http://www.giust.it/


n. 12-2000

 

LUIGI OLIVERI

Il doppio regime dell'ordinamento locale

Passerà alla storia delle riforme amministrative l’emendamento 58.1059 al disegno di legge finanziaria, di prossima approvazione in queste ore, per aver introdotto un regime istituzionale differenziato tra enti locali di piccole e di grandi dimensioni.

Il testo dell’emendamento, approvato dal Senato, è il seguente:

"21-bis. Gli enti locali con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993 e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio".

IL CONTENUTO DELLA NORMA. Il dato squisitamente tecnico della disposizione è il seguente. Gli enti locali con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti non sono tenuti a rispettare le disposizioni di cui all’articolo 3 del D.lgs 29/1993 e all’articolo 107 del D.lgs 267/2000, riguardanti il principio di separazione tra le funzioni di indirizzo e controllo, spettanti agli organi di governo, e funzioni gestionali, da affidare, invece, agli organi tecnico amministrativi. In detti enti di piccole dimensioni, che rappresentano però la maggioranza (oltre il 54% degli 8150 comuni italiani), dunque, vi potrà essere coincidenza tra politico e gestore, come nell’ancient règime, precedente alla legge 127/1997.

Perchè ciò avvenga, tuttavia, debbono essere presenti e dimostrate le seguenti condizioni:

1) il riscontro della carenza di figure professionali, nell'ambito dei dipendenti, da considerare idonee allo svolgimento delle funzioni dirigenziali. L’ente, pertanto, deve accertare la completa assenza di soggetti idonei, a tali fini. Tale situazione non si verifica nell’ipotesi di presenza, ad esempio, di un laureato in architettura, impiegato presso l’ufficio tributi, in carenza, invece, di un responsabile dell’ufficio tecnico dotato di adeguate competenze. In sostanza, l’impiego distorto del personale non è causa di carenza di figure professionali;

2) ciò è dimostrato dalla seconda condizione, ovvero la circostanza dell’irrimediabilità della carenza. La disposizione, trattandosi di una norma chiaramente speciale ed eccezionale nell’ambito dell’organizzazione pubblica, va letta nel senso che l’ente deve porre in essere tutte le azioni organizzative necessarie, al fine di assegnare ai soggetti dotati delle caratteristiche professionali necessarie, le funzioni gestionali. Solo quando non vi siano rimedi, nell’ambito del personale in servizio, la gestione potrà essere affidata ai soggetti politici;

3) il riscontro della carenza irrimediabile di dipendenti idonei a svolgere le funzioni gestionali non consente, automaticamente, agli organi di governo di svolgere le funzioni gestionali. Permette, invece, di introdurre una deroga agli articoli 3 del D.lgs 29/1993 e 107 del D.lgs 267/2000, mediante il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che dunque è il presupposto necessario per l’attribuzione agli organi di governo delle funzioni gestionali;

4) l’operazione deve essere finalizzata al contenimento della spesa. Evidentemente si tratta del contenimento della spesa per il personale, anche se la norma non lo prevede espressamente. Questa, come si vedrà, è la disposizione forse più problematica della norma. Essa è certamente volta a consentire agli enti di minori dimensioni di non assegnare le posizioni organizzative ai responsabili degli uffici e dei servizi. I risparmi della spesa, che in apparenza possono sembrare facoltativi, dato il tenore letterale dell’inciso <<anche al fine di operare un contenimento della spesa>>, sono invece un presupposto. Infatti, l’emendamento conclude disponendo espressamente che <<il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio>>. Si tratta, con ogni evidenza, di una disposizione imperativa e cogente.

5) ultima condizione generale, è che gli enti non abbiano deciso di incaricare il segretario comunale delle funzioni di responsabile degli uffici e dei servizi. In questo caso, infatti, il disposto dell’emendamento non si applica. Anche se, occorre dire subito, non è chiaro se l’ente possa attivare il regolamento in deroga al principio di separazione delle competenze, nonostante abbia assegnato al segretario comunale le funzioni di gestore, qualora detto affidamento non copra l’intero arco delle competenze gestionali dell’ente, ipotesi che sicuramente si rivelerà non rara.

I RISVOLTI INTERPRETATIVI. La disposizione sarà guardata, certamente, in senso negativo o positivo, a seconda delle posizioni degli interpreti, in merito all’applicabilità dei principi del D.lgs 29/1993 negli enti locali.

Apparirà un passo indietro ai sostenitori dell’univocità del principio di separazione, visto come principio necessariamente ispiratore dell’azione amministrativa, quale che sia la dimensione dell’ente pubblico, in quanto la funzione politica non può comunque coincidere con quella gestionale.

Apparirà, al contrario, un segno di progresso per coloro che da sempre sostengono l’inapplicabilità dei citati principi negli enti locali, un segno di civiltà giuridica dato dal legislatore che, così facendo, non impone un modello unico amministrativo - di ispirazione ministeriale - ad enti autonomi.

Al di là delle posizioni così sinteticamente riassunte, è un fatto certo che rispetto al tema delle funzioni gestionali nei piccoli enti, si assiste ad una sconcertante contradanza, da parte del legislatore.

E’ giusto ricordare che proprio gli enti locali di piccole dimensioni sono, da sempre, tendenzialmente contrari all’applicazione del principio di separazione, in quanto la concreta gestione mette il politico in condizione di dare un’immediata risposta alle istanze degli elettori (essendovi una notevole vicinanza tra la popolazione e l’ente), e di acquisire, così, consenso in vista della riconferma. A ciò si accompagna la scarsa propensione - per ragioni simmetriche a quelle precedentemente sintetizzate - a governare mediante un’accorta programmazione, ciò che implicherebbe non risposte estemporanee ad esigenze letteralmente raccolte per strada, giorno per giorno, ma una politica complessiva, che guarda alla politica di sviluppo complessivo della popolazione, al di là ed al di sopra delle istanze specifiche del singolo cittadino. Inoltre, la classe politica dei piccoli enti non sempre dispone concretamente dei mezzi, tecnici e cognitivi, per amministrare attraverso la programmazione e la verifica, piuttosto che mediante la gestione minuta.

Queste tematiche si posero all’indomani dell’entrata in vigore della legge 142/1990, e furono alla base della quasi totale disapplicazione del principio di separazione negli enti di piccole dimensioni.

Per rispondere a queste istanze, l’articolo 6 del D.lgs 336/1996, inserì nell’articolo 19 del D.lgs 77/1995, il comma a mente del quale <<per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti e per le comunità montane, l'organo esecutivo può, con delibera motivata che riscontri in concreto la mancanza assolutamente non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, affidare ai componenti dell'organo esecutivo medesimo la responsabilità dei servizi, o di parte di essi, unitamente al potere di assumere gli atti di gestione>>.

Si tratta, come si vede, di una disposizione molto simile a quella dell’emendamento che qui si commenta. Disposizione che venne fortemente criticata da parte della dottrina, proprio alla luce della sua problematica compatibilità con il sistema amministrativo, configurato dal D.lgs 29/1993. Le critiche dottrinali si fecero più forti, poi, a seguito dell’approvazione della legge 127/1997 e della legge 191/1998, che pensate appositamente per superare il problema dei piccoli comuni, consentendo l’assegnazione delle funzioni dirigenziali ai responsabili dei servizi, anche negli enti privi di qualifiche dirigenziali. E sull’onda di queste leggi e della levata di scudi degli interpreti, l’articolo 3, comma 1, del D.lgs 410/1998 eliminò la richiamata disposizione dall’articolo 19 del D.lgs 29/1993, ripristinando, quindi, la situazione precedente al D.lgs 336/1996: nessun ente locale, pertanto, poteva assegnare funzioni gestionali agli organi di governo.

VALUTAZIONI. Con la legge finanziaria per il 2001, si cambia di nuovo direzione. Che si tratti di un ritorno al passato, appare un fatto indiscutibile: è pura constatazione che la norma riporta al ’96 e addirittura a prima del ‘90, quando erano gli organi politici a gestire tutto, negli enti locali. Rispetto al ‘96, la differenza che salta maggiormente all’occhio consiste nell’aver ristretto ai soli enti con meno di 3.000 abitanti la possibilità di derogare al principio di separazione, mentre prima la possibilità si riferiva agli enti fino a 10.000 abitanti. La scelta del legislatore attuale appare più saggia, dal momento che effettivamente è solo negli enti <<polvere>> che è possibile riscontrare l’assenza di un apparato amministrativo in grado di gestire al meglio i servizi.

Che si tratti di un progresso, per l’amministrazione locale, è tutto da dimostrare. Di certo, la norma non favorisce nè gli accorpamenti degli enti locali, nè il convenzionamento dei servizi, pure obiettivi fondamentali della riforma del ‘90, confermati dalla legge 265/1999 e, per traslato, dal testo unico.

Inoltre, la norma non favorirà di certo l’accrescimento della professionalità e della qualità dei dipendenti degli enti locali. E’ ancora recente il j’accuse col quale la Corte dei conti ha denunciato la carenza di laureati nel comparto degli enti locali e la sostanziale dequalificazione dei dipendenti, in gran parte figlia proprio dell’ancient règime, nel quale tutta la gestione apparteneva ai politici, sicchè bastava un buon dattilografo e un dignitoso geometra, mentre anche il segretario comunale poteva essere soltanto diplomato. Piuttosto che puntare, allora, sulla formazione professionale e su un salto di qualità dei tecnici locali, gli enti potranno essere portati a porre in essere un’organizzazione minimale, quando non pauperistica, con buona pace dell’aziendalizzazione della gestione dell’ente locale.

La norma, in conclusione, non appare rispondente al principio del buon andamento organizzativo. All’apparenza risponde ad alcuni problemi organizzativi degli enti di minime dimensioni. Però il legislatore invece di pungolare detti enti verso una crescita, istituzionale ed organizzativa, risponde alle esigenze di retroguardia, introducendo una deroga al principio di separazione che appare tanto meno opportuna, in quanto giunge a pochissimi giorni dall’entrata in vigore del testo unico, che, invece, detto principio ha rafforzato e reso omogeneo alla disciplina dell’organizzazione statale, giacchè l’organizzazione amministrativa, anche se deve poter contare su modelli attuativi peculiari, deve poter avere una radice comune. E certamente detta radice doveva essere non tanto il principio di separazione, quanto la necessità di portare la politica dalla minuta gestione, alla programmazione e governo complessivo dei bisogni, obiettivo rispetto al quale il principio di separazione è un mezzo, non il fine.

Coerenza della deroga col testo unico e il D.lgs 29/1993. Per quanto criticabile nel merito, la disposizione pare, tuttavia, si inserisca bene nel quadro del testo unico. Infatti, l’articolo 107, comma 4, prevede espressamente che le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio della divisione delle competenze, possono essere derogate espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative.

La disposizione, per la verità, riguarda le attribuzioni delle qualifiche dirigenziali. Tuttavia, esso può essere applicato anche ai comuni con meno di 3.000 abitanti in quanto ai sensi dell’articolo 109, comma 2, resta la possibilità di assegnare le funzioni dirigenziali ai dipendenti non in possesso della qualifica dirigenziale, ed, inoltre, perchè dopo la legge 265/1999, teoricamente anche negli enti con popolazione fino a 3.000 abitanti possono essere istituiti i dirigenti.

Ora, l’emendamento alla finanziaria introduce proprio una deroga espressa, che ha la sua fonte nella legge. E’ vero, infatti, che, per essere operativa, l’assegnazione delle competenze gestionali necessita di una deroga regolamentare. Ma la deroga al testo unico non deriva, in realtà, dal regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, bensì direttamente dalla legge finanziaria, che assegna a detto regolamento il compito di rendere attuale la deroga medesima.

E’, in sostanza, una situazione simile alla disciplina dei regolamenti delegati di delegificazione, i quali possono abrogare le leggi, ma non per propria forza normativa, piuttosto in quanto traggono dalla legge di delega la potestà di abrogare. Tanto è vero che la dottrina ritiene che in realtà la fonte abrogativa sia la legge di delega, ma l’abrogazione vera e propria è rinviata ad un fatto successivo, l’entrata in vigore del regolamento governativo.

Ebbene, nel caso che ci occupa, ci si trova in una situazione analoga. La legge dispone la deroga, ma ne condiziona l’applicabilità all’approvazione di un regolamento. La deroga al principio di separazione, allora, non deriva dalla fonte regolamentare, ma dalla legge medesima, che rinvia gli effetti derogatori all’autonoma determinazione regolamentare degli enti, con un’operazione tutto sommato apprezzabile e corretta, sul piano del rapporto tra fonti, nell’ambito della loro scala gerarchica.

La deroga, però, sembra meno coerente con il disposto dell’articolo 111 del testo unico, che impone agli enti di adeguare il proprio ordinamento ai principi del testo unico medesimo e dell’articolo 3 del D.lgs 29/1993 e del capo II del D.lgs 29/1993.

Vista sotto l’ottica di questo dovere di adeguamento così ampio (del resto già previsto dall’articolo 27-bis del medesimo D.lgs 29/1993), la possibilità di deroga di cui al già citato articolo 107, comma 4, del testo unico, appare limitata a specifiche e speciali disposizioni, che possono rompere, ma in una parte minimale, il principio della separazione delle competenze tra politica e gestione.

L’emendamento, invece, sembra proporre non tanto una deroga, quanto una vera e propria disapplicazione del principio, in quanto consente, appunto, di non applicarlo per nulla, e non soltanto in parte ed in ragione di una speciale disposizione normativa.

Da questo punto di vista, l’operazione legislativa appare più discutibile. In realtà, l’emendamento non propone una deroga vera e propria. Accora dottrina (V. Italia, Principi generali e principi determinati dalla legge, Giuffrè, Milano, 2000) sottolinea che la deroga consiste in una previsione diversa, ma compatibile, con il principio derogato. Ma nel caso che qui si esamina, la previsione dell’emendamento è, non soltanto diversa, ma opposta, contraria e quindi incompatibile col principio della distinzione delle competenze.

Dunque, di stretto diritto, non si dovrebbe parlare di deroga, ma di una vera e propria abrogazione. L’effetto è, da questo punto di vista, del tutto analogo a quello previsto dall’articolo 17, comma 2, della legge 400/1988, con la differenza, però, che finora nessuna norma di legge aveva mai previsto la possibilità che un regolamento locale (e non del governo) potesse abrogare una disposizione di legge.

Tuttavia, di vera e propria abrogazione non può parlarsi, in quanto se l’ente riuscisse a reperire la professionalità necessaria a ricoprire la/le funzione/i gestionali, avrebbe il dovere di rimodificare il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, dando, quindi attuazione piena al principio della separazione.

Insomma, si è in presenza di una fattispecie ibrida, pensata per dare una risposta ad hoc a problematiche di retroguardia, sicchè è inevitabile che la soluzione proposta presenti più ombre che luci.

PROBLEMI. E’ facile, per altro, individuare tra le ombre fattispecie di dubbia legittimità, che facilmente costelleranno l’attuazione pratica della norma.

Se si rispettassero pedissequamente le condizioni applicative, in realtà l’emendamento potrebbe essere operativo solo in un numero molto limitato di comuni. Non è, infatti, facile dimostrare l’assoluta ed irrimediabile carenza di professionalità dei dipendenti, ai fini della gestione amministrativa. Non si capirebbe, infatti, come avrebbero potuto, fin qui, andare avanti i medesimi comuni, assegnando le responsabilità gestionali ai dipendenti, soprattutto se non siano mai intervenuti provvedimenti sanzionatori per incapacità di cogliere i risultato conseguito.

Si può obiettare che, in assenza della norma prevista dalla finanziaria, gli enti avrebbero fatto di necessità virtù, assegnando obtorto collo a soggetti tutto sommato non idonei, competenze che sarebbe stato meglio fossero state attribuite ad altri soggetti.

Tuttavia, questa obiezione non appare pertinente o, comunque, persuasiva. Si ponga l’attenzione su quegli enti (e ce ne sono parecchi) nei quali operino dipendenti inquadrati nella categoria D.

La riqualificazione del personale, operata con il CCNL in data 31.3.1999, è stata molto condizionata proprio dall’operatività del principio di separazione delle competenze tra politica e gestione, ed ha mirato da un lato a remunerare maggiormente i responsabili dei servizi cui fossero state affidate funzioni dirigenziali, per il mezzo delle posizioni organizzative, e, per altra via, riqualificare il profilo professionale dei dipendenti, appunto al fine di consentire loro, in generale, di essere destinatari di funzioni gestionali dirigenziali.

Le declaratorie allegate al CCNL in data 31.3.1999, a proposito delle attribuzioni dei dipendenti inquadrati nella qualifica D, dispongono, tra l’altro, che detti dipendenti svolgono attività caratterizzate da "elevate conoscenze plurispecialistiche", "contenuto di tipo tecnico, gestionale o direttivo con responsabilità di risultati", "elevata complessità dei problemi da affrontare", "relazioni organizzative interne di natura negoziale e complessa, gestite anche tra unità organizzative diverse da quella di appartenenza, relazioni esterne (con altre istituzioni) di tipo diretto anche con rappresentanza istituzionale".

Di fronte a queste attribuzioni, è lecito ed obbligatorio chiedersi: come è possibile che il dipendente di categoria D non sia in possesso dell’idoneità professionale a svolgere le funzioni di responsabile degli uffici? E se così fosse, come potrebbe non conseguire all’attribuzione delle funzioni gestionali all’organo di governo, un provvedimento sanzionatorio molto grave nei confronti del dipendente medesimo, che giunga, al limite, fino al licenziamento per scarso rendimento, o alla dequalificazione professionale?

Il problema, per altro, si porrebbe in modo molto più grave laddove i dipendenti in questione fossero già stati inquadrati nell’area delle posizioni organizzative, che è un innegabile riconoscimento della professionalità acquisita. Come sarebbe giustificabile, senza incorrere nell’eccesso di potere, l’assegnazione delle funzioni gestionali all’organo di governo, senza che alla base non vi sia un forte, motivato, preciso, giudizio negativo sull’operato dei gestori?

Si badi, il discorso non è molto diverso per gli enti nei quali la posizione apicale sia in categoria C, sia perchè detti dipendenti possono a loro volta essere stati inquadrati nell’area delle posizioni organizzative, sia perchè anche le declaratorie della categoria C fanno intravvedere un’alta specializzazione professionale.

CONSEGUENZE. Insomma, stando così le cose, sembra davvero molto difficile rientrare effettivamente nei casi - che dovrebbero essere del tutto marginali - di applicabilità dell’emendamento. Pertanto, è tanto più alto il rischio che si vada ad applicazioni capziose, discutibili sul piano del corretto esercizio della potestà prevista dalla legge, passibili con molta facilità di illegittimità per eccesso di potere.

Il rischio concreto, infatti, è che a guidare le scelte dei sindaci saranno, soprattutto, ragioni di natura economica. Cioè, il motivo vero dell’applicazione della norma sarà la volontà di non applicare il principio di separazione, ma la giustificazione ufficiale per lo più si rintraccerà nella possibilità di conseguire dei risparmi, in particolare consistenti nella non assegnazione delle indennità di posizione organizzativa ed, al limite, dell’indennità fino a 2 milioni per posizioni di responsabilità comunque assunte nell’ambito dell’ente.

Insomma, la norma non lo dice, ma è chiaro che coloro che subiranno sulla loro pelle le conseguenze della sua applicazione saranno quei dipendenti capaci, che nonostante saranno considerati in tutt’altro modo, in nome della realpolitk.

Ma l’applicazione dell’emendamento non potrà non comportare conseguenze anche su altro personale, ed in particolare i segretari comunali. Infatti, in presenza dell’attuazione dell’emendamento e, soprattutto, se per fini di contenimento della spesa, apparirebbe assolutamente incongruo e contrastante con l’obiettivo del risparmio affidare al segretario comunale la direzione generale, specie se retribuita.

Del resto, se la gestione è affidata ai componenti della giunta, come potrebbe il segretario assumere le funzioni di coordinatore della gestione di soggetti politici? E’ chiaro che in conseguenza di una scelta del genere, le funzioni di coordinamento della gestione dovrebbero ricadere solo sul sindaco, visto che è solo a lui che gli assessori rispondono, a meno di non creare un’inammissibile funzione di coordinamento di un soggetto tecnico, , funzionalmente dipendente dal sindaco e dalla giunta, rispetto ai componenti dell’organo di governo.

E sempre a proposito dei segretari comunali, la norma appare un’ulteriore conferma dell’assoluta residualità dei casi nei quali la gestione è affidabile al segretario comunale. In primo luogo, perchè la scelta di assegnare al segretario la gestione resta alternativa e concorrente con quella di far confluire nell’organo di governo le funzioni gestionali.

In secondo, perchè la norma prefigura abbastanza chiaramente l’intervento del segretario proprio in presenza degli stessi presupposti previsti dall’emendamento: l’assoluta ed irrimediabile mancanza di professionalità idonee tra il personale dell’ente a svolgere funzioni dirigenziali, un classico caso di extrema ratio, non una scelta ordinaria.

RISPARMI. C’è, comunque, da dubitare seriamente che l’obiettivo dei risparmi possa essere concretamente conseguito. Difficilmente, infatti, i segretari comunali accetterebbero di rinunciare all’incarico di direttore generale e alla retribuzione, ritenuta conseguenziale da molti.

Per altro verso, è facile immaginare che sindaco e assessori, per effetto dell’assunzione delle responsabilità connesse alla concreta gestione riterranno di aumentare le rispettive indennità, giacchè appunto l’assunzione delle funzioni gestionali rappresenta di per sè un oggettivo aumento di attribuzioni e competenze. Alla fine, ciò che non verrebbe assegnato ai dipendenti, finirebbe per essere attribuito agli amministratori. Sarà, allora, vero risparmio? E, del resto, anche se la norma impone di dimostrare i risparmi conseguiti, d’altro lato non prevede sanzione alcuna, qualora detti minori oneri non si realizzino o non si dimostrino. Dunque, dubitare dell’efficacia, da questo punto di vista, della norma appare lecito, in sede di interpretazione critica.

PROBLEMI ATTUATIVI. Ma le perplessità non si fermano qui. Il testo dell’emendamento prevede che si possa attribuire ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Si può, allora, dare corso alla determinazione sindacale o assessorile? La norma sembra consentirlo e, del resto, l’esperienza successiva al D.lgs 336/96, ha proprio concretamente fatto registrare la presenza di simili atti gestionali.

Si poteva dubitare della correttezza di tutto ciò già nel ‘96, ma oggi l’attenzione va rivolta al diritto attuale.

Ebbene, questa parte dell’emendamento introduce un’ulteriore deroga, e precisamente all’articolo 48, comma 1, del testo unico, a mente della quale <<la giunta collabora con il sindaco o con il presidente della provincia nel governo dell’ente o della provincia ed opera attraverso deliberazioni collegiali>>. L’emendamento dispone in senso opposto, sia con riferimento alla possibilità di collaborare al solo fine di governare l’ente, cioè di svolgere le funzioni di indirizzo e controllo e non quelle gestionali; sia con riferimento alla collegialità della giunta, che in linea di principio impedisce che il singolo componente possa porre in essere atti di amministrazione attiva e diretta.

Queste due ulteriori deroghe, sebbene conseguenziali alla prima, rendono ancora meno compatibile l’emendamento col sistema amministrativo e lo rendono fortemente sospetto di illegittimità, per violazione dell’articolo 1, comma 4, del testo unico, a mente del quale <<ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni>>.

CONSIDERAZIONI FINALI. Si dimostra, ancora una volta, come in realtà questa disposizione (già contenuta nella legge 142/1990) sia una scatola vuota, incapace di vincolare seriamente il Parlamento, che, vigente la legge 142/1990, l’ha violata a più riprese, senza che mai ne siano derivate conseguenze.

Se il testo unico doveva servire per cambiare rotta, ebbene si dimostra che invece l’ancient règime prosegue, anche su questo versante. Il testo unico è rimasto tale per soli pochi giorni. E’ già stato indirettamente modificato dalla legge 340/2000, nella parte relativa all’ufficiale elettorale (anche se il nuovo organismo opererà dal 2002). Ed ora viene nuovamente modificato, e per l’articolo 48 esattamente in modo contrario alla norma di cui al suo articolo 1, comma 4, e cioè attraverso una modifica implicita all’ordinamento locale, e senza l’espressa modificazione delle disposizioni del testo unico, che si ritrova, così, già monco di una parte fondamentale dell’ordinamento locale.