una preventiva formale autorizzazione da parte del datore di lavoro, meccanismo questo in linea con l'articolo 97 della Costituzione, in quanto solo così è possibile controllare le reali esigenze e ragioni di pubblico interesse che ne rendono opportuno il ricorso a prestazioni straordinarie del dipendente. Per cui, com'è avvenuto nella sentenza in esame, gli stessi dipendenti non hanno dimostrato se le prestazioni straordinarie rese fossero obbligatorie o, in ogni caso, indispensabili per l'ente.

Inoltre il Comune con delibera successiva alle prestazioni rese dai dipendenti e in seguito d'iniziativa sindacale volta a ottenere la corresponsione degli emolumenti, ha operato un conteggio riconoscendo che lo stesso lavoro non era mai stato autorizzato preventivamente e non riconoscendo alcun merito a eventuali vantaggi o utilità che l'ente avrebbe avuto, per cui è facilmente riscontrabile come in questa fattispecie si versi in prestazioni di lavoro in difformità da quanto previsto all'articolo 16, comma 1 e 2, del Dpr 268/87.

I giudici concludono che debba escludersi l'applicabilità nella specie dell'articolo 2041 del Codice civile, mancando la prova dell'"ingiustificato arricchimento" di cui avrebbe beneficiato l'ente dal lavoro straordinario prestato reso in difformità della normativa e non autorizzato; senza, per altro, aver sortito un arricchimento per l'amministrazione stessa.

Ulteriore e ultimo aspetto, non certo per importanza, è quello che riguarda la prescrizione del credito derivante dal lavoro straordinario, elevata da due a cinque anni - con sentenza d'incostituzionalità - rispetto all'originario dispositivo normativo, equiparandola a quella dei lavoratori privati.

Termine, questo, che non trova riscontro nel caso la richiesta sia stata avanzata dal sindacato, il quale è soggetto terzo e non direttamente interessato e che in nessun caso comporta l'interruzione del termine stesso, con conseguente estinzione del credito nel periodo antecedente al quinquennio alla proposizione del ricorso.

Inoltre si rileva come la pubblica amministrazione non sia in nessun caso legittimata a rinunziare alla prescrizione.

SAVERIO MOLICA