http://www.giust.it/Giust.it

n. 05-2001.

MAURIZIO GRECO
(Funzionario della Regione Liguria,
Servizio Gare e Contratti)

La gestione degli incarichi professionali
e di consulenza nell’ente locale (*)

I. La configurazione degli incarichi professionali e delle consulenze.

1.1. Elementi contenutistici, presupposti.

La materia degli incarichi professionali e di consulenza, dopo il risalto avuto da alcune recenti pronunce della magistratura contabile, appare di particolare attualità e delicatezza, specie per quanto riguarda i profili di legittimità involti dalla stipulazione dei suddetti contratti d’opera intellettuale con esperti terzi da parte delle amministrazioni pubbliche, nonché per la volontà, più volte espressa dal legislatore, di rivalorizzare le professionalità interne alle amministrazioni e di contenere la spesa pubblica: viene in rilievo, da ultimo, quanto disposto dall’art. 91, 1° comma del T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267/2000), in base al quale gli enti locali sono tenuti ad adeguare i propri ordinamenti ai principi di funzionalità e di ottimizzazione delle risorse.

Basti pensare che l’art. 30, comma 8 della legge finanziaria per il 2000 (L. n. 488/1999) ha previsto, tra le misure da adottare per il rispetto del cd. "Patto di stabilità interno", che gli enti limitino, per l’appunto, il ricorso ai contratti stipulati al di fuori della dotazione organica e alle consulenze esterne (la giurisprudenza amministrativa ne ha già tratto la conclusione della sussistenza, sotto tale profilo, di un obbligo di "motivazione ulteriore" del provvedimento attributivo dell’incarico, ai fini della sua legittimità).

Ma non si tratta che dell’ultimo intervento legislativo in una materia, già da anni oggetto di normazione sotto vari aspetti; ci limiteremo, di seguito, ad un breve esame delle disposizioni del cd. decreto "Cassese" e delle norme ad esso seguite.

1.1.1. La normativa statale.

I) L’art. 7, 6° comma del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’art. 5 del D.Lgs. n. 546/1993, ha stabilito - in via generale - che per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

I limiti dettati da tale norma sono quindi i seguenti:

a) che si tratti di far fronte ad esigenze che gli enti non possono soddisfare con personale in servizio (si deve ritenere, nel silenzio della norma, a qualunque titolo);

b) che si tratti di incarichi individuali;

c) che gli incaricati siano esperti di provata competenza;

d) che siano determinati preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.

Non pare dubbio che la norma, per come è formulata, ha riferimento all’attivazione di un rapporto di lavoro autonomo, regolato dagli artt. 2229 e seguenti del codice civile, caratterizzato dal compimento verso un corrispettivo di un’opera intellettuale, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Nella categoria generale delle professioni intellettuali, quelle determinate dalla legge (art. 2229, primo comma, c.c.) sono tipizzate ed assoggettate all’iscrizione in albi ed elenchi; mentre, all’infuori di queste, vi sono prestazioni di contenuto professionale o intellettuale non specificamente caratterizzate, che ben possono essere oggetto di rapporto di lavoro autonomo (Cass. Civ., Sez. I, 26 agosto 1993, n. 9019).

Dall’art. 2231 c.c. è desumibile, a contrario, che l’esercizio di un’attività professionale possa non essere condizionata all’iscrizione in un albo o elenco.

Il contratto d’opera è quindi – di massima – il contratto del libero professionista, mentre l’appalto è il contratto dell’imprenditore.

Il contratto d’opera ha in comune con l’appalto l’obbligo verso il committente di compiere dietro corrispettivo un servizio senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi esegue, differenziandosene invece per il fatto che l’opera o il servizio vengono compiuti con lavoro prevalentemente proprio dell’obbligato, con l’eventuale aiuto di pochi collaboratori, e pertanto sotto un aspetto quantitativo piuttosto che qualitativo, restando cioè le due fattispecie diversificate in relazione non alla natura, all’oggetto o al contenuto della prestazione ma al profilo organizzatorio del soggetto che deve compierla (Cass. Civ., Sez. II, 17 settembre 1997, n. 9237).

La circostanza che il contraente cui sia stato convenzionalmente commesso lo svolgimento di un servizio si sia avvalso di collaboratori non vale, di per sé sola, a dimostrare che egli possegga quella qualità di imprenditore commerciale nella quale va individuata la differenza fondamentale fra il contratto d’appalto e il contratto d’opera, qualità che, presupponendo una complessa organizzazione di fattori produttivi, lo contrassegna della titolarità di un’organizzazione produttiva, incompatibile con la locatio operis (Cass., n. 97/819).

Il contratto di appalto e il contratto d’opera hanno comuni gli elementi dell’indipendenza rispetto al committente e dell’assunzione del rischio, ma si differenziano tra loro in quanto l’appalto, per la natura del servizio, presuppone nell’appaltatore un’organizzazione ad impresa, in modo che egli possa valersi del lavoro subordinato di altre persone, mentre nel contratto d’opera il contraente impiega il lavoro proprio (Cass. 75/2912).

Peraltro, come noto, la distinzione tra appalto e contratto d’opera, nel codice sufficientemente chiara, risulta messa in discussione in relazione alla disciplina europea degli appalti pubblici di servizi, che contempla nel proprio ambito di applicazione anche fattispecie che per il diritto italiano rappresentano tipiche prestazioni professionali (protette): es. servizi di contabilità, revisione dei conti e tenuta dei libri contabili; servizi attinenti all'architettura ed all'ingegneria, anche integrata; servizi attinenti all'urbanistica ed alla paesaggistica; servizi affini di consulenza scientifica e tecnica; servizi di sperimentazione tecnica ed analisi; servizi legali (allegati 1 e 2 del D.Lgs. 157/1995 ss.mm.ii.).

In ogni caso la specificità di tali prestazioni è tenuta presente dalla normativa di derivazione comunitaria, che consente l’affidamento delle medesime a trattativa privata (previa pubblicazione di un bando) laddove la natura dei servizi di natura intellettuale renda impossibile stabilire le specifiche degli appalti stessi con sufficiente precisione perché essi possano essere aggiudicati selezionando l'offerta migliore in base alle norme delle procedure aperte o ristrette (art. 7, 1° comma, lett. c, D.Lgs. 157/1995). Va peraltro tenuto presente che già a norma dell’art. 2238, primo comma c.c. l’esercizio di una professione intellettuale può costituire elemento di un’attività organizzata in forma di impresa e, quindi, in considerazione dell’eguale destinazione del fattore personale e del fattore patrimoniale alla realizzazione di un profitto, essere congiuntamente soggetto alla disciplina dell’attività professionale e a quella dell’impresa (Cass. Civ., Sez. I, 22 gennaio 1976, n. 185).

Anche i professionisti intellettuali assumono la qualità di imprenditore commerciale quando esercitano la professione nell’ambito di un’attività organizzata in forma di impresa, in quanto svolgono una distinta ed assorgente attività che si contraddistingue da quella professionale proprio per il diverso ruolo che assume il sostrato organizzativo – il quale cessa di essere meramente strumentale – e per il diverso apporto del professionista, non più circoscritto alle prestazioni d’opera intellettuale, ma involgente una prevalente opera di organizzazione di fattori produttivi che si affiancano all’attività tecnica ai fini della produzione del servizio (Cass. Civ., Sez. I, 28 aprile 1982, n. 2645).

Si veda anche, infra, il Cap. II.

II) Pressoché contestualmente, l’art. 3, comma 23 della L. 24 dicembre 1993, n. 537 (peraltro successivamente abrogato dall’art. 43, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80) aveva introdotto il divieto alle pubbliche amministrazioni di stabilire rapporti di lavoro autonomo per prestazioni superiori a tre mesi.

Il successivo comma 27 dello stesso articolo 3 (anch’esso oggi abrogato) aveva soggiunto che non potevano stabilirsi più di due rapporti di lavoro autonomo per prestazioni inferiori a tre mesi con la medesima persona, nell’arco di un anno.

A tale riguardo la giurisprudenza contabile ha ritenuto che "il ricorso ad incarichi e consulenze esterne contrasta col fondamentale principio di diritto secondo cui gli enti pubblici debbono utilizzare per l’assolvimento dei compiti d’istituto il proprio apparato organizzativo; di conseguenza – tenuto, anche, conto delle limitazioni introdotte, rispettivamente, dai commi ventitreesimo e ventisettesimo dell’art. 3 della legge n. 537/1993 nonché dell’art. 7, comma sesto, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 – detto fenomeno è da ammettere solo in casi eccezionali, idoneamente motivato, quando particolari incombenze non possano essere assolte dal personale dipendente e sempre per limitato periodo di tempo" (Corte dei Conti, Sez. Contr. Enti, 14 giugno 1995, n. 34).

Anche se abrogate (presumibilmente per i limiti eccessivi che ponevano agli enti: si pensi, ad es., all’inapplicabilità – di fatto – degli stessi agli incarichi a legali), tali norme confermano alcuni principi più generali comunque desumibili dagli indirizzi legislativi e giurisprudenziali in materia, ed in particolare:

l’occasionalità dell’incarico;

la limitatezza temporale dello stesso.

III) Ancora, l’art. 25 della L. 23 dicembre 1994, n. 724 ha stabilito che, al fine di garantire la piena e effettiva trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa, al personale delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che cessa volontariamente dal servizio (pur non avendo il requisito previsto per il pensionamento di vecchiaia dai rispettivi ordinamenti previdenziali, ma che tuttavia ha il requisito contributivo per l’ottenimento della pensione anticipata di anzianità previsto dai rispettivi ordinamenti), non possono essere conferiti incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca da parte dell’amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali ha avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio (divieti analoghi sono dettati dalla legislazione regionale, di cui in seguito).

IV) L’art. 1, comma 127 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 ha infine previsto che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono di collaboratori esterni o che affidano incarichi di consulenza per i quali è previsto un compenso pubblicano elenchi nei quali sono indicati i soggetti percettori, la ragione dell’incarico e l’ammontare erogato. Copia degli elenchi è trasmessa semestralmente alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica (si veda altresì - ed analogamente - l’art. 58, comma 14°, ultima parte, del D.Lgs. 29/1993 ss.mm.ii.).

V) Da ultimo l’art. 110, ultimo comma del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (T.U.E.L.) ha previsto che, per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità (sono così confermate le generali indicazioni di cui all’art. 7, ultimo comma, del D.Lgs. 29/93).

VI) Anche la normativa di settore ha ribadito i principi di cui sopra, peraltro con non trascurabili "aperture", puntigliosamente disciplinate.

In particolare, ai sensi dell’art. 17, comma 4, della legge quadro sui lavori pubblici, si può ricorrere alla progettazione "esterna" in caso di carenza in organico di personale tecnico nelle stazioni appaltanti, ovvero di difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto, ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrati, così come definiti dal regolamento, che richiedano l’apporto di una pluralità di competenze.

Nel testo definitivo del comma in commento (così come sostituito dalla legge 18 novembre 1998, n. 415) è stato espunto il riferimento (introdotto dal decreto-legge 3 aprile 1995, n. 101, convertito con legge 2 giugno 1995, n. 216, che pure aveva per la prima volta generalizzato la possibilità per le amministrazioni pubbliche di avvalersi, per l’espletamento delle prestazioni riguardanti la progettazione, di "collaborazioni esterne"), alla "assoluta priorità" del ricorso alla utilizzazione dei propri uffici interni.

Sulla base del testo attualmente in vigore, risulta, quindi, rimosso il disfavore, già contenuto nella legge 20 marzo 1985, n. 2248 all. F ed esplicitamente ribadito nel r.d. dell’8 febbraio 1923, n. 422, art. 1, nei confronti della progettazione e similari attività tecnico-amministrative commesse a soggetti estranei e viene resa derogabile la competenza dell’apparato tecnico pubblico in merito alla realizzazione dei lavori pubblici.

Non può, peraltro, ritenersi ammissibile un libero ricorso, alternativo, alla progettazione interna o esterna, se non altro per la subordinazione, espressamente stabilita dall’art. 17 in esame, al verificarsi di ipotesi tassative per il ricorso alla progettazione esterna.

Questi "casi", come li qualifica la norma, non implicano momenti di valutazione discrezionale della pubblica amministrazione, in quanto si concretano in situazioni di fatto, individuabili sulla base di ponderazioni solo tecniche e perciò affidate al tecnico responsabile del procedimento, che le deve compiere e "certificare", dice la legge, confermando così la carenza di ogni valutazione con connotati di discrezionalità (così, testualmente, l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, nel noto atto di regolazione 8 novembre 1999).

Il regolamento generale (D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554) ha peraltro aggiunto una ulteriore ipotesi, prevedendo, all’art. 8, 5° comma, che il responsabile del procedimento, nel caso di inadeguatezza dell’organico, possa proporre all’amministrazione aggiudicatrice l’affidamento di attività di supporto, secondo le procedure e con le modalità previste dalla normativa vigente.

Analogo discorso può farsi, ancora, per quanto riguarda la figura del collaudatore (art. 188, 3° comma del suddetto regolamento).

1.1.2. La normativa regionale.

Anche le regioni, dal canto loro, si sono da tempo dotate di una normativa in materia (di cui si danno di seguito alcuni esempi), sovente in attuazione di disposizioni statutarie che ammettono il conferimento di incarichi a persone estranee all’Amministrazione in possesso di peculiari, notorie e comprovate esperienze e competenze professionali.

Particolarmente interessante è la legge della Valle d’Aosta 16 agosto 1994, n. 47, in quanto reca alcuni spunti definitori di portata generale.

Ai sensi dell’art. 1, 1° comma tale legge regionale disciplina il conferimento di speciali incarichi, ammissibili in relazione a particolari esigenze eccedenti le normali competenze del personale dipendente, ovvero in assenza di personale in possesso dei requisiti di professionalità necessari o quando il medesimo sia impegnato nella normale attività di servizio, a soggetti esterni all’Amministrazione ai quali sia riconosciuta una specifica competenza.

Il 2° comma soggiunge che l’espletamento dei compiti oggetto degli incarichi dovrà consentire, oltre al raggiungimento degli specifici obiettivi individuati nei relativi atti deliberativi, anche un arricchimento delle capacità professionali e delle conoscenze del personale regionale (cfr., analogamente, l’art. 24, 4° comma dell’abrogata L.R. Liguria n. 45/1993).

In base all’art. 2 sono incarichi professionali quelli relativi alla prestazione di opere intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi previsti dalla legge, conferiti a persone fisiche esterne all’Amministrazione che esercitano l’attività individualmente o in forma associata, ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1815 (disciplina giuridica degli studi di assistenza e di consulenza).

Sono invece consulenze (art. 8) le prestazioni intellettuali, di supporto alle attività della Regione, effettuate da soggetti esperti con specifiche conoscenze, per il cui esercizio può non essere necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi professionali, cioè tecnici iscritti ad ordini e collegi professionali od esperti di provata esperienza ed accertata capacità anche costituiti in enti, società o organizzazioni.

Tali incarichi sono soggetti - tra l’altro - a precisi limiti temporali (v. art. 4; art. 10) e di spesa.

I legislatori regionali hanno, altresì, introdotto ulteriori limiti, volti a circoscrivere di cautele il fenomeno in esame ed in particolare a disciplinare le procedure di conferimento degli incarichi in discorso.

Indicativa al riguardo è la già citata L.R. Liguria n. 45/1993, peraltro successivamente abrogata dalla L.R. 6 aprile 1999, n. 12.

Si pensi in particolare (artt. 25-26):

a) all’obbligo di pubblicizzare gli incarichi di importo superiore a lire 200 milioni, ponendo un termine entro il quale soggetti interessati possano segnalare la propria disponibilità, documentando le proprie competenze ed esperienze;

b) all’obbligo di dare conto, nel provvedimento di conferimento dell’incarico, dei criteri sulla base dei quali è stata operata la scelta e dell’elenco di coloro che avevano segnalato la disponibilità;

c) all’istituzione di un albo regionale dei progettisti, dei consulenti e delle società di consulenza;

d) alla regola per cui, di norma, non vengono conferiti incarichi individuali a dipendenti dell’Università, di enti di ricerca pubblici, di pubbliche amministrazioni ed eventuali eccezioni motivano le specifiche circostanze che rendano impossibile il conferimento dell’incarico alla struttura nella quale l’interessato opera (come noto, l’art. 58, comma 8, del D.Lgs. 29/1993 ss.mm.ii. richiede, in tali situazioni, l’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, a pena di nullità dell’incarico);

e) alla regola per cui ad un singolo consulente, direttamente o tramite società di consulenza, non possono essere affidati incarichi ripetuti per importi che nello stesso anno solare superino l’importo di lire 200 milioni.

In materia si devono ricordare inoltre, sostanzialmente nel solco delle disposizioni sopra commentate: la L.R. Basilicata 21 dicembre 1992, n. 22; la L.R. Piemonte 25 gennaio 1988, n. 6; la L.R. Abruzzo 9 settembre 1986, n. 52; la L.R. Umbria 23 marzo 1981, n. 14; la L.R. Lombardia 22 aprile 1974, n. 21; la L.R. Molise 13 ottobre 1972, n. 13; la L.R. Toscana 20 luglio 1972, n. 21.

Si segnala, relativamente alla disciplina di cui agli artt. 51 e 52 della L.R. Sicilia 29 maggio 1985, n. 41, una recente pronuncia della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale di Appello per la regione Sicilia, 27 marzo 2000, n. 49, in base alla quale gli incarichi conferiti dal presidente e dagli assessori della giunta regionale siciliana ad esterni all’amministrazione soggiacciono ai limiti degli incarichi conferiti ad estranei per scopi amministrativi (oggetti determinati e prestazioni obiettivamente apprezzabili).

1.1.3. In particolare, gli incarichi a pubblici dipendenti.

Riguardo ai dipendenti pubblici, i commi 7 e 8 dell’art. 58 del D.Lgs. 29/93 ss.mm.ii. prevedono che gli stessi non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza. Salve le più gravi sanzioni, il conferimento dei predetti incarichi, senza la previa autorizzazione, costituisce in ogni caso infrazione disciplinare per il funzionario responsabile del procedimento: il relativo provvedimento è nullo di diritto.

In tal caso l’importo previsto come corrispettivo dell’incarico, ove gravi su fondi in disponibilità dell’amministrazione conferente, è trasferito all’amministrazione del dipendente ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti.

Analogamente il comma 8 dispone con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, per i quali gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell’autorizzazione nei casi previsti dal suddetto decreto (tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso).

Sono esclusi comunque dalla suddetta disciplina i compensi derivanti:

  1. dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili;
  2. dalla utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali;
  3. dalla partecipazione a convegni e seminari;
  4. da incarichi per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate;
  5. da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo;
  6. da incarichi conferiti dalle organizzazioni sindacali a dipendenti presso le stesse distaccati o in aspettativa non retribuita.

Per quanto riguarda infine i dirigenti sanitari (si pensi ad esempio all’incarico di "medico competente" ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 626/1994), vanno da ultimo ricordate le disposizioni del Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229 "Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419", che hanno modificato e integrato il D.Lgs. 502/1992.

In base all’art. 15-quater, i dirigenti sanitari, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato, con i quali sia stato stipulato il contratto di lavoro o un nuovo contratto di lavoro in data successiva al 31 dicembre 1998, nonché quelli che, alla data di entrata in vigore del decreto, che modifica il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abbiano optato per l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria sono assoggettati al rapporto di lavoro esclusivo.

Sulla base del comma 2 del successivo art. 15-quinquies, il rapporto di lavoro esclusivo comporta l'esercizio dell'attività professionale nelle sole seguenti tipologie:

  1. il diritto all'esercizio di attività libero professionale individuale, al di fuori dell'impegno di servizio, nell'ambito delle strutture aziendali individuate dal direttore generale d'intesa con il collegio di direzione; salvo quanto disposto dal comma 11 dell'articolo 72 della legge 23 dicembre 1998, n. 448;
  2. la possibilità di partecipazione ai proventi di attività a pagamento svolta in équipe, al di fuori dell'impegno di servizio, all'interno delle strutture aziendali;
  3. la possibilità di partecipazione ai proventi di attività, richiesta a pagamento da singoli utenti e svolta individualmente o in équipe, al di fuori dell'impegno di servizio, in strutture di altra azienda del Servizio sanitario nazionale o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione dell'azienda con le predette aziende e strutture;
  4. la possibilità di partecipazione ai proventi di attività professionali, richieste a pagamento da terzi all'azienda, quando le predette attività siano svolte al di fuori dell'impegno di servizio e consentano la riduzione dei tempi di attesa, secondo programmi predisposti dall'azienda stessa, sentite le équipes dei servizi interessati. Le modalità di svolgimento delle attività e i criteri per l'attribuzione dei relativi proventi ai dirigenti sanitari interessati nonché al personale che presta la propria collaborazione sono stabiliti dal direttore generale in conformità alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

1.2. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa: peculiarità ed eccezionalità.

Sulla base delle definizioni sopra date di incarico professionale e di consulenza, si tratta pertanto - nella generalità dei casi - di attività di lavoro autonomo (se non d’impresa, nel caso delle società di consulenza, ai sensi dell’art. 2238 c.c.) rientrante nell’oggetto della professione abitualmente esercitata dall’incaricato ai sensi dell’art. 49, comma 1 del T.U.I.R. e i cui compensi sono soggetti ad IVA, al relativo regime previdenziale (Cassa) e all’ordinaria ritenuta alla fonte del 20%.

Resta salva l’ipotesi che - nel caso specifico - si tratti di collaborazioni occasionali (reddito diverso ai sensi dell’art. 81, lettera l del T.U.I.R.), non rilevanti a fini previdenziali ed anche, come noto, non soggette ad IVA ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 633/72 ss.mm.ii..

Esula pertanto dalla presente trattazione il problema delle collaborazioni coordinate e continuative assoggettate al contributo INPS del 10 - 13 % (oltre che, più di recente, alla maggiorazione dello 0,5 % per maternità e assegno per il nucleo familiare), vieppiù oggi che l’art. 34 della L. 21 novembre 2000, n. 342 (legge fiscale collegata alla finanziaria 2001) le qualifica come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (con ogni conseguenza: applicazione delle ritenute IRPEF per aliquote progressive per scaglioni di reddito; assoggettamento alle addizionali IRPEF comunali e regionali e all’IRAP, compilazione della busta paga e del CUD, ecc.).

Infatti queste ultime hanno ad oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica e prestabilita (art. 47, comma 1, lett c-bis T.U.I.R.).

La differenza pertanto tra incarichi professionali e prestazioni rese in regime di c.d. parasubordinazione è duplice:

il contratto d’opera ha ad oggetto una prestazione determinata (un progetto, un parere legale, ecc.), mentre le collaborazioni hanno natura unitaria e continuativa;

correlativamente, il compenso del lavoratore autonomo è correlato all’opera (art. 2233, 2° comma, c.c.), mentre la retribuzione del collaboratore è periodica e prestabilita.

La legittima configurabilità di tali rapporti anche all’interno delle pubbliche amministrazioni non è in discussione (si pensi ad esempio alla partecipazione a collegi e commissioni, ovvero alla collaborazione a giornali, riviste o simili; un’altra ipotesi potrebbe essere rappresentata dal personale degli uffici di supporto agli organi di direzione politica, di cui all’art. 90 del T.U.E.L. (già art. 6, comma 8 della L. 15 maggio 1997, n. 127); si veda, analogamente, l’art. 14, 2° comma del D.Lgs. 29/1993 ss.mm.ii.. [sulla differenza delle "segreterie particolari" rispetto agli incarichi professionali insiste la nota sentenza della Corte dei Conti, Sez. Giur. per il Lazio, 25 settembre 2000, n. 1545/2000, n.d.r.]).

Tuttavia, non può non rilevarsi in termini generali che la continuatività del rapporto, l’assenza di mezzi organizzati, e, soprattutto, la periodicità della retribuzione contrastano con l’idea che la collaborazione è "ad alta professionalità" e che l’incarico è conferito "per obiettivi determinati e con convenzioni a termine" (art. 110, ultimo comma del T.U.E.L.), onde - per il vero - l’attivazione di tali rapporti può prefigurare un’elusione delle procedure concorsuali (o comunque selettive: si veda l’art. 3, 3° comma del CCNL 14.9.2000 relativamente ai c.f.l.) previste per l’accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione, oggetto di vincolo costituzionale (art. 97, 3° comma Cost.).

Al riguardo, deve da ultimo essere ricordato il CCNL in data 14 settembre 2000 ("CCNL per il personale non dirigente del comparto Regioni ed Autonomie Locali successivo a quello dell’1.4.1999"), nel quale espressamente si dichiara, sotto il titolo "Flessibilità del rapporto di lavoro", che in relazione alla nuova disciplina delle forme flessibili di rapporto di lavoro introdotte da tale contratto (es. fornitura di lavoro temporaneo, contratto di formazione e lavoro, ecc.), "le parti sottolineano la particolare e significativa rilevanza di tali strumenti di gestione delle risorse umane che, nonostante il loro carattere di sperimentalità, offrono agli enti ampi margini di gestione diretta dei servizi, permettendo altresì il superamento del ricorso alle collaborazioni continuate e coordinate nell’espletamento delle attività istituzionali".

Alla luce di tale esplicito indirizzo si può ritenere pertanto che la principale ipotesi di contratto di collaborazione coordinata e continuativa attivabile è rappresentato dai collaboratori "assunti" con contratto a tempo determinato, laddove il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi lo preveda, negli uffici costituiti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della Giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, sempre che l’ente non sia dissestato o strutturalmente deficitario, e sempre che tale personale non sia assunto con contratto di lavoro subordinato, in quanto in tal caso si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali (art. 90 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267).

Viene altresì in rilievo la L. 150/2000 "Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni".

La legge in esame introduce norme finalizzate a disciplinare in modo organico la materia delle attività di informazione e di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, a tal fine anche coordinando istituti preesistenti (cfr. in specie gli artt. 11 e 12 del D.Lgs. 29/1993).

Il discrimine tra attività di informazione e attività di comunicazione (di per sé non definite) risulta dal dettato dell’art. 6, in base al quale le prime si realizzano attraverso il portavoce e l’ufficio stampa, le seconde attraverso gli URP e le strutture analoghe (sportelli cittadino, sportelli unici PA, sportelli polifunzionali, sportelli imprese).

Onde l’attività di informazione viene ad essere indirizzata ai rapporti di carattere politico-istituzionale con gli organi di informazione (art. 7, disciplinante la figura del portavoce) o tout court ai mezzi di informazione di massa (art. 9, in tema di uffici stampa), mentre l’attività di comunicazione risulta, viceversa, indirizzata ai cittadini (art. 8).

L’art. 6, 2° comma della legge dispone che ciascuna amministrazione definisca, nell’ambito del proprio ordinamento degli uffici e del personale e nei limiti delle risorse disponibili, le strutture e i servizi finalizzati alle attività di informazione e comunicazione e al loro coordinamento.

Tale circostanza, in una con la collocazione delle successive norme dettate, rispettivamente, in materia di portavoce, URP e uffici stampa (artt. 7-9) induce a ritenere che il legislatore abbia pertanto inteso prefigurare altrettanti uffici dell’ente (conformemente, ad esempio, all’ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), ai quali, peraltro, potrà essere preposto personale dipendente dell’amministrazione o anche estraneo (cfr. art. 7, 1° comma per il portavoce; art. 9, 2° comma per gli uffici stampa), conformemente – del resto – a quanto previsto, in linea generale, per le mansioni cd. di "alta professionalità" (art. 7, 6° comma D.Lgs. 29/1993).

In particolare, l’art. 8 prevede, entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge debbano essere ridefiniti i compiti e riorganizzati gli uffici per le relazioni con il pubblico (comma 2).

D’altra parte, l’uso del verbo "potere" agli artt. 7 e 9 dimostra che l’istituzione degli uffici stampa e del portavoce è rimessa a determinazione discrezionale dell’ente, mentre gli URP sono obbligatori per legge.

Infine, degno di nota è che, mentre per gli URP e gli uffici stampa si fa rinvio alla contrattazione collettiva (nazionale ?) per l’individuazione e la regolamentazione dei profili professionali (senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: art. 9, 5° comma), per il portavoce si prevede la determinazione (da parte dell’organo di vertice) di una indennità ad hoc nell’ambito di risorse appositamente iscritte a bilancio (art. 7, 2° comma).

Pur nel silenzio della legge, tale circostanza, in una con il rilievo che i compiti del portavoce vengono configurati come di diretta collaborazione – evidentemente su un piano fiduciario – con l’organo di vertice (art.7, comma 1), induce a ritenere che anche la nomina del portavoce costituisca un atto (monocratico) dell’organo medesimo.

L’art. 5 rinvia, poi, ad un regolamento (da emanarsi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge, termine ordinatorio tuttora non rispettato, n.d.r.) che dovrà individuare i titoli per l’accesso alle suddette attività di informazione e comunicazione (tale norma sembra pertanto valevole sia per il portavoce e gli uffici stampa, sia per gli uffici relazioni con il pubblico), fermo restando che gli uffici stampa debbono essere costituiti da personale iscritto all’albo nazionale dei giornalisti (art. 9, 2° comma).

Peraltro l’art. 6, 2° comma prevede che, in sede di prima applicazione della legge, vengano confermate le funzioni al personale che già le svolge (il quale potrà, altresì, beneficiare degli interventi formativi e di aggiornamento che dovranno essere previsti e disciplinati dal regolamento di cui all’art. 5).

In conclusione – ad una prima analisi – si ritiene che, per l’attuazione della legge in esame, l’ente debba:

in conformità all’art. 6, 2° comma della legge medesima, definire, nell’ambito del proprio ordinamento, le strutture e i servizi finalizzati alle attività di informazione (portavoce e ufficio stampa [uffici peraltro "non obbligatori"] e comunicazione (URP, sportello cittadino, sportello unico PA), riorganizzando in particolare l’URP (art. 8, 2° comma);

stabilire se – e in che misura – la relativa dotazione di personale debba essere costituita da dipendenti o da esterni (art. 7, 1° comma; art. 9, 2° comma); tale valutazione potrebbe, peraltro, dover essere rinviata (o soggetta a verifica) ad un momento successivo all’emanazione del regolamento ex art. 5, in quanto occorrerà verificare, in concreto, se ed in che termini il personale addetto potrà continuare a svolgere le relative mansioni;

nominare (con atto dell’organo di vertice, cioè sindaco o presidente della provincia) il portavoce e determinare la relativa indennità, nell’ambito di apposite risorse di bilancio (art. 7, 2° comma);

confermare, in sede di prima applicazione, nelle funzioni di cui sopra il personale che già le svolge (art. 6, 2° comma), fermo restando che all’ufficio stampa potranno essere addetti esclusivamente giornalisti iscritti all’albo (art. 9, 2° comma);

attuare "a regime" la legge con l’applicazione del regolamento quanto emanato (art. 5).

È appena il caso di precisare che, parimenti, è estranea alla problematica in esame la disciplina degli incarichi a contratto per la copertura di posti di (oltre che di responsabili di servizi o degli uffici e di qualifiche dirigenziali) di alta specializzazione (dentro e fuori la dotazione organica).

Trattasi in tali casi di rapporti di lavoro dipendente – sia pure a tempo determinato – (cfr. l’art. 110, 3° comma T.U.E.L., che fa riferimento ad un trattamento economico equivalente a quello previsto dai vigenti contratti collettivi nazionali e decentrati per il personale degli enti locali, sia pure integrabile da un’indennità ad personam), e comunque la relativa normativa risponde a tutt’altre finalità e trova tutt’altra sedes materiae (cioè, nell’ambito della disciplina della dirigenza: si veda altresì l’art. 19, 6° comma del d.Lgs. 29/1993 ss.mm.ii.).

In dottrina - relativamente alla materia degli incarichi di dirigenza - si rimanda, per tutti, al contributo di Miguidi, "Dirigenti a tempo determinato ed alte specializzazioni tra imparzialità e spoil system" in "Giust.it".

1.3. I riferimenti normativi per il conferimento di incarichi e le possibili regole dell’Ente (regole, parametri).

In definitiva, e per usare le parole di una ormai notissima sentenza di un giudice contabile (Corte dei Conti, Sez. Giur. per il Lazio, 25 settembre 2000, n. 1545/2000), la problematica oggetto del presente contributo è la liceità del ricorso alle prestazioni di terzi da parte di un ente pubblico in presenza di uffici con competenze specifiche nella organizzazione dell’ente medesimo, tenendo presente che, per ciò che concerne le pubbliche amministrazioni, è principio generale, unitariamente e pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, che l’attività delle amministrazioni stesse deve essere deve essere svolta dai propri organi o uffici, consentendosi il ricorso a soggetti esterni soltanto nei casi previsti dalla legge o in relazione ad eventi e situazioni straordinarie non fronteggiabili con le disponibilità tecnico-burocratiche esistenti.

In presenza di apparati istituzionalmente preordinati al soddisfacimento di determinate esigenze, deve, pertanto, ritenersi che l’amministrazione possa affidare la realizzazione di queste solo in circostanze particolari, la cui sussistenza deve essere comprovata con elementi certi e puntuali, tali da giustificare, nel caso concreto, la deroga alla regola generale prima indicata.

In particolare, i conferimenti di incarichi di consulenza a soggetti esterni possono essere attribuiti ove i problemi di pertinenza dell’amministrazione richiedano conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e conseguentemente implichino conoscenze specifiche che non si possono nella maniera più assoluta riscontrare nell’apparato amministrativo.

Sotto tale profilo, ha proseguito la giurisprudenza citata, l’incarico stesso:

- non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa ma la soluzione di specifiche problematiche;

- deve caratterizzarsi cioè per la specificità e temporaneità;

- deve dimostrarsi, altresì, l’impossibilità di adeguato assolvimento dell’incarico da parte delle strutture dell’ente per mancanza di personale idoneo;

- non deve rappresentare uno strumento per ampliare surrettiziamente compiti istituzionali e ruoli organici dell’ente al di fuori di quanto consentito dalla legge;

- il compenso connesso all’incarico deve essere proporzionato all’attività svolta e non corrisposto in maniera forfetaria;

- la delibera di conferimento deve essere adeguatamente motivata al fine di consentire l’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti.

L’organizzazione dell’amministrazione deve, comunque, caratterizzarsi secondo i principi di razionalizzazione, non duplicazione di funzioni e non sovrapposizione con funzioni di attività e gestione amministrativa; deve caratterizzarsi, altresì, per la migliore utilizzazione e flessibilità delle risorse umane nonché per la economicità, trasparenza ed efficacia dell’azione amministrativa.

Si tratta di principi e criteri enunciati in una serie ripetuta di disposizioni normative ed in particolare nell’art. 1, comma 1, nell’art. 6, comma 1 e nell’articolo 31 del decreto legislativo n. 29 del 1993, peraltro in coerenza con i principi costituzionali di cui agli articoli 97 e 81 della Costituzione.

Di qui, la conseguenza che ogni amministrazione pubblica deve caratterizzarsi per una struttura snella che impieghi anzitutto le risorse umane già esistenti all’interno dell’apparato e che, solo nella documentata e motivata assenza delle stesse, possa far ricorso a professionalità esterne, peraltro, da individuare in base a criteri predeterminati, certi e trasparenti.

A proposito degli incarichi ad estranei, conclude il giudice contabile, è necessario anche:

- che il conferimento debba contenere i criteri di scelta;

- che non sia generico o indeterminato al fine di evitare un evidente accrescimento delle competenze e degli organici dell’ente, il che presuppone la ricognizione e la certificazione dell’assenza effettiva nei ruoli organici delle specifiche professionalità richieste e tutto questo sia per quanto riguarda l’individuazione dei requisiti sia per ciò che concerne i criteri di conferimento.

A tali penetranti osservazioni della magistratura contabile può solo aggiungersi, per parte nostra, il rilievo che, essendo l’ente locale tenuto all’attuazione delle politiche di riduzione della spesa del personale, ai sensi dell’art. 91 del T.U.E.L. e dell’art. 39, commi 2-bis e seguenti della legge 27 dicembre 1997, n. 449, l’instaurazione di rapporti consulenziali al di fuori di ipotesi di stretta necessità può configurarsi, altresì, come elusione di norme di legge di carattere imperativo, comportando anche la stessa nullità del contratto di consulenza a norma dell’art. 1418 del codice civile.

Ad esempio, si è ritenuto che le norme che prevedono, nei diversi settori delle P.A., la nullità delle assunzioni disposte senza concorso - e, per quanto interessa, l’articolo 3, ultimo comma, del T.U. n. 3 del 1957 - precludono, a fortiori, la riconoscibilità, come rapporti di pubblico impiego, dei rapporti di carattere libero - professionale temporaneamente instaurati e via via rinnovati (Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione terza, sent. 135/2001).

1.4. Il dato dell’alta professionalità ed i parametri ad esso correlabili per il conferimento di incarichi professionali e di consulenza.

In conclusione, gli incaricati devono essere provvisti di alta professionalità, idoneità e competenza tale da poter essere utili nell’apparato nel quale vengono inseriti ed impegnati (art. 110 .T.U.E.L.).

Di qui il divieto:

a) di incarichi generici, in contrasto con il principio della determinatezza e ponendo surrettiziamente in essere un rapporto di lavoro avente ad oggetto una generica attività di supporto agli organi politici;

b) di incarichi dove manchi nei consulenti ogni competenza nel settore;

c) di incarichi dove manchi negli interessati qualsiasi competenza specifica;

d) di incarichi dove l’attività concreta dei consulenti coincida con l’attività istituzionale svolta da uno o più uffici amministrativi;

e) di incarichi aventi ad oggetto attività modeste (attività di invio di corrispondenza, raccolta di articoli di stampa, ecc.).

L’analisi delle fattispecie prese in considerazione nella già citata sentenza n. 1545/2000 pare al riguardo significativa; sono stati infatti censurati:

un incarico conferito a persona con esperienza esclusivamente nella gestione di campagne pubblicitarie, attività palesemente diversa dalla riorganizzazione organica e funzionale del corpo di Polizia Municipale;

un’attività consistita soprattutto nell’invio di depliant, lettere e volantini ai cittadini nonché nell’utilizzo di strumenti informativi quali stampa, spot radiofonici, inserzioni sui giornali, manifesti;

un incarico a persona priva dell’"alto grado di professionalità" richiesto dalla normativa per lo svolgimento dell’attività di consulenza e comunque privo della specifica professionalità prevista per il particolare compito assegnato;

un incarico consistente in una mera raccolta informatica di dati ed informazioni sui cantieri aperti e sullo stato di avanzamento dei lavori che gli uffici competenti già possedevano e che, comunque, qualsiasi dipendente comunale poteva effettuare;

un incarico che, nella sua prima parte è del tutto indeterminato ("elaborare studi e relazioni concernenti lo snellimento dei procedimenti in relazione alle materie di competenza dell’assessore") e per la seconda parte duplica funzioni istituzionali tipiche di apposite strutture dell’ente comunale;

un incarico non di tale complessità da giustificare il ricorso ad un consulente esterno, dal momento che consisteva nella realizzazione di semplici informative che qualunque giornalista in servizio presso l’ufficio stampa sarebbe stato in grado di effettuare;

una consulenza attinente a finalità istituzionali dell’ente, esistendo l’assessorato alle politiche dei servizi informativi e tecnologici, il quale ha tra le proprie deleghe quella di curare la realizzazione del sito internet di tutta l’attività svolta dall’amministrazione comunale;

una consulenza la cui finalità era quella di pubblicizzare e portare a conoscenza dei cittadini i programmi dell’assessorato, per cui bastava servirsi dell’ufficio stampa o dell’ufficio comunicazione ed immagine dell’ente;

una consulenza non volta alla soluzione di specifiche problematiche, ma limitantesi ad una generica ed inammissibile attività di supporto all’assessore;

un affidamento di compiti rientranti tra le finalità istituzionali dell’ente, consistenti in attività di rassegna stampa, stesura comunicati, dichiarazioni, partecipazione a trasmissioni radiofoniche e televisive, informazioni ai cittadini sulle attività del Dipartimento;

un incarico consistente in una mera attività amministrativa di competenza dell’ufficio, consistente nella predisposizione dei bandi di gara e le schede sintetiche dei vari partecipanti al bando per "advisor";

un incarico consistente in una mera attività di informazione ai cittadini;

un’attività di semplice informazione all’opinione pubblica sulle attività dell’assessorato (organizzazione di conferenze stampa, comunicati stampa, opuscolo informativo sui BOC, risposte a richieste via telefono, fax e lettera ai cittadini, redazione di un opuscolo) attività da cui non emerge l’alta professionalità della consulente nella specifica materia, tant'è che la stessa ammette di aver dovuto ricorrere al personale interno dell’ente;

un’attività di coordinamento delle campagne di comunicazione ai cittadini e di editing degli interventi a congressi, conferenze e pubblicazioni richieste dall’assessore;

un incarico ad avvocato per rispondere alle esigenze di supporto relative all’esplicazione del mandato dell’assessore;

un’attività svolta da consulente nominato quando le prime due fasi del progetto erano già concluse e sfornita da validi supporti probatori in quanto non comprovata da dichiarazioni utili ai fini fiscali;

un incarico nel quale il consulente si è limitato ad esprimere alcune considerazioni a seguito della lettura delle relazioni, già elaborate sul problema specifico, del "servizio autoparco dell’ente";

un’attività inerente la promozione della salute dei lavoratori, la nomina del responsabile del servizio prevenzione e protezione e dell’ufficio del medico competente nonché la sensibilizzazione del personale in ordine alla sicurezza sui luoghi di lavoro, trattandosi di precisi obblighi imposti al datore di lavoro dal decreto legislativo n. 626/1994;

un incarico di assicurare la piena operatività degli uffici e la riqualificazione del personale addetto, non essendo altro che l’esigenza propria di qualsiasi ufficio di funzionare al meglio, finalità tipica e comune a qualsiasi pubblica amministrazione;

un "lavoro di coinvolgimento-dialogo basato sulla credibilità delle proposte sociali e delle persone che si presentano al consulente a seguito di incontri con associazioni e singoli operatori";

una consulenza rispecchiante esclusivamente l’esigenza di avere come collaboratore una persona di fiducia anziché una professionista di provata esperienza e con competenza specifica nel settore;

un incarico consistente in una mera raccolta di articoli apparsi sui giornali;

un incarico avente ad oggetto funzioni tipiche dell’ente, e cioè la diffusione dei programmi di intervento dell’assessorato ed il miglioramento della conoscenza degli stessi da parte della cittadinanza;

un incarico ad avvocato "incomprensibile e indeterminato nel suo contenuto", in relazione al quale il consulente non è stato neppure in grado di stilare la relazione sull’attività svolta;

un’attività prettamente amministrativa in qualità di preposta alla segreteria dell’assessorato e precisamente: apertura della corrispondenza tenuta dell’agenda personale e della rubrica cartacea dell’assessore, creazione del protocollo della segreteria, creazione di un archivio cartaceo;

incarichi indeterminati e generici, il primo dei quali conferito quando il consulente non era neppure laureato;

un incarico che qualsiasi funzionario comunale, addetto al settore problematiche sociali, avrebbe potuto svolgere senza aggravare ulteriormente il bilancio comunale;

un incarico nel quale la consulente, piuttosto che fornire la soluzione a specifici problemi, si è limitata ad effettuare un monitoraggio delle varie iniziative in essere ed alla divulgazione e preparazione delle relazioni destinate ai cittadini e alla stampa sulle innovazioni introdotte dall’assessorato;

un incarico che, così come definito, potrebbe essere inteso o come attività surrogatoria dell’assistenza legale tipicamente di competenza dell’Avvocatura comunale oppure come una continuazione delle attività che la consulente svolgeva presso lo studio dell’assessore.

L’attività di consulenza affidata a estranei "deve necessariamente esprimersi con atti e pareri scritti, onde renderne conoscibili i risultati" (Corte dei conti, sez. giur. reg. Sicilia, 8 giugno 1995, n. 189, in "Riv. Corte conti", 1995, n. 4, II, 114).

I risultati, inoltre, debbono essere effettivamente utilizzabili e utilizzati dall’ente, non essendo giustificabile – per giurisprudenza consolidata – una spesa per l’acquisizione di progetti, studi o altre prestazioni professionali non collegate all’effettiva realizzazione di quanto elaborato, non avendo l’ente tra le proprie finalità la ricerca (pura o applicata) fine a se stessa.

È stata confermata, ad es., la condanna di una Giunta comunale per avere deliberato l’affidamento di progetti di opere pubbliche di molto eccedenti le capacità tecniche e finanziarie dell’ente, negandosi la valutabilità di un’utilità residuale di progetti concernenti lavori d’impossibile realizzazione (Corte dei conti, Sezione II centrale, sentenza n. 18, 10 gennaio 2001).

II. Il procedimento per il conferimento degli incarichi

2.1. La competenza dei dirigenti in ordine al conferimento di incarichi.

Il testo dell’articolo 56 della legge n. 142/1990, modificato dall’articolo 14 della legge n. 265/99, affidando ai dirigenti o responsabili di servizio la competenza ad adottare il provvedimento col quale l’ente stabilisce di avviare le procedure contrattuali, ha reso palese che il provvedimento a contrattare sia di competenza dirigenziale.

Il testo novellato dell’art. 56, tuttavia, non aveva eliminato del tutto le incertezze in merito al riparto delle competenze per l’affidamento degli incarichi ai professionisti.

Tuttavia, alla luce del combinato disposto degli articolo 48, commi 1 e 2 e 107, comma 2, del testo unico, gli spazi di incertezza interpretativa si restringono di molto, fino quasi ad eliminarsi.

Infatti il testo unico, nel prevedere che la giunta compia soltanto funzioni di governo e non di amministrazione, contribuisce a risolvere, sia pure indirettamente, la questione della competenza all’affidamento degli incarichi, ponendosi in linea con la dottrina più avanzata e la giurisprudenza più evoluta.

Se la giunta non è più competente funzioni di amministrazione attiva, è del tutto chiaro che essa non deve compiere più atti di gestione concreta, giacché questi sono di esclusiva competenza dei dirigenti.

La conseguenza di ciò è che neanche per via statutaria sarà più possibile per gli enti locali assegnare alla competenza della giunta competenze nelle quali v’è un ampio margine di discrezionalità, se detta discrezionalità non attenga a funzioni di governo (nella fattispecie esaminata dalla citata sentenza 1545/2000 parte degli incarichi censurati erano stati conferiti con delibere di giunta, parte con ordinanze sindacali ai sensi dell’art. 51, 7° comma della L. 142/90 sulla base di una "delibera quadro" di giunta).

Alla luce dell’art. 45 del D.Lgs. 80/1998, degli artt. 3 e 17 del D.Lgs. 29/1993 ss.mm.ii. e degli artt. 107 e 192 del T.U.E.L., la dottrina pertanto ha avuto modo di evidenziare che ben difficilmente può seguitarsi a sostenere una competenza della giunta ai fini dell’assegnazione degli incarichi ai professionisti (così Oliveri, "Ancora sull’affidamento degli incarichi ai professionisti - le novità introdotte dal Testo unico", in "Giust.it", n. 9-2000).

Questa fattispecie, infatti, non appare in alcun modo una "funzione di governo", pur essendo caratterizzata - quando non vi sia a monte della scelta del professionista una procedura di gara - da un’ampia discrezionalità.

Se l’opera di un professionista si rende necessaria per il conseguimento di un determinato obiettivo gestionale (dalla formazione del personale alla progettazione di un’opera pubblica, dalla costituzione di una società alla valutazione del rischio ai sensi del D.Lgs. 626/1994) è conseguenza che l’incarico sia affidato direttamente dal dirigente competente, che nel piano esecutivo di gestione deve avere ottenuto le risorse per poter concludere un contratto d’opera professionale rientrante tra i mezzi a lui necessari per conseguire i suoi risultati.

È certamente una forzatura, secondo tale dottrina, considerare atto di alta amministrazione la nomina di un professionista (così, invece, Iorio-Monea, "La competenza ad affidare incarichi professionali negli enti locali", in "Dirittoitalia.it", n. 1-2001) se la sua opera è funzionale al conseguimento di un obiettivo gestionale: l’individuazione del professionista è un puro e semplice atto di amministrazione e come tale non atto di governo, quindi non può essere adottato dalla giunta.

Se l’atto della giunta fosse configurato come direttiva, si rivelerebbe ancora illegittimo, in quanto l’atto di indirizzo non può e non deve esaurire il contenuto dell’atto o degli atti gestionali conseguenti, configurando una sorta di avocazione di fatto o comunque un’inammissibile ingerenza nella sfera di un altro soggetto, per altro con l’effetto surrettizio di scaricare la responsabilità sul dirigente.

Occorre altresì sottolineare - in linea con la precitata dottrina - che la gestione non consiste solo nell’impegno della spesa, che è unicamente il momento finale ed accessorio ad un’attività gestionale che sta a monte, consistente nella rilevazione della necessità di ricorrere all’opera di un professionista, nella ricerca nel mercato, nei contatti con alcuni soggetti, nella negoziazione formale o informale della prestazione e del compenso.

Resta aperta, invece, la questione degli incarichi ai legali, in quanto l’art. 6, comma 2 del testo unico dispone che lo statuto stabilisce i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente anche in giudizio; quindi questa disposizione demanda allo statuto la scelta se assegnare o meno la rappresentanza in giudizio, ferma restando la rappresentanza ex lege del capo dell’amministrazione.

Per parte sua, la giurisprudenza (T.A.R. Puglia, Bari, Sez. II, 23 marzo 2000, n. 1248) ha affermato i seguenti principi:

1) la competenza all’assegnazione degli incarichi a professionisti è sempre dei dirigenti, anche quando si tratta di incarichi fiduciari;

2) la normativa autonoma (statuti e regolamenti) degli enti locali non può modificare gli assetti delle competenze previsti dalla legge: per questi aspetti la norma locale è norma certamente subordinata alla legge che circoscrive dunque gli spazi dell’autonomia statutaria degli enti alla sola possibilità di esplicitare le modalità d’esercizio delle competenza, ma non può stabilire una diversa ripartizione delle stesse, laddove la legge lo ha fatto con chiarezza.

Non può che conclusivamente essere ricordata, a tali fini, la disposizione di cui all’art. 1, comma 1-ter, ultima parte della L. 14 gennaio 1994, n. 20 ss.mm.ii., in base al quale nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati, ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione.

2.2. Gli incarichi di progettazione: una disciplina particolare per procedimenti con ampia pubblicizzazione o con evidenza pubblica.

2.2.1. Profili generali.

Il titolo quarto del D.P.R. 554/99 tratta gli affidamenti degli incarichi di progettazione ed in genere dei servizi attinenti all’architettura ed all’ingegneria anche integrata, in attuazione sia dell’art.3, comma 1, lettera b) che dell’art. 17, commi 10, 11 e 12 della legge quadro.

L’argomento è di particolare importanza, in quanto sino all’entrata in vigore delle norme regolamentari l’assetto della materia non poteva dirsi completo: in precedenza, infatti, le modalità d’affidamento dei servizi d’ingegneria ed architettura trovavano completa disciplina nel decreto legislativo n. 157/95 solo per i contratti di valore superiore alla soglia di rilievo comunitario, mentre per gli appalti di valore inferiore a detta soglia l’attesa del regolamento comportava una sostanziale mancanza di criteri certi ed obiettivi per la scelta dei prestatori di servizi, di là dalla valutazione dei curriculum e di alcuni principi di larga massima.

Il titolo quarto è diviso in cinque capi.

Per quanto riguarda il primo capo, che detta disposizioni di carattere generale, assumono particolare importanza le norma sull’esclusione dalle gare e sui requisiti delle società d’ingegneria e delle società professionali.

Il secondo e terzo capo attengono all’aggiudicazione dei concorsi di idee e dei concorsi di progettazione, regolamento per ciascuna delle procedure i requisiti di partecipazione, il contenuto della prestazione e le regole di erogazione dei premi.

Il capo quarto (articoli 62, 63 e 64) regola gli affidamenti degli incarichi di valore inferiore all’equivalente in euro di 200.000 DSP, in attuazione del comma 1 dell’articolo 17 della legge quadro.

L’affidamento deve seguire le regole della gara, con obbligo in ogni caso d’adeguata divulgazione e con previsione di requisiti di qualificazione tra i quali non sono richiesti quelli economico-finanziari, per permettere ai più giovani di partecipare alle gare solo sulla base di requisiti tecnico organizzativi; è prevista la possibilità di selezionale preventivamente i soggetti da invitare alla gara, riducendo il numero altrimenti enorme dei partecipanti; la gara si deve svolgere nella forma della licitazione privata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

In ogni caso il criterio di aggiudicazione bilancia gli elementi di valutazione di tipo quantitativo (ribassi sui prezzi e riduzioni sui tempi di consegna) con quelli di tipo qualitativo (documentazione grafica, fotografica e descrittiva di un numero di progetti ritenuti dal concorrente rappresentativi della propria capacità professionale, e descrizione del modo in cui sarà svolto il servizio da aggiudicare) secondo un criterio che mutua molti elementi dal D.P.C.M. 116/97, ma che tiene conto delle questioni in proposito emerse in sede comunitaria.

La versione del regolamento approvata in via preliminare, ritenendo di adeguarsi all’impostazione della legge quadro che nulla aveva disposto in merito, aveva lasciato una terza fascia di incarichi (di valore inferiore ai 40.000 euro) in cui la scelta dei progettisti era totalmente lasciata alla discrezione fiduciaria delle amministrazioni; sennonché le commissioni parlamentari hanno espressamente richiesto che fossero dettate opportune regole al fine di assicurare un contenuto minimo di pubblicità sia alle scelte effettuate dalle amministrazioni aggiudicatrici, sia alle motivazioni degli incarichi professionali affidati.

La formulazione adottata dalla norma contiene quindi, nel rispetto della discrezionalità amministrativa che comunque la legge non ha voluto incedere nel merito, opportuna regola di trasparenza, anche per venire incontro ai rilievi espressi negli ultimi tempi dagli organi comunitari addirittura nei confronti della disposizione legislativa di riferimento.

Il capo quinto è relativo all’affidamento degli incarichi di importo pari o superiore al controvalore in euro di 200.000 DSP, soglia di rilievo comunitario, dove trovano disciplina – recependo gli opportuni suggerimenti del Consiglio di Stato – i requisiti di partecipazione e le specifiche procedure di gara, essendo noto che le modalità di aggiudicazione sono integralmente disciplina dal decreto legislativo 157/1995, con applicazione del predetto D.P.C.M. 116/97 in caso di utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

2.2.2. Gli incarichi di progettazione conferiti a pubblici dipendenti.

A) Nell’art. 17 della L. 109/94 non vi è riferimento alcuno all’affidamento delle prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, a dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici ovvero di quelle di cui esse intendano avvalersi (in argomento, il già citato atto di regolazione dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici in data 8 novembre 1999).

Questo mancato riferimento è coerente con la disciplina generale sul pubblico impiego, la quale con l’art. 58 del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportatevi dal decreto legislativo n. 80 del 31 marzo 1998, estende a tutti i dipendenti pubblici "la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 10 gennaio 1957"; disciplina implicante specificamente la preclusione all’esercizio, oltre che del commercio e dell’industria, di "alcuna professione", da intendersi nel senso di attività libero professionale.

E ciò in conseguenza della incompatibilità logica prima che giuridica (eccettuate peraltro alcune specifiche ipotesi relative ad ordinamenti settoriali con regime particolare e di cui al secondo periodo del comma 1 dell’art. 58 del decreto legislativo n. 29/1993) tra la professione come in precedenza intesa ed il rapporto di pubblico impiego, tradizionalmente richiedente una esclusività della prestazione lavorativa in favore dell’amministrazione di dipendenza, non esigibile da chi svolge anche una libera professione.

Né a conclusione diversa conduce la normativa sul "conferimento" degli incarichi ai pubblici dipendenti ed in particolare il secondo comma dello stesso indicato art. 58, secondo il quale "le pubbliche amministrazioni non possono conferire a dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative o che non siano espressamente autorizzati".

Pur ritenendosi, infatti, che la disgiunzione (o) finale, contenuta nella norma, consente di ipotizzare, in aggiunta a quelli specificamente previsti per legge, ulteriori incarichi conferibili al dipendente nel solo presupposto di una espressa loro autorizzazione da parte dell’amministrazione, non può non rilevarsi che a siffatta autorizzazione, tuttavia, potrà pervenirsi soltanto nel caso della saltuarietà ed occasionalità degli incarichi stessi. Ma la progettazione esterna, ai sensi dell’art. 17, comma 1 della legge quadro, può essere commessa, per quanto detto in precedenza, soltanto a soggetti che esercitano professionalmente la relativa attività e che non possono quindi identificarsi in generale, tranne espresse eccezioni normative, con coloro che hanno la qualità di pubblici dipendenti.

Sennonché (prosegue l’Autorità) – se si può fare riferimento alla disciplina sul pubblico impiego per ritrovare la conferma della preclusione al conferimento di incarichi professionali a dipendenti pubblici – non si può prescindere dalla considerazione di tutta la normativa in essa contenuta per completare il quadro delle regole relative alle attività consentite ai dipendenti stessi.

In altri termini, non sarebbe coerente attestarsi in una posizione che consideri le norme sui lavori pubblici come disciplina speciale che escluda l’applicazione delle norme generali che sono, appunto, quelle dettate in materia di pubblico impiego.

B) E queste norme generali hanno posto una distinzione tra dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo pieno e dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale e con prestazione lavorativa non inferiore al 50 per cento di quella relativa la tempo pieno.

Per i dipendenti non a tempo pieno vale, senza possibilità di deroghe, il divieto di assegnazione di incarichi del tipo di quelli in esame da parte delle pubbliche amministrazioni, quali previsti per i liberi professionisti, perché essi non possono svolgere alcuna "professione".

Per i dipendenti non a tempo pieno la normativa si è così evoluta.

Con la legge 29 dicembre 1988, n. 554 (art. 7) è stata estesa al pubblico impiego la possibilità, consentita in precedenza per il solo lavoro di diritto privato, di configurare un rapporto implicante un orario di servizio inferiore a quello ordinario, facendosi rinvio ad apposita regolamentazione attuativa, per la specifica, relativa disciplina.

Con d.P.C.M. 17 marzo 1989, n. 117 è stato stabilito poi che, ferma restando anche per tale tipo di rapporto di lavoro l’applicazione della normativa concernente quello a tempo pieno, fosse consentito "al personale interessato e cioè con rapporto a tempo definito e previa motivata autorizzazione dell’amministrazione o ente di appartenenza l’esercizio di altre prestazioni, che non arrecassero pregiudizio alle esigenze di servizio e non fossero incompatibili con le attività di istituto della stessa amministrazione o ente".

Successivamente, con l’art. 1, comma 56 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (collegato alla finanziaria per il 1997), è stato ulteriormente disposto che, per il dipendente delle pubbliche amministrazioni con rapporto a tempo parziale e con prestazione non superiore al 50 per cento di quella ordinaria, non si applicavano le norme di cui all’art. 58 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, il quale, nel regolare le incompatibilità relative ai dipendenti pubblici, continuava a precludere - anche per quelli a tempo parziale - il contemporaneo esercizio dell’attività libero professionale.

Disposizione che veniva, poi, ribadita e meglio specificata con il comma 56 bis aggiunto al detto art. 1 della legge 662/96 indicata e come introdotto dall’art. 6 del decreto legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito con legge 28 maggio 1997, n. 140 che dispone esplicitamente l’abrogazione, per i dipendenti a tempo parziale in esame, delle norme che vietavano l’iscrizione ad albi e l’esercizio di attività libero professionali, con la preclusione, tuttavia, per i dipendenti iscritti a tali albi e che svolgevano detta attività libero professionale, del "conferimento" di incarichi da parte delle "amministrazioni pubbliche".

Divieto, quest’ultimo, palesemente inteso ad ovviare ai pericoli di possibili condizionamenti e favoritismi che potevano, altrimenti, configurarsi in relazione alla eventualità che l’amministrazione pubblica conferisse (e cioè concedesse discrezionalmente) incarichi professionali non d’ufficio a soggetti che, sia pure con orario di lavoro limitato, esano contemporaneamente suoi dipendenti.

Tale divieto, peraltro, è stato ritenuto e deve tuttora ritenersi non operante (ed in tali sensi concludeva anche la circolare della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica, 18 luglio 1997, n. 6/1997) nel caso in cui l’attribuzione dell’incarico professionale consegua, non già ad una scelta fiduciaria dell’amministrazione, bensì ad un meccanismo selettivo conseguente ad un procedimento di tipo concorsuale per il quale non hanno ragione di essere le preoccupazioni intese ad evitare i richiamati, possibili condizionamenti o favoritismi e per cui, quindi, non si poteva parlare di divieto di "conferimento" di incarico.

In tale contesto l’art. 9, comma 30 della legge 18 novembre 1998, n. 415 ha aggiunto i commi 2 ter ("i pubblici dipendenti che abbiano un rapporto di lavoro a tempo parziale non possono espletare, nell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza, incarichi professionali per conto di pubbliche amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni, se non conseguenti ai rapporti di impiego") e 2 quater ("è vietato l’affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, indagine e attività di supporto a mezzo di contratti a tempo determinato od altre procedure diverse da quelle previste dalla presente legge") all’art. 18 della legge quadro.

Da queste disposizioni si evince l’evidente intento del legislatore di introdurre ulteriori divieti per tutelare, innanzitutto, l’esigenza di assicurare e rendere visibile la correttezza e la trasparenza dell’attività amministrativa, esigenza che poteva risultare compromessa nell’eventualità che un incarico professionale esterno dovesse svolgersi nell’ambito territoriale dell’ufficio di appartenenza del professionista pubblico dipendente.

Sicché, si riteneva di dover vietare al pubblico dipendente l’espletamento, in tale ambito territoriale, di ogni incarico avente natura libero professionale, sia se affidato dalla propria amministrazione di appartenenza, sia se affidato da altre amministrazioni pubbliche; con la precisazione, tuttavia, che allo stesso restava comunque consentito (il che, peraltro, era già implicito nel sistema) l’espletamento delle attività corrispondenti a quelle proprie delle professioni, se riferite al rapporto di impiego e quindi prestate come dovere di ufficio all’interno dello svolgimento del rapporto medesimo.

Si riteneva, poi, di dover esplicitamente intervenire per evitare ogni possibilità di elusione delle prescrizioni come in precedenza definite; per cui veniva formulato un divieto (comma 2 quater), per così dire, di chiusura del sistema; divieto implicante, sia la preclusione all’affidamento degli incarichi di progettazione (nonché direzione lavori, collaudo e qualunque attività di supporto) ricorrendo a forme di contratto di lavoro a tempo determinato (che è diverso da quella a tempo definito) sia utilizzando modalità e procedure di affidamento diverse da quelle esplicitamente previste dalla legge quadro.

Va rilevato che l’unica attività affidabile con contratto a tempo determinato è quella del responsabile unico del procedimento.

C) Scaturisce, da quanto esposto, che al dipendente a tempo definito e con orario di lavoro pari o inferiore al 50 per cento del normale – in quanto ritenuto anche libero professionista – possono essere sicuramente affidati, con i divieti peraltro di cui alle limitazioni territoriali indicate, incarichi professionali esterni, per gli importi che implicano il ricorso alle procedure concorsuali ad evidenza pubblica, come in precedenza definite e con diritto al corrispettivo.

Per gli incarichi di progettazione il cui importo stimato è inferiore ai 40.000 euro e per i quali le amministrazioni aggiudicatrici possono procedere ad una scelta "di loro fiducia" non è, invece, consentito l’affidamento a dipendenti a tempo definito, ostando a tale possibilità il perdurante (e non abrogato) divieto al "conferimento" di incarichi di cui al menzionato art. 1, comma 56 bis, della legge 662/1996.

Ciò in quanto le amministrazioni aggiudicatrici procedono, in tal caso, ad una scelta "di loro fiducia", per la quale non ricorre la ratio della deroga prima detta al generale divieto, e cioè che sarebbe improprio escludere a priori una categoria di professionisti come partecipanti a gara, in quanto incoerente con il principio della concorrenza. Anzi, emerge nel caso di scelta di "fiducia" una opposta situazione di possibili violazioni di questi principi per esservi una potenziale posizione di privilegio nell’accesso a questi incarichi.

Né a diversa conclusione interpretativa, in relazione a tale ultima ipotesi, può pervenirsi sulla base di una ritenuta specificità ed esaustività della normativa contenuta negli artt. 17 e 18 della legge quadro in materia di affidamento degli incarichi professionali; ovvero considerando che, anche per il conferimento degli incarichi di fiducia, l’amministrazione pubblica è pur sempre tenuta a motivare la scelta nel rispetto anche dei principi di logicità e parità di trattamento di cui all’art. 97 della Costituzione.

Quanto alla prima considerazione, non sembra, infatti, pur valutando la specificità della normativa in esame, che dalla previsione dei due divieti, come introdotti dall’art. 18, comma 2 ter indicato, sia conseguita una implicita abrogazione del più ampio divieto (al "conferimento" di incarichi da pubbliche amministrazioni) enunciato nella normativa generale e concernente il rapporto di lavoro a tempo definito.

Quanto, poi, alla seconda osservazione, va tenuto presente che l’obbligo di motivazione nel rispetto, anche nel caso delle nomine fiduciarie, dei principi costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento, non consente di ritenere che la loro osservanza dia luogo ad una procedura di tipo selettivo e concorsuale, al cui sussistere soltanto può configurarsi la possibilità per i dipendenti a tempo definito di accedere all’affidamento di incarichi pubblici come definiti al comma 1 dell’art. 17.

Soltanto se una tale procedura sia adottata, per scelta dell’amministrazione, anche gli incarichi di progettazione con importo inferiore a 40.000 euro potranno essere conferiti ai tecnici a tempo definito.

Ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo definito è, poi, consentito, in ogni caso, ed a prescindere da ogni limitazione territoriale, espletare attività di progettazione "interna" nell’interesse dell’amministrazione di appartenenza ed in relazione alle prestazioni inerenti al rapporto di impiego, oltre, ovviamente e senza bisogno di autorizzazione quale prevista per il dipendente a tempo pieno, di ogni altra attività libero professionale in ambito e a favore di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazione di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni.

D) Per le prestazioni relative alla direzione dei lavori la disciplina normativa è nei medesimi termini illustrati in ordine alla progettazione; si aggiungono le disposizioni integrative contenute nell’art. 27 della legge quadro, il quale prevede, anzitutto, l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di istituire un ufficio di direzione dei lavori e richiama, poi, le condizioni stabilite per le progettazioni, al cui verificarsi è consentito l’affidamento ad ufficio o soggetto diverso.

In questa norma relativa alla direzione dei lavori, però, la scelta dell’amministrazione deve seguire "nell’ordine", cioè occorre verificare la possibilità di utilizzazione di questi soggetti seguendo la elencazione che ne è fatta nella norma citata.

In ordine alla direzione dei lavori, l’ufficio che le amministrazioni aggiudicatrici devono istituire è costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti e quindi può essere composto anche dal solo direttore dei lavori; nel qual caso mancherà la organizzazione di persone mentre rimane comunque nella competenza "propria" dell’unico titolare l’esercizio dei poteri e l’adempimento dei doveri allo stesso assegnati dalle norme vigenti.

Possono confermarsi anche per gli incarichi di direzione i principi indicati in materia di progettazione.

L’elencazione dei soggetti cui possono essere richieste dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatari o realizzatori di lavori pubblici le prestazioni relative, nonché le connesse attività di supporto, ha carattere tassativo. Inoltre gli incarichi di supporto tecnico-amministrativo si riferiscono anche in questo caso ai servizi in materia di architettura, di ingegneria e altri servizi tecnici di cui alla direttiva 92/50/CEE.

Il ricorso alla direzione di lavori "esterna", come la progettazione, è previsto solo quando ricorrano le ipotesi tassativamente indicate che si concretano in situazioni di fatto da accertare senza ambiti discrezionalità amministrativa e da certificare dal responsabile del procedimento.

La direzione di lavori che comporta esercizio di poteri amministrativi, quando affidata a uffici delle amministrazioni pubbliche e per esse ai tecnici addetti, costituisce attività professionale qualificata; è svolta dal tecnico in ragione del suo ufficio pubblico e concreta una modalità di svolgimento del rapporto di pubblico impiego, per cui la sua retribuzione è determinata dalle norme di legge e dalla contrattazione collettiva.

L’affidamento della direzione dei lavori "esterna" non comporta scelta, quando gli incaricati vengono individuati in base alla regola di far coincidere il direttore dei lavori con il progettista esterno, scelto con l’osservanza delle norme che si sono in precedenza precisate.

L’ultima ipotesi relativa all’affidamento "esterno" della direzione dei lavori da considerarsi residuale è attuata con le "procedure" previste nella normativa nazionale di recepimento delle disposizioni comunitarie in materia e quindi non in via fiduciaria, coerentemente con le regole della concorrenza e della trasparenza.

Per quanto concerne, infine, gli incarichi ai pubblici dipendenti a tempo pieno o parziale, valgono le stesse considerazioni svolte per la progettazione.

Per quanto riguarda le operazioni di collaudo (art. 28 della legge quadro) è previsto espressamente che è prioritaria la scelta da parte delle amministrazioni aggiudicatrici del collaudatore nell’ambito delle proprie strutture.

La deroga a questa regola è prevista nel solo caso di carenza di organico accertata e certificata dal responsabile del procedimento.

Le modalità di scelta del collaudatore "esterno" sono stabilite dal regolamento previsto dall’art. 3 della legge quadro.

Anche il regime dei compensi del collaudo è affidato al regolamento, salve restando le espresse disposizioni contenute nell’art. 18, comma 1 e 2 quater della legge quadro.

2.2.3. In particolare, gli incarichi di progettazione "sopra soglia".

Sulla base del regolamento di attuazione della legge Merloni, trattasi di appalto di servizi affidato mediante licitazione privata (procedura ristretta) ai sensi dell’art. 6 c. 1 lett. b. del D. Lgs. 157/1995 e succ. mod., art. 17, 10° comma L. 109/1994 ss.mm.ii, arttt. 65 ss. D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii...

Con riferimento all’art. 67 del D.P.R. 554/1999, dovranno essere invitati a presentare offerta un determinato numero di soggetti in possesso dei requisiti minimi previsti dal bando di gara.

Qualora il numero dei soggetti in possesso dei requisiti minimi previsti risulti inferiore a cinque, la stazione appaltante procede a nuova gara, modificando le relative condizioni.

Se il numero dei soggetti in possesso dei requisiti minimi previsti risulti superiore al numero fissato nel bando, la scelta dei soggetti da invitare a presentare offerta viene effettuata per una metà sulla base di una graduatoria e per i restanti tramite sorteggio pubblico.

La procedura di scelta degli offerenti avviene in seduta pubblica, limitatamente alla fase di verifica della documentazione amministrativa ed al sorteggio di cui all’art. 67, 4° comma D.P.R. 554/1999, e in seduta riservata ai fini dell'attribuzione dei punteggi per la graduatoria.

Tale graduatoria viene compilata attibuendo ad ogni candidato un punteggio determinato in relazione ai criteri di cui all’art. 66 e all’allegato F del D.P.R. n. 554/1999 ss.mm.ii..

I concorrenti hanno facoltà di presentare offerta ai sensi dell'art. 11 del cit. D.Lgs. 157/1995.

Nel caso di raggruppamenti temporanei di cui all’art. 17, comma 1, lettera g) della L. 109/1994 e s.m.i. i requisiti finanziari e tecnici di cui al bando devono essere posseduti in misura del 40% dal capogruppo e la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dal o dai mandanti. Il requisito relativo all’eventuale possesso del certificato di qualità aziendale e il requisito relativo all’eventuale presenza di almeno un professionista che abbia ottenuto l’abilitazione da non più di cinque anni, deve essere posseduto almeno dalla mandataria.

Ai sensi dell’art. 23 del D. Lgs. 157/1995, l’affidamento della progettazione non è compatibile con l’aggiudicazione a favore dello stesso affidatario degli appalti pubblici relativi ai lavori e ai servizi progettati.

E’ fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla gara in più di un’associazione temporanea o consorzio ovvero di partecipare alla gara in forma individuale qualora partecipino alla gara medesima in associazione o consorzio.

Si applica altresì l’art. 51 del citato D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii. e il comma 9 dell’art. 17 della L. 109/1994 ss.mm.ii..

Tali norme prevedono rispettivamente:

è fatto divieto ai concorrenti di partecipare alla medesima gara per l’affidamento di un appalto di servizi in più di un’associazione temporanea ovvero di partecipare singolarmente e quali componenti di una associazione temporanea;

il medesimo divieto sussiste per i liberi professionisti qualora partecipi alla stessa gara, sotto qualsiasi forma, una società di professionisti o una società di ingegneria delle quali il professionista è amministratore, socio, dipendente o collaboratore coordinato e continuativo;

la violazione di tali divieti comporta l’esclusione dalla gara di entrambi i concorrenti.

Alla gara possono partecipare:
a. liberi professionisti singoli o associati nelle forme di cui alla L. 1815/1939 e s.m.i iscritti agli Albi Professionali secondo l’ordinamento dello Stato di appartenenza;
b. società di professionisti ex art. 17 della L. 109/1994 e s.m.i.;
c. società di ingegneria ex art. 17 della L. 109/1994 e s.m.i.;
d. professionisti singoli o associati in qualsiasi altra forma (associazione, società di ingegneria, raggruppamenti, GEIE, ecc.) dei Paesi dell’UE abilitati a partecipare a gare di progettazione.

I requisiti d’ordine generale, nonché di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativa che il candidato deve possedere sono i seguenti:

  1. essere esente dalle cause di esclusione dalla partecipazione alle gare di appalto ex art. 12 del D. Lgs. 157/1995, come sostituito dal D. Lgs. 65/2000, ai sensi dell’artt. 52 del D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii.;
  2. in caso di società di ingegneria, essere in possesso dei requisiti di cui all’ art. 53 D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii.;
  3. in caso di società professionali, essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 54 D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii.;
  4. non incorrere in alcuno dei divieti di cui all’art. 51 D.P.R. 554/99 ss.mm.ii.; comunque, non trovarsi in rapporti di controllo determinati in base ai criteri di cui all’art. 2359 del codice civile con altre imprese concorrenti;
  5. ai sensi dell’art. 17 della L. 68/1999, di essere in regola con le norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili (tale dichiarazione deve essere corredata da apposita certificazione rilasciata dagli uffici competenti dalla quale risulti l’ottemperanza alle norme della legge) ovvero di non essere tenuto all’osservanza delle stesse;
inoltre, ai sensi dell’art. 66 del D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii.:
  1. avere riportato un fatturato globale per servizi di progettazione di cui all'art. 50 del D.P.R. 554/1999, espletati negli ultimi cinque esercizi antecedenti la pubblicazione del bando, per un importo almeno pari a tre volte l’importo a base di gara;
  2. avere espletato negli ultimi dieci anni servizi di progettazione di cui all'articolo 50 del D.P.R. 554/1999, relativi a lavori appartenenti alla classe e categoria cui si riferiscono i servizi da affidare, per un importo globale per ogni classe e categoria almeno pari a due volte l'importo stimato dei lavori da progettare;
h) avere svolto negli ultimi dieci anni due servizi di cui all'art. 50 del D.P.R. 554/1999, relativi ai lavori, appartenenti ad ognuna delle classi e categorie dei lavori cui si riferiscono i servizi da affidare, per un importo totale almeno pari a 0,40 volte l'importo stimato dei lavori da progettare;
i) avere utilizzato negli ultimi tre anni un numero medio di personale tecnico non inferiore a 2 volte le unità stimate nel bando per lo svolgimento dell’incarico(comprendenti i soci attivi, i dipendenti e i consulenti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua);
  1. (eventuale) essere in possesso del certificato di qualità aziendale;
k) disporre, comunque, delle professionalità in grado di far fronte alla complessità del progetto in questione, comprovando la dichiarazione del responsabile con i curricula dei soggetti interessati, che evidenzino, in particolare, l’eventuale presenza di almeno un professionista che abbia ottenuto l’abilitazione da non più di cinque anni (per i RTI tale presenza è obbligatoria ai sensi dell’art. 51, ultimo comma D.P.R. 554/99); tale dichiarazione dovrà contenere i dati anagrafici e fiscali, le qualifiche, i titoli di studio e la data di iscrizione agli albi professionali del singolo professionista o dei componenti l’associazione o il raggruppamento, i quali anch’essi dovranno sottoscrivere, per accettazione, la dichiarazione stessa. Per le società di ingegneria o di professionisti, la dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante, dovrà riportare l’indicazione dei dati suindicati relativamente ai progettisti designati; tale dichiarazione, inoltre, dovrà indicare il numero dei dipendenti e dei soci (organigramma) e dovrà essere corredata eventualmente da copia autentica dell’atto costitutivo.

Ai sensi dell’art. 70 D.P.R. 554/1999, ss.mm.ii., l’Amministrazione potrà riservarsi di richiedere agli offerenti di comprovare, entro dieci giorni dalla data della richiesta medesima, il possesso dei requisiti di cui ai punti sopra indicati da f) a j).

Se tale prova non verrà fornita si procederà all'esclusione del concorrente dalla gara, alla escussione della cauzione provvisoria e agli ulteriori provvedimenti di cui all’art. 10, comma 1-quater L. 109/1994 s.m.i., in quanto applicabile, e del D.P.R. n. 445/2000.

In particolare, tale prova dovrà essere fornita mediante la presentazione della seguente documentazione:

copia dei bilanci, ovvero altra idonea documentazione per i soggetti non tenuti alla redazione del bilancio; modelli riepilogativi attestanti i versamenti effettuati all’INPS, all’INAIL, ovvero ogni altra documentazione idonea a comprovare il personale tecnico impiegato nel triennio (estratti libri matricola, copia contratti collaborazione, ecc.);

certificazione di regolare esecuzione dei servizi effettuati, come sopra indicati dal concorrente, rilasciata dai rispettivi committenti pubblici o privati;

certificato di qualità aziendale e documentazione inerente (manuali e piani di qualità, ecc.);

ogni altra documentazione che risulti idonea.

La documentazione stessa potrà essere corredata da una tavola di riepilogo che evidenzi - attraverso opportuni richiami ai documenti presentati - la sussistenza ed il livello dei requisiti in questione.

Per le imprese stabilite in Stati aderenti all’Unione europea l’esistenza dei requisiti prescritti per la partecipazione alla gara è accertata in base alla documentazione prodotta secondo le normative vigenti nei rispettivi paesi.

Dovrà essere adottato il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 23 lett. b) del D. Lgs. 157/1995 e s.m.i. e con applicazione del D.P.C.M. 116/1997, determinato con riferimento agli elementi di valutazione indicati nel bando

Il criterio di valutazione delle offerte anomale è quello di cui all’art. 64, comma 6 del DPR 554/1999 ss.mm.ii., richiamato dall’art. 70, 2° comma dello stesso regolamento: tale norma prevede che si provvede alla verifica di congruità dell’offerta economicamente più vantaggiosa qualora i punti relativi al prezzo e la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione sono pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara.

L’esito negativo della verifica circa le compatibilità del ribasso offerto rispetto alla qualità delle prestazioni offerte comporta l’esclusione dell’offerta.

Ai sensi dell’art. 63 del D.P.R. 554/1999, come richiamato dall’art. 67 dello stesso regolamento, è richiesta, a far data dall'approvazione del progetto, una polizza di responsabilità civile professionale per i rischi derivanti dallo svolgimento delle attività di propria competenza, per tutta la durata dei lavori e sino alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio ex art. 30 c. 5 della L. 109/1994 e s.m.i. con massimale non inferiore al 20% dell'importo dei lavori progettati.

La mancata presentazione da parte dei progettisti della polizza di garanzia esonera la stazione appaltante dal pagamento della parcella professionale.

Al riguardo si applica la disciplina di cui all’art. 105 del D.P.R. 554/1999 ss.mm.ii..

2.3. Il conferimento di incarichi a società: possibilità, criticità, forme.

L’ordinamento ha stabilito il divieto di esercizio in forma sociale di attività professionali riservate, divieto funzionale all’osservanza del canone inderogabile della personalità dell’esercizio della professione intellettuale protetta, con conseguente nullità del singolo contratto che abbia ad oggetto il compimento di opere intellettuali riservate a detti professionisti (si veda Cap. III).

La giurisprudenza aveva peraltro già da tempo operato alcune "aperture" rispetto a tale divieto.

La Cassazione, già con sentenza 30 gennaio 1985, n. 566, pose in luce che le società delle quali, a norma dell’art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815 era vietata la costituzione, erano soltanto quelle la cui attività corrispondeva alle prestazioni che possono essere fornite individualmente o congiuntamente da uno o più esercenti le professioni intellettuali per le quali è richiesta l’iscrizione in appositi albi o elenchi sulla base di titoli di abilitazione o di altri requisiti legali, di regola accertati da ordini, collegi od associazioni professionali sotto la vigilanza dello Stato (art. 2229 c.c.), con la conseguenza che devono ritenersi invece non comprese nel detto divieto le attività ausiliarie d’informazione, consulenza ed assistenza, le quali per natura, caratteristiche e finalità non si risolvono nell’esercizio delle sopraindicate professioni intellettuali, risultando un prodotto (o una nuova utilità) della cosiddetta impresa di servizio.

Nel solco di tal principio, riaffermato con sentenza 29 luglio 1986, n. 4870, si è posto in evidenza che le cosiddette società di "engineering" – nei cui confronti non opera il divieto di esercizio societario di attività professionali sancito dall’art. 2 della legge n. 1815 del 1939 – offrono un prodotto diverso e più complesso dell’opus fornito dai singoli professionisti, quali consulenza commerciale, cessione di tecnologia, assistenza necessaria all’organizzazione di iniziative imprenditoriali, vale a dire prestazioni di servizi trascendenti l’oggetto delle prestazioni protette, che per contro sono esplicate con riguardo ad attività caratterizzate da intuitus personae e da responsabilità individuale del professionista (Cass., 21 marzo 1989, n. 1405; Cass. 7 gennaio 1993, n. 79; 13 luglio 1993, n. 7738).

Sempre in tale quadro si è affermato che il divieto di costituzione di società di capitali aventi ad oggetto l’espletamento di professioni intellettuali protette, quale l’attività di progettazione della costruzione di opere civili di competenza degli ingegneri (artt. 1-2 legge n. 1815 del 1939), sussiste qualora l’attività oggetto del contratto tra il committente e la società tra i detti professionisti consiste, secondo il motivato accertamento del giudice di merito, in un’opera di progettazione d’ingegneria civile, interamente rientrante nell’attività professionale dell’ingegnere e dell’architetto e non in un’attività preparatoria e interdisciplinare rispetto all’indicata progettazione (attività di c.d. "consulting engineering": Cass., 10 giugno 1994, n. 5648).

Si è altresì posto in luce che le disposizioni degli artt. 13 legge 2 maggio 1976, n. 183, 1 D.L. 30 gennaio 1979, n. (conv. con modificazioni nella legge 31 marzo 1979, n. 92), 11 legge 12 febbrio 1981, n. 17, che consentono la costituzione di società per azioni aventi ad oggetto attività di progettazione d’impianti industriali esercitata in forma industriale mediante una complessa attività tecnica ed amministrativa, ovvero attività di studi e progettazione che richiedono speciali competenze tecniche e scientifiche, hanno parzialmente abrogato il divieto contenuto nell’art. 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815, ma non anche le disposizioni inderogabili in materia di professioni intellettuali che sanciscono la responsabilità personale dei professionisti per i singoli atti che la legge e i regolamenti professionali riservano loro in via esclusiva e che essi debbono, quindi, compiere personalmente o anche a mezzo di ausiliari da loro diretti (Cass., 26 gennaio 1996, n. 590; v. anche Cass., Sez. un., 27 settembre 1997, n. 9500).

La giurisprudenza (Cass., Sez. I, 2 ottobre 1999, n. 10937) ha quindi concluso che dall’orientamento giurisprudenziale richiamato – che, al di là di differenza riconducibili alla diversità delle fattispecie concrete esaminate, può definirsi ormai costante – sono desumibili (per quanto concerne le società d’ingegneria che qui interessano) i seguenti principi:

a) resta attuale i divieto di esercizio in forma sociale di attività professionali riservate alla competenza dell’ingegnere e dell’architetto, divieto funzionale all’osservanza del canone inderogabile della personalità dell’esercizio della professione intellettuale protetta, con conseguente nullità del singolo contratto che abbia ad oggetto il compimento di opere intellettuali riservate a detti professionisti;

b) il divieto di esercizio in forma anonima dell’attività ingegneristica è destinato a cadere (e sono dunque legittimi la società di progettazione e i contratti dalla medesima posti in essere) quando l’apporto intellettuale dell’ingegnere costituisca uno soltanto dei vari fattori, perché la società è stata costituita per offrire un prodotto diverso e più complesso rispetto all’opus fornito dai singoli professionisti, qual è la prestazione di servizi che trascendono l’oggetto delle prestazioni protette;

c) il divieto dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939 è stato parzialmente abrogato per incompatibilità con leggi sopravvenute, legittimanti le società per azioni aventi ad oggetto attività di progettazione di "impianti industriali", quando questa esiga speciali competenze tecniche e scientifiche e sia esercitata mediante una complessa organizzazione, puntualizzandosi, peraltro, che la nuova normativa non ha comportato un nuovo regolamento dell’intera materia, ma una abrogazione implicita per incompatibilità, caratterizzata dalla specificità e settorialità determinante i limiti di applicazione delle norme recenti, quanto ai presupposti ed alle condizioni di applicabilità (così, in particolare, Cass., 10 giugno 1994, n. 5648, in motivazione).

Più di recente, è stato ritenuto che il divieto di costituire società aventi ad oggetto la prestazione di attività professionale protetta (come la professione sanitari) non riguarda le società di mezzi operanti nell’ambito della professione sanitaria, e, in particolare, non si applica nel caso in cui intervenga un contratto tra una società ed un professionista per effetto del quale la società si obbliga a fornire al professionista tutti i beni strumentali ed i servizi accessori che consentono, facilitano (ma non esauriscono) l’attività professionale, che resta personalmente prestata dal professionista, e, dall’altro lato, quest’ultimo si impegna a pagare alla società un corrispettivo in misura fissa ovvero in proporzione dei suoi proventi professionali, anche se a riscuoterli materialmente provveda, su incarico del professionista, la società stessa la quale poi, al momento di riversarli, trattenga quanto ad essa spettante (Cass., Sez. I, 14 febbraio 2001, n. 207).

Va peraltro ricordato - come noto - che l’art. 24 della legge 7 agosto 1997, n. 266 ha abrogato il citato art. 2 della L. 1815/39.

Anticipando una disciplina generale della materia dell’esercizio delle professioni in forma societaria, che sembra ancora piuttosto lontana da venire, il D.P.R. 554/99 ha fissato, limitatamente ai fini dell’affidamento degli appalti di servizi disciplinati nello stesso regolamento, i requisiti delle società di ingegneria e delle società professionali.

Significativa la previsione di una figura di direttore tecnico che controfirma gli elaborati tecnici oggetto dell’affidamento, assumendone la responsabilità solidale con la società nei confronti della stazione appaltante (art. 53).

In conclusione, dopo l’abolizione del divieto contenuto nella legge 1815/39, le società tra professionisti, nelle varie tipologie, si stanno affermando, anche dal punto di vista legislativo, attraverso strade di settore.

Si sono istituite – con la Merloni ter – le società di persone per i professionisti tecnici, accanto al riconoscimento "definitivo" per le società di ingegneria che erano state "annunciate" dalla legge 109/94.

Sono altresì state disciplinate le società tra avvocati grazie al recepimento della direttiva europea 98/5: con il decreto legislativo n. 96/2001 viene introdotta la società tra avvocati (aperta solo ai professionisti legali) anche per svolgere la difesa in giudizio.

Queste società sono iscritte in una sezione speciale dell’Albo; la cessione di quote può avvenire solo con il consenso di tutti i soci.

L’esecuzione dell’incarico professionale deve avvenire solo da parte di uno dei soci per garantire la personalità della prestazione.

Senza contare che i professionisti possono "organizzare" i Centri di assistenza sotto forma di società di capitali. In campo fiscale, si tratta dei centri di assistenza fiscale disciplinati dai decreti legislativi nn. 241/97 e 490/98, che hanno attribuito agli stessi la riserva sulla dichiarazione semplificata 730 e la possibilità di rilasciare visto di conformità e asseverazione.

Al di là del dibattito sulla personalità della prestazione, che in genere si afferma debba essere salvaguardata nelle società con oggetto professionale, è la previdenza il punto delicato delle società tra professionisti.

Per le società di ingegneria la "Merloni ter" ha provato a individuare una soluzione: sul fatturato derivante da attività professionale queste organizzazioni di capitali devono versare il 2% all’Inarcassa.

È rimasta invece, per ora, lettera morta la previsione della legge 144/99 che ha introdotto un’analoga norma di salvaguardia per l’ente di previdenza dei consulenti del lavoro, in relazione ai Centri di elaborazioni dati (Ced) costituiti da soli professionisti.

2.4. Gli incarichi ad avvocati per la gestione del contenzioso dell’ente locale: criteri e specialità.

L’articolo 6, comma 2, del T.U.E.L. lascia allo Statuto dell’ente i modi di esercizio della rappresentanza in giudizio, ferma restando la rappresentanza ex lege del capo dell’amministrazione: la titolarità della decisione di stare in giudizio può essere inserita nello statuto (ovvero confermata) come una competenza in capo al sindaco, soluzione che parte della dottrina ha ritenuto maggiormente percorribile.

Tale dottrina ha infatti ritenuto che il provvedimento che decide la costituzione in causa sia di competenza della giunta, essendo irrazionale che i dirigenti autorizzino il soggetto (rectius: il sindaco) rispetto al quale dipendono funzionalmente a rappresentare l’ente nella vertenza.

È naturale conseguenza, secondo tale opinione, che in tal caso sia la Giunta che, nel momento in cui decide la costituzione in giudizio ed autorizza il Sindaco a stare in giudizio rappresentando l’Amministrazione, provveda alla contestuale nomina del legale, impegnando la spesa necessaria e scelga il professionista che gode della fiducia del soggetto che decide la costituzione in giudizio, secondo il principio di derivazione costituzionale secondo il quale tra legale e soggetto che agisce o resiste in giudizio deve sussistere uno stretto rapporto fiduciario (Iorio-Monea, "La competenza ad affidare incarichi professionali negli enti locali", in "Dirittoitalia.it", n. 1-2001).

Si esaminano di seguito alcuni indirizzi giurisprudenziali in materia di incarichi a legali.

Le piccole e medie amministrazioni comunali non dispongono di propri uffici legali e possono, quindi, in taluni casi rivolgersi a liberi professionisti per sopperire alla carenza del proprio apparato burocratico ovvero per ampliare, mediante qualificati interventi esterni, le competenze degli uffici, purché nell’atto di conferimento dell’incarico ad estranei forniscano una dimostrazione rigorosa ed esaustiva della ragioni giustificatrici del provvedimento attraverso una congrua illustrazione di tutte le problematiche di particolare complessità e difficoltà che determinano il ricorso alla consulenza specialistica e specifichino i motivi per cui, in casi particolari, l’organizzazione amministrativa interna è ritenuta priva della necessaria competenza professionale (T.A.R. Valle d’Aosta, 26 febbraio 1990, n. 13, in "T.A.R.", 1990, I, 1471; T.A.R. Brescia, 25 febbraio 1986, n. 59, ivi, 1986, I, 1380).

Dall’abrogato art. 220 del t.u.l.c.p. n. 383/1934 e dagli artt. 97 e 128 della Costituzione si può solo ricavare il principio per cui gli enti locali, nell’esercizio dei poteri discrezionali relativi alla loro autonomia organizzativa, trovano un limite nell’obbligo di utilizzare le proprie strutture e il proprio personale: tale limite non riguarda le attività di carattere meramente ausiliario.

Non vi è alcuna norma che impedisca di ricorrere alla collaborazione esterna di professionisti legali, soprattutto se l’ente non disponga di una propria struttura interna (T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, Sez. II, 31 gennaio 1990, n. 25, in "T.A.R.", 1990, I, 1099).

Proprio in ragione degli indirizzi di cui sopra, l’affidamento di incarichi ad avvocati del libero foro da parte degli enti provvisti di Avvocatura richiede particolari cautele e ampiezza motivazionale.

È stato peraltro ritenuto che non è illegittima l’azione di un Comune che, pure avendo nel proprio organico personale appartenente al ruolo legale, decida di acquisire pareri da parte di giuristi estranei all’Amministrazione su punti di diritto che presentino dubbi, posto che l’essersi previsto l’ausilio di un soggetto esterno alla propria organizzazione non basta, in via generale, a far venire meno l’imparzialità di un organo pubblico (Cons. Stato, Sez. V, n. 1357 del 24.11.1997).

Va infine ricordato che la giurisprudenza ha recentemente ritenuto che la prestazione di opera intellettuale nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e comunque di diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo, mentre l’attività di consulenza legale, se è normalmente svolta da avvocati, non è tuttavia agli stessi riservata (Cass. 1997, n. 7359).

Sulla base di tale rilievo l’originaria versione dell’art. 27, comma 2 del D.Lgs. 96/2001 prevedeva che l’attività di consulenza legale può essere esercitata anche secondo il tipo della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice, nonché secondo i tipi della società di capitali e della società cooperativa (norma poi stralciata per le critiche del Consiglio Nazionale Forense).

III. La motivazione degli atti di conferimento d’incarico

3.1. Premesse.

Sono stati indicati numerosi criteri, in giurisprudenza, per il ricorso alla collaborazione di professionisti esterni (in materia si veda altresì, in dottrina, Potenza, "La legittimità degli atti nel nuovo ordinamento degli enti locali", Rimini, 1998, par. 80 ["Il danno da illegittimo conferimento di incarichi professionali"]).

In ragione dei limiti sopra diffusamente indicati (v. spec. Cap. I), viene in particolare rilievo la motivazione dell’atto di conferimento dell’incarico.

Gli incarichi per consulenze, conferiti ad esterni, devono essere contenuti nei limiti dello stretto necessario e per indifferibili esigenze, adeguatamente motivate (Corte dei conti, Sez. contr. Enti, 13 novembre 1990, n. 63, in "Cons. Stato", 1991, II, 811).

È richiesto adeguato e motivato accertamento delle esigenze occasionali che determinano la necessità della collaborazione esterna, e della specificità e infungibilità della prestazione, nonché dei tempi, modi e dei costi della stessa (Corte dei conti, sezioni riunite, 2 luglio 1996, n. 36/A, in "Riv. Corte conti", 1996, n. 5, II, 44).

In materia, cfr. pure Corte dei conti, sez. giur. reg. Sicilia, 14 dicembre 1994, n. 242, in "Riv. Corte conti", 1995, n. 1, II, 241: fattispecie dannosa di incarico di "compiti di consulenza generici, generali ed indefiniti".

Di seguito si esaminano specificamente due particolari profili su cui deve essere specificamente assolto l’onere motivatorio incombente sull’ente: le carenze di personale cui affidare le mansioni in discorso e i criteri di scelta dell’incaricato.

3.2. La correlazione tra la motivazione del conferimento d’incarico e le effettive carenze di personale con specifica professionalità.

In particolare, secondo quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, le consulenze non debbono concretizzarsi in attribuzioni specifiche dei dipendenti dell’amministrazione, ma piuttosto in prestazioni finalizzate, per le quali mancano nelle piante organiche dell’ente figure professionali di operatori in grado di poterle svolgere.

Esse devono essere conferite con chiara prefigurazione delle finalità da conseguire e in sede di conferimento debbono essere indicati la durata, la qualificazione professionale dell’incaricato, le modalità della prestazione e i sistemi di retribuzione, necessariamente diversi da quelli caratteristici del rapporto d’impiego.

In difetto di tutto ciò è possibile che le c.d. consulenze mascherino in realtà dei rapporti di impiego pubblico, instaurati in violazione di divieti di legge (Corte dei conti, Sez. I, 30 ottobre 1986, n. 675, in "Riv. Corte conti", 1986, I, 726).

Il conferimento di incarichi riguardanti adempimenti propri degli uffici, quindi, in mancanza di particolari motivi riconducibili a circostanze come quelle evidenziate, è censurato sia sotto il profilo dell’illegittimità sia sotto quello del danno.

Cfr., ad es., Co.re.co. Lombardia, Sez. di Pavia, 17 giugno 1992 (atti n. 8071), per l’incarico di esame di pratiche di condono edilizio, dopo trascorsi i previsti termini di decadenza e prescrizione, ritenuto "illegittimo per eccesso di potere sotto il profilo della illogicità ed irrazionalità, nonché per contrasto con i principi di economicità".

Ancora è a dirsi per l’incarico di analisi sulla struttura organizzativa dell’ente, dove questa è considerata attività "che ben poteva essere effettuata dai responsabili dei vari uffici comunali" (Corte dei conti, Sez. giur. reg. Sardegna, 8 settembre 1992, n. 442, in "Riv. Corte conti", 1992, I, 110).

I problemi da risolvere debbono richiedere conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale dipendente e l’incarico stesso non deve implicare uno svolgimento di attività continuativa (Corte dei conti, Sez. giur. reg. Puglia, 26 luglio 1993, n. 50, in "Sett. Giur.", 1993, n. 43, IV, 341).

C’è danno quando la prestazione può e deve ragionevolmente essere svolta dalla struttura amministrativa con utilizzazione del personale in servizio (Corte dei conti, Sez. giur. reg. Emilia-Romagna, 15 ottobre 1996, n. 611/EL, in "Sett. Giur.", 1996, IV, 63).

È illegittimo l’incarico di ridefinizione delle strutture operative della provincia a ditta esterna (Corte dei conti, Sez. giur. reg. Abruzzo, 11 dicembre 1996, n. 296, in "Sett. Giur", 1997, IV, 40).

Sul piano legislativo, si è più sopra ricordato che l’art. 30, comma 8 della legge finanziaria per il 2000 (L. n. 488/1999) ha previsto, tra le misure da adottare per il rispetto del cd. "Patto di stabilità interno", che gli enti limitino il ricorso ai contratti stipulati al di fuori della dotazione organica e alle consulenze esterne.

L’art. 7, 6° comma del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall’art. 5 del D.Lgs. n. 546/1993, ha stabilito - in via generale - che le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi "per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio".

Si è già sopra diffusamente illustrata la disciplina della progettazione "esterna" ai sensi dell’art. 17, comma 4, della legge quadro sui lavori pubblici in caso di carenza in organico di personale tecnico nelle stazioni appaltanti, nonché le altre fattispecie prese in considerazione da tale normativa.

Non si può pertanto, conclusivamente sul punto, che ribadire lo specifico onere motivazionale che incombe sull’ente nella redazione dell’atto di conferimento dell’incarico in relazione alle disposizioni sopra indicate.

3.3. L’impossibilità di giustificare l’incarico con il presupposto della fiduciarietà.

Il principio della scelta fiduciaria del professionista, conseguente alla qualificazione del rapporto intercorrente fra il professionista e l’amministrazione nell’ambito dei contratti di prestazione d’opera professionale, ha rappresentato sempre un notevole ostacolo all’introduzione di effettive regole di concorrenzialità fra i potenziali aggiudicatari degli incarichi.

In sostanza, la configurazione privatistica del rapporto, nell’ambito della disciplina di cui agli artt. 2230 e seg. del codice civile, faceva sì che l’amministrazione potesse anche superare i vincoli contenuti nelle norme di contabilità per il ricorso alla trattativa privata (urgenza, speciale natura dell’incarico, ecc.).

Anche la giurisprudenza ha talora concluso che per il contratto di prestazione d’opera professionale la p.a. non è tenuta ad adottare per la scelta del contraente procedimenti di gara pubblica (Corte dei conti, Sez. IV, 13 giugno 1995, n. 570, in "Riv. Corte conti", 1995, n. 4, II, 181).

In base alle norme vigenti (ad esempio nel settore degli incarichi di progettazione, si veda sopra, Cap. II), l’assunto in base al quale il contratto d’opera professionale non è un contratto ad evidenza pubblica è seriamente messo in discussione.

L’approvazione della direttiva 92/50/CEE e l’emanazione dei decreti legislativi 157/95 e 158/95 volti a disciplinare, secondo modalità analoghe a quelle previste nelle direttive lavori e forniture, i contratti aventi ad oggetto attività intellettuali determinano una "pubblicizzazione" della fase di scelta del professionista, sconosciuta fino ad alcuni anni fa (così Genghi, "L’affidamento delle progettazioni", in "Dirittoitalia.it").

In particolare, viene in evidenza il regime transitorio di cui all’art. 17 della legge 109/94 in base al quale, fino all’entrata in vigore del regolamento di attuazione, l’amministrazione aveva l’obbligo di dare "adeguata pubblicità" agli incarichi da affidare il cui importo era compreso tra i 40.000 e i 200.000 ECU, per poi procedere alla scelta del progettista "sulla base dei curricula".

Infatti, benché la scelta del progettista rimanga di fatto una attività riservata alla discrezionalità del committente, l’amministrazione non sceglie più "fiduciarimente", ma deve motivare la scelta dopo aver esaminato i curricula dei soggetti interessati all’affidamento.

La disposizione intende indicare un criterio di aggiudicazione avente un indubbio valore obbiettivo, quale produzione di curricula professionali, restando comunque esclusa la possibilità di una chiamata diretta a piena discrezione dell’Ente.

Ciò, a maggior ragione, laddove gli enti avessero inteso impostare la disciplina transitoria ai criteri contenuti nella circolare (Di Pietro) n. 4488/U/1996, la quale, citando Cons. Stato, Sez. VI, 13 giugno 1995, n. 570, evidenzia la necessità di rispettare i principi di logicità e parità di trattamento tra i candidati nella fissazione dei criteri di valutazione dei curricula.

In siffatta ipotesi, come in tutti i casi in cui si proceda ad una scelta comparativa di tipo concorsuale tra una pluralità di offerte, l’Amministrazione deve rispettare i canoni di imparzialità e buona amministrazione e a tal fine deve preventivamente definire e rendere conoscibili ai partecipanti i criteri essenziali di valutazione che essa adotterà nel compiere la scelta; criteri ai quali i professionisti possano attenersi per la redazione dei curricula e il deposito della documentazione rilevante (Consiglio di Stato, Sez. V, 7 marzo 2001, n. 1339).

In una gara per l’affidamento di incarico professionali di progettazione di opera pubblica è necessario che il relativo bando indichi dettagliatamente i criteri per la valutazione dei curricula, non essendo idonea la successiva relazione del responsabile della gara, poiché l’adempimento che fa carico alle amministrazioni aggiudicatrici di esternazione dei motivi posti a base delle proprie valutazioni deve iscriversi nell’ambito del procedimento di gara, e non successivamente alla sua conclusione (T.A.R. Calabria – Reggio Calabria – 8 febbraio 2001, n. 92).

L’attività posta in essere in funzione del vincolo negoziale costituisce espressione di una potestà conferita per la realizzazione di interessi pubblici, per cui la pubblica amministrazione deve dar conto delle ragioni della preferenza accordata, in relazione agli indici di esperienza e specifica capacità professionale, desunti dal curriculum del professionista prescelto (Cons. stato, Sez. V, 3 febbraio 1999, n. 112).

D’altronde, anche in ambito del diritto privatistico (scelta dei dipendenti da promuovere alla qualifica superiore) è stato di recente affermato il principio che una scelta discrezionale deve effettuarsi sulla base di determinati criteri di valutazione, non può mai trasmodare e quindi trasformarsi in scelta arbitraria ed immotivata, perciò assolutamente insindacabile, comportando dunque una motivazione, sia pure succinta, con riferimento ai criteri seguiti, senza la quale la scelta sconfina nell’arbitrio (Cass., Sez. Lav., 12 febbraio 29001, n. 1995).

La scelta nell’ambito di una categoria di determinati soggetti, in possesso di titoli specifici, va fatta con adeguata motivazione e con un soppesamento non irragionevole delle situazioni soggettive rilevanti (Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 1996, n. 1304; 27 giugno 1996, n. 804).

3.4. La definizione dei contenuti del disciplinare d’incarico.

Numerose disposizioni di legge regionale prevedono espressamente che l’incarico venga conferito mediante apposito disciplinare (es. art. 7 L.R. Liguria 12/99): ciò risulta conforme agli indirizzi in merito della giurisprudenza.

Il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte la P.A., anche ove questa agisca iure privatorum, richiede ad substantiam la forma scritta: a tal fine, è irrilevante l’esistenza di una deliberazione dell’organo collegiale dell’ente pubblico, che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico al professionista, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in un contratto sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente stesso e dal professionista, da cui possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da svolgersi e al compenso da corrispondersi (Cass., sent. n. 97/1117).

Il contratto con il quale l’amministrazione pubblica conferisce un incarico professionale deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta, ed è escluso che esso possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, dovendo ritenersi tale modalità di conclusione limitata ai contratti con ditte commerciali (art. 17 r.d. 18 novembre 1923, n. 2240), e non estensibile al conferimento di incarichi professionali aventi ad oggetto complesse opere di progettazione, in cui è necessaria la definizione degli specifici aspetti del rapporto (tempi, compensi, direttive), anche al fine di rendere possibile l’esercizio dei controlli (Cass., sent. n. 98/2272).

Deve essere ricordata una ulteriore ipotesi di nullità del contratto derivante dal disposto dell’art. 2231 c.c.: l’esecuzione di una prestazione d’opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell’apposito albo previsto dalla legge (si pensi, ad es., ai revisori dei conti, al "medico competente" di cui all’art. 17 del D.Lgs. 626/1994 ss.mm.ii., ecc.) dà luogo a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, rilevabile anche d’ufficio, e, privando il contratto di qualsiasi effetto, non attribuisce al professionista azione per il pagamento della retribuzione (Cass. Civ., Sez. II, 16 gennaio 1996, n. 305; id., 2 dicembre 1993, n. 11947).

L’accertamento della natura "riservata" della prestazione può di fatto risultare problematico.

Per accertare la natura professionale di una prestazione che utilizzi sistemi di elaborazione elettronica – come tale riservata non alle società di servizi, bensì a professionisti iscritti negli appositi albi professionali – il giudice deve valutare la prevalenza dell’attività intellettuale su quella materiale, tenendo conto che possono esservi servizi in cui la prima ha una funzione ridotta rispetto all’elaborazione elettronica (come nel caso in cui l’elaborazione consista nel conseguire il risultato di un calcolo così complesso che sarebbe impensabile affidarlo alla sola mente umana) e servizi in cui, invece, l’attività intellettuale prevale, intervenendo con le proprie cognizioni specialistiche e trovando nell’elaboratore solo uno strumento che si limita a rendere più veloce, rispetto alla mano dell’uomo, la scritturazione dei calcoli [fattispecie di servizi consistenti nella preparazione dei modelli fiscali 101 e 102, nella redazione delle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, nella compilazione dei modelli 01M e 03M e nella chiusura delle posizioni assicurative e contributive presso l’Inail e l’Inps] (Cass. Civ., Sez. II, 10 gennaio 1996, n. 163).

Può essere esercitata azione di arricchimento ex art. 2041 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione che abbia tratto profitto dall’attività lavorativa di un privato non formalmente legato da un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, ma che tuttavia abbia colmato, con la sua opera, una lacuna organizzativa (Cass. Civ. , Sez. un., 4 novembre 1996, n. 9531).

Nell’ipotesi di azione per arricchimento indebito proposta da un professionista nei confronti di un comune, per l’indennizzo di prestazioni eseguite in carenza di uno specifico contratto d’opera, la tariffa professionale ben può essere utilizzata come parametro di valutazione di un’indennità ex art. 2041 c.c., per desumerne il risparmio conseguito dal comune committente, rispetto alla spesa cui esso sarebbe andato incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido (Cass. Civ., Sez. II, 23 giugno 1992, n. 7694).

Peraltro è stato altresì ritenuto che l’azione di indebito arricchimento, in quanto di natura sussidiaria (art. 2042 c.c.), non è esperibile nei confronti di un Comune per ottenere il pagamento di una fornitura effettuata senza la delibera normativamente prevista perché, ai sensi dell’art. 23 D.L. 2 marzo 1989 n. 66, convertito in legge 24 aprile 1989, n. 144, il danneggiato può agire direttamente nei confronti dell’amministratore o del funzionario che l’ha consentita (Cass. Civ., Sez. II, 30 maggio 1997, n. 4820).

Essendo stato l’incarico comunque espletato dagli architetti ed avendo l’amministrazione usufruito dell’elaborato, con ciò accettandolo, si sarebbe dovuto comunque far luogo quantomeno ad un riconoscimento di debito per liquidare i professionisti (Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, sentenza del 15 novembre 2000 n. 2198/2000/R).

La giurisprudenza ha, infatti, statuito che detto istituto costituisce atto negoziale con il quale l'amministrazione, nei casi in cui un incremento di ricchezza si sia verificato senza giusta causa a proprio favore e con correlativo pregiudizio di altro soggetto, unilateralmente accerta l'"utile versum", vale a dire l'entità dell'arricchimento (C. conti, sez. contr., 22 settembre 1995, n. 123).

Da ciò consegue che, adottando siffatta soluzione si sarebbe potuto arginare il danno nei limiti del solo arricchimento conseguito, mentre non era ipotizzabile il totale denegato pagamento essendo principio consolidato che, anche in presenza di irregolarità di affidamento, la prestazione resa dal professionista deve essere comunque retribuita. (C. Conti, sez. II, 13 marzo 1995, n. 6/A).

I contratti e i disciplinari debbono definire:

l’oggetto dell’incarico;

il nome dell’ente, del professionista o della società di consulenza;

la spesa da sostenersi sia per far fronte alle obbligazioni contrattuali sia per la realizzazione dell’opera;

il tempo entro cui devono essere consegnati il progetto, gli elaborati o gli altri prodotti commissionati (i cui diritti di utilizzazione economica vengono acquisitati dal committente, n.d.r.);

le penali e quanto altro necessario a definire i contenuti dell’apporto professionale e di ingegno (così l’art. 24, comma 3 della abrogata L.R. Liguria n. 45/1993).

In conclusione, una possibile check-list dei presupposti necessari per l’affidamento di incarichi professionali o di consulenza può essere la seguente:

dimostrazione che un'esigenza istituzionale non può essere assicurata, nei modi e/o nei tempi necessari, da parte del personale dipendente o comunque delle ragioni per cui viene richiesto un contributo esterno (ad esempio: mancanza delle professionalità necessarie o indisponibilità di professionalità esistenti ma impegnate in altre attività);

motivi della scelta dello specifico consulente, con eventuale documentazione della specifica competenza o esperienza;

indicazione nominativa dei consulenti coinvolti e delle specifiche professionalità documentate;

modalità di valutazione della congruità del costo:

  1. tariffe professionali o tabelle ministeriali o comunitarie o altri tariffari ufficiali;
  2. offerte di altri consulenti;
  3. similitudine con prestazioni precedenti;

capitolo di spesa con indicazione del numero, dell'oggetto e della disponibilità finanziaria;

dati anagrafici e fiscali;

nel caso di consulenze affidate a strutture a partecipazione pubblica, eventuale apporto di personale esterno;

illustrazione dettagliata della prestazione;

finalità e contenuti della consulenza desiderata

eventuali prodotti intermedi e prodotti finali della consulenza il cui raggiungimento sia verificabile;

impegno previsto (espresso in giornate) per ognuno dei contenuti (o prodotti) della consulenza;

corrispettivo;

termini di pagamento;

accettazione della prestazione;

tempo richiesto per l'effettuazione della prestazione;

luogo di effettuazione della prestazione;

nominativo del funzionario incaricato di seguire lo sviluppo della consulenza.

Va in particolare ricordata la disposizione di cui all’art. 2236 c.c. che, nei casi di prestazioni implicanti la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave; la stessa peraltro non trova applicazione ai danni ricollegabili a negligenza ed imprudenza, essendo circoscritta, nei limiti considerati, ai casi di imperizia ricollegabili alla particolare difficoltà di problemi tecnici che l’attività professionale, in concreto, renda necessario affrontare.

Al di fuori di tali ipotesi, il professionista pertanto risponde anche per colpa lieve.

La diligenza media richiesta al professionista è quella posta nell’esercizio della propria attività professionale da un professionista di preparazione ed attenzione media (Cass. Civ., Sez. II, 28 marzo 1994, n. 3023).

Va altresì considerato che l’artt. 2226 del c.c. (liberazione da responsabilità per vizi facilmente riconoscibili) non è applicabile al contratto di prestazione d’opera professionale intellettuale.

Infatti, anche quando (come nel caso della redazione di un progetto di costruzione da parte di un ingegnere) essa si estrinsechi in una cosa visibile (quale il progetto medesimo), la prestazione intellettuale ha pur sempre ad oggetto un bene immateriale, in relazione al quale non sono percepibili, come invece per i beni materiali, le difformità o i vizi eventualmente presenti: il complesso di grafici disegni, e calcoli rappresenta infatti solo il corpus mechanicum in cui la suddetta prestazione si estrinseca onde essere utilizzata dal committente (Cass., sent. n. 97/4704; contra, Cass. Civ., Sez. II, 27 aprile 1991, n. 4641).

In materia va ricordato che in ossequio all’art. 30, comma 5 della legge 109/1994 ss.mm.ii., che obbliga il progettista a stipulare una polizza assicurativa per colpa professionale che tenga indenne l’amministrazione dai danni derivanti da errori od omissioni nella redazione del progetto esecutivo o definitivo che abbiano determinato a carico della stazione appaltante nuove spese di progettazione e/o maggiori costi, l’articolo 105 del D.P.R. n. 554/99 disciplina le modalità di copertura assicurativa del progettista, definendo qualitativamente e quantitativamente il rischio assicurato (commi 2 e 3), e le modalità di funzionamento della garanzia assicurativa quanto ai tempi del pagamento.

Riguardo al compenso, che in ogni caso deve essere adeguato all’importanza dell’opera e al decoro della professione (art. 2233, 2° comma c.c.), la giurisprudenza ha ritenuto che nella disciplina delle professioni intellettuali, poiché il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una fonte sussidiarie e suppletiva, alla quale è dato ricorrere solo in assenza di pattuizioni al riguardo (il cui accertamento è riservato al giudice del merito), le limitazioni al potere di autonomia delle parti e la prevalenza della liquidazione in base a tariffa possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge, riguardanti gli ordinamenti delle singole professioni, sicché sono illegittime, e vanno disapplicate dal giudice, le disposizioni di un decreto ministeriale che, in mancanza di delega legislativa, prevedano l’inderogabilità dei minimi tariffari (Cass., sent. n. 88/4998; n. 96/3401).

Il principio dell’inderogabilità della tariffa degli onorari per le prestazioni professionali è vigente solo nell’ambito interno dell’ordine professionale, talché qualsiasi sua violazione determina una sanzione di carattere disciplinare a carico del professionista, ma non opera rispetto all’ambito esterno e quindi nei rapporti contrattuali, per cui la suddetta tariffa ha unicamente valore supplettivo dell’autonomia contrattuale delle parti con la conseguenza che la determinazione del compenso non comporta le nullità del relativo patto, che, ancorché contrario ai minimi tariffari, resta prevalente rispetto agli stessi 809/4087).

Non è esclusa, in mancanza di un espresso divieto legislativo, la legittimità della clausola con la quale le parti pattuiscono che il diritto all’onorario per il professionista sia condizionato al conseguimento di un risultato positivo per il cliente (Cass., sent. n. 79/1100).

L’art. 2237 c.c. disciplina infine il recesso del cliente e del prestatore nel contratto d’opera intellettuale.

Al riguardo è stato stabilito che l’asserita mora del cliente nel corrispondere il compenso può giustificare il recesso del professionista dal rapporto di prestazione d’opera – recesso che deve comunque avvenire senza pregiudizio del cliente stesso, ai sensi dell’art. 2237 c.c. – ma non giustifica in alcun modo lo svolgimento della prestazione senza la dovuta diligenza ai sensi dell’art. 2236 c.c. (Cass. Civ., Sezioni unite, 26 marzo 1997, n. 2661).

IV. La legittimità degli incarichi

4.1. Natura della giurisdizione della Corte dei Conti e della responsabilità per illegittimo conferimento.

Le statuizioni della giurisprudenza contabile, e, per tutte, alcune indicazioni contenute nella già citata sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, 25 settembre 2000, n. 1545, sono significative di profili generali della giurisdizione di responsabilità amministrativa per illegittimo conferimento di incarichi, onde vale la pena ripercorrerle sia pure nell’economia del presente scritto.

A) In primo luogo, viene precisato che nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile gli atti della pubblica amministrazione non vengono in rilievo come tali e cioè come espressione della volontà dell’amministrazione ovvero come concreto esercizio del potere funzionale di cui l’autorità emanante è investita, ma come fatti giuridici idonei a modificare la realtà giuridica ed a produrre perciò i conseguenti effetti giuridici.

Sicché, in termini generali, l’accertamento anche incidentale del giudice contabile non cade mai sulla legittimità - illegittimità di un atto, ma sulla liceità - illiceità del fatto giuridico, che modificando la realtà giuridica ha comportato una diminuzione patrimoniale per la pubblica amministrazione.

Invero, soggiunge la Corte, la categoria del legittimo - illegittimo attiene al rapporto esterno tra momento dell’autorità - inteso quale esercizio di un potere da parte dell’amministrazione - ed i diritti dei privati rispetto al giudizio di rispondenza dell’atto a schemi normativamente prefissati.

In ogni caso, nell’ordinamento i rapporti tra giudizio civile, giudizio amministrativo e giudizio amministrativo-contabile sono di assoluta autonomia in quanto non sono previste né preclusioni, né decadenze, né effetto di giudicato dell’uno rispetto all’altro giudizio.

Né, d’altro canto, il controllo esterno ha altra funzione oltre a quella di immettere, conferendogli efficacia, o di non immettere, negandogli efficacia, l’atto amministrativo nella realtà giuridica.

Da ciò consegue la impercorribilità di qualsiasi costruzione giuridica che intenda legare o comunque posporre l’accertamento della responsabilità amministrativo-contabile all’accertamento dell’illegittimità di atti dell’amministrazione.

Anzi, va detto che nella maggior parte dei casi il fatto illecito, causativo del danno, nasce proprio dall’essersi prodotti gli effetti dell’atto amministrativo non annullato né in sede di controllo, né in sede giurisdizionale e perciò munito di quella che viene chiamata presunzione di legittimità.

In effetti l’azione di responsabilità amministrativo-contabile si radica nell’inadempimento da parte dell’amministratore o del funzionario di norme giuridiche o di obblighi di servizio su di lui incombenti in funzione dell’attività conferitagli e cioè in un comportamento illecito del soggetto agente, comportamento che si sia manifestato in fatti giuridici contra ius modificativi della realtà giuridica e perciò produttivi di un danno ingiusto.

Nei detti termini sono, pertanto, oggetto di valutazione del giudice contabile gli atti della pubblica amministrazione ed in tali termini la cognizione dello stesso non incontra le preclusioni del giudice della legittimità degli atti.

Nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, l’atto della pubblica amministrazione viene in rilievo come componente del comportamento del soggetto agente ovvero per gli effetti modificativi della realtà giuridica che ha prodotto e non nella sua funzione tipica di esercizio del potere attribuito all’autorità e rispetto al quale è possibile la valutazione in termini di legittimità-illegittimità.

Il giudizio amministrativo investe l’atto per mantenerlo nella realtà giuridica od espungerlo; il giudizio civile attiene alla responsabilità dell’amministrazione, o dei suoi funzionari ed agenti, verso terzi e perciò in questo giudizio per affermare l’esistenza dell’illecito occorre privare l’atto della sua forza propria e perciò disapplicarlo.

Nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, invece, viene in rilievo il comportamento del soggetto convenuto in relazione al rapporto che intercorre tra detto soggetto e la pubblica amministrazione al fine di valutare se l’attività dispositiva dell’ente sia stata o meno contraria ai doveri d’ufficio.

La responsabilità, perciò, non nasce dall’atto - che il giudice contabile non deve né annullare, né disapplicare - ma da una attività produttiva di danno.

La Corte quindi afferma che la responsabilità è fondata sull’aver affidato consulenze a terzi estranei all’apparato amministrativo del Comune, per cui non è ipotizzabile alcun difetto di giurisdizione stante la puntuale previsione normativa contenuta nell’articolo 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142.

Tale responsabilità si radica sulla violazione da parte dei soggetti agenti di precostituiti obblighi di servizio e perciò di doveri di comportamento nascenti dal rapporto che lega il soggetto alla pubblica amministrazione (cd. rapporto di servizio).

Si tratta perciò di responsabilità di natura contrattuale e non di una responsabilità aquiliana fondata sul neminem laedere con i conseguenti effetti in tema di prescrizione.

B) In secondo luogo, nel nuovo ordinamento delle autonomie locali è previsto che l’azione di responsabilità si prescrive con il decorso del quinquennio dalla "commissione del fatto".

Detta espressione non può essere intesa nel senso che è sufficiente a dare inizio al periodo prescrizionale il semplice compimento della condotta trasgressiva degli obblighi di servizio dalla quale non sia ancora scaturito alcun nocumento patrimoniale all’ente pubblico, considerato che l’elemento "fatto" comprende non solo la condotta del soggetto, ma anche l’evento antigiudirico che ad essa consegue (cd. danno-evento).

Da ciò discende che, ove il pubblico nocumento insorga a distanza di tempo dal comportamento colpevole dell’amministratore o del dipendente, è dal quel momento che comincia a decorrere il termine prescrizionale quinquennale.

In altri termini, l’inizio della prescrizione per il computo del decorso prescrizionale va individuato nel momento in cui diviene perfetta la fattispecie dannosa (il fatto dannoso), nei suoi due elementi costitutivi dell’azione-omissione e dell’effetto lesivo di questa.

Quando le due componenti risultano distanziate nel tempo, ossia quando l’effetto lesivo del patrimonio pubblico si verifica in un momento successivo rispetto a quello del compimento dell’azione-omissione, è da questo secondo momento che inizia a decorrere la prescrizione.

Prima del verificarsi dell’effetto lesivo, dunque, non vi è interesse ed in ogni caso mancano i requisiti della certezza e dell’attualità che legittimi ad agire, non essendosi ancora verificato il nocumento patrimoniale di cui si intende chiedere il risarcimento; il che postula non soltanto il compimento della condotta illecita, ma anche la realizzazione concreta del danno.

Ciò trova puntuale conferma normativa oltre che nell’articolo 2935 c.c., in base al quale la prescrizione comunica a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

In mancanza della percezione del danno, non è possibile giuridicamente, e non soltanto in via di mero fatto, esercitare l’azione risarcitoria (Cass. Civ., Sez. I, n. 3160 del 4.4.1996).

Risulta, quindi, chiaro che il compimento del fatto dannoso, per rendere possibile l’esercizio dell’azione pubblica risarcitoria, deve essere indissolubilmente legato al verificarsi del danno erariale, cioè al depauperamento dell’ente.

Il momento iniziale del periodo prescrizionale dell’azione pubblica, pertanto, viene individuata dal pagamento effettivo del corrispettivo per l’incarico conferito.

C) La ridetta giurisprudenza ha altresì negato che debba porsi alcuna valutazione di utilità della spesa perché l’illecito degli amministratori si concretizza nel pagamento di competenze non dovute con danno pari all’importo di quanto pagato.

Infatti, costituiscono danno gli interi emolumenti corrisposti nell’ipotesi di incarico ripetitivo, continuativo e sistematico, protratto nel tempo per esigenze permanenti ed istituzionali di un ente locale, soprattutto quando le consulenze hanno le caratteristiche del rapporto di impiego vietato dalla legge.

In conclusione, nella fattispecie vi è un’assenza di "utilità" nella prestazione degli incarichi, avendo i responsabili aggravato solo i Comune di ingiustificati oneri aggiuntivi, costituenti una inutile duplicazione di spesa rispetto a quella già derivante per legge dal mantenimento delle esistenti strutture comunali e delle risorse rimaste al riguardo inutilizzate.

4.2. Il controllo interno.

La materia degli incarichi risulta particolarmente rilevante e significativa per le tipologie di controlli cui gli stessi possono essere sottoposti.

Come noto, in base all’art. 147 del T.U.E.L. gli enti locali, nell’ambito della loro autonomia normativa ed organizzativa (ed anche in deroga agli altri principi di cui all’art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 286/99, recante una disciplina generale di riordino dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni), individuano strumenti e metodologie adeguati a:

  1. garantire attraverso il controllo di regolarità amministrativa e contabile, la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa;
  2. verificare, attraverso il controllo di gestione, l’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, al fine di ottimizzare, anche mediante tempestivi interventi di correzione, il rapporto tra costi e risultati;
  3. valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale;
  4. valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione di piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefinitivi.

Appare evidente che gli incarichi di consulenza si prestano, in particolare, ad una verifica ai sensi delle sopraindicate lett. a) (controllo di regolarità amministrativa) e b) (controllo di gestione), anche se non si esclude una possibilità di valutazione sotto il profilo strategico (lett. d).

Sotto il primo aspetto, infatti, gli atti di conferimento dell’incarico saranno verificabili sotto il profilo del rispetto dei presupposti di legittimità nonché riguardo alla regolarità contabile e fiscale.

Sotto il secondo profilo, deve essere ricordato quanto sopra affermato in ordine alla circostanza che il conferimento di incarichi professionali non appare in alcun modo una "funzione di governo", in quanto l’opera di un professionista deve rendersi necessaria per il conseguimento di un determinato obiettivo gestionale (dalla formazione del personale alla progettazione di un’opera pubblica, dalla costituzione di una società alla valutazione del rischio ai sensi del D.Lgs. 626/1994), onde – si è ancora sopra detto – è conseguenza che l’incarico sia affidato direttamente dal dirigente competente, che nel piano esecutivo di gestione deve avere ottenuto le risorse per poter concludere un contratto d’opera professionale rientrante tra i mezzi a lui necessari per conseguire i suoi risultati.

Sotto tale profilo, pertanto l’incarico (e soprattutto i suoi risultati e l’utilizzazione dei medesimi) saranno valutabili nell’ambito del controllo di gestione sull’efficacia, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa, nonché nell’ambito del controllo strategico.

Vanno altresì evidenziate le fattispecie di controllo sui pertinenti atti che possono essere azionate: il controllo eventuale ad iniziativa dei consiglieri (art. 127, 1° comma lett. a) o della giunta (art. 127, 3° comma); il controllo ad iniziativa del prefetto (art. 135).

Più in generale deve essere ricordato il potere di sindacato ispettivo dei consiglieri (art. 43, 3° comma).

Anche se l’incarico è conferito mediante determinazione dirigenziale, come risulta preferibile (vedi sopra, Cap. II), e pertanto i relativi atti non saranno ordinariamente trasmessi in elenco ai capigruppo consiliari – essendo tale regola limitata alle sole deliberazioni della Giunta – nulla esclude che lo Statuto preveda ugualmente analoga forma di partecipazione di tali provvedimenti ai Consiglieri, analogamente ad alcune leggi regionali (es. art. 7 L.R. Liguria n. 12/99).

I controlli di cui sopra potranno avere a riferimento eventuali opportune previsioni statutarie che, in analogia con quanto stabilito dalle surrichiamate norme statali e regionali, stabiliscano limiti e modalità per il conferimento degli incarichi, e cioè, riassumendo, che:

    1. gli stessi sono ammissibili in relazione a particolari esigenze eccedenti le normali competenze del personale dipendente, ovvero in assenza di personale in possesso dei requisiti di professionalità necessari o quando il medesimo sia impegnato nella normale attività di servizio, a soggetti esterni all’Amministrazione ai quali sia riconosciuta una specifica competenza;
    2. l’espletamento dei compiti oggetto degli incarichi dovrà consentire, oltre al raggiungimento degli specifici obiettivi individuati nei relativi atti deliberativi, anche un arricchimento delle capacità professionali e delle conoscenze del personale;
    3. v’è obbligo di pubblicizzare gli incarichi di importo superiore a determinati importi, ponendo un termine entro il quale soggetti interessati possano segnalare la propria disponibilità, documentando le proprie competenze ed esperienze;
    4. v’è obbligo di dare conto, nel provvedimento di conferimento dell’incarico, dei criteri sulla base dei quali è stata operata la scelta e dell’elenco di coloro che avevano segnalato la disponibilità;
    5. di norma, non vengono conferiti incarichi individuali a dipendenti dell’Università, di enti di ricerca pubblici, di pubbliche amministrazioni ed eventuali eccezioni motivano le specifiche circostanze che rendano impossibile il conferimento dell’incarico alla struttura nella quale l’interessato opera;
    6. ad un singolo consulente, direttamente o tramite società di consulenza, non possono essere affidati incarichi ripetuti per determinati importi nello stesso anno solare.

Le stesse previsioni statutarie, opportunamente, altresì richiameranno – in relazione al conferimento dell’incarico – gli obblighi di astensione relativi ad intererseei propri o di parenti o affini (art. 78, 2° comma T.U.E.L.) e il regime delle incompatibilità (art. 63, comma 1, lett. b T.U.E.L.).

4.3. I profili fiscali e previdenziali correlati agli incarichi professionali.

Si è già detto che le prestazioni d’opera intellettuale configurano di regola attività di lavoro autonomo (se non d’impresa, nel caso delle società di consulenza, ai sensi dell’art. 2238 c.c.) rientrante nell’oggetto della professione abitualmente esercitata dall’incaricato ai sensi dell’art. 49, comma 1 del T.U.I.R..

I relativi compensi sono soggetti ad IVA, al regime previdenziale professionale dell’incaricato (Cassa) e all’ordinaria ritenuta alla fonte del 20%.

Altra ipotesi - es. incarichi a dipendenti pubblici - è quella di collaborazioni occasionali (reddito diverso ai sensi dell’art. 81, lettera l del T.U.I.R.), non rilevanti a fini previdenziali ed anche, come noto, non soggette ad IVA ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 633/72 ss.mm.ii..

Per quanto riguarda le collaborazioni coordinate e continuative, le stesse sono assoggettate al contributo INPS del 10 - 13 %, a seconda che il collaboratore sia o meno iscritto ad altra gestione previdenziale (oltre che, più di recente, e solo per questi ultimi alla maggiorazione dello 0,5 % per maternità e assegno per il nucleo familiare e indennità di malattia).

Queste ultime hanno ad oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica e prestabilita (art. 47, comma 1, lett c-bis T.U.I.R.).

Si è altresì rilevato che l’art. 34 della L. 21 novembre 2000, n. 342 (legge fiscale collegata alla finanziaria 2001) qualifica i redditi relativi come redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Le conseguenze, come sopra detto, sono rilevanti:

applicazione delle regole IRPEF per quanto riguarda i trattamenti di trasferta, ecc.;

applicazione delle ritenute IRPEF sui compensi (al netto dei contributi previdenziali a carico del lavoratore) per aliquote progressive per scaglioni di reddito;

assoggettamento alle addizionali IRPEF comunali e regionali e all’IRAP;

obbligo di compilazione della busta paga e del CUD, ecc..

Riassuntivamente, pertanto:

al compenso va sempre applicato il contributo INPS del 10-13% nella misura di 1/3 a carico del beneficiario e 2/3 a carico dell’Ente committente;

il contributo del 10-13% è applicato a tutto il compenso senza riduzione forfettaria del 5-6%: è stato infatti abrogato il comma 8 dell’art. 50 del TUIR che fissava tale riduzione per i compensi erogati fino a un massimo di cento milioni;

il contributo non opera sui compensi percepiti da soggetti con età superiore ai 65 anni ed in caso di raggiungimento del massimale contributivo INPS,

l’inquadramento di tali redditi in quelli assimilati a lavoro dipendente comporta anche l’applicazione delle addizionali IRPEF comunali o regionali: queste verranno determinate in sede di conguaglio e trattenute nel periodo di imposta successivo nel caso in cui il collaboratore presti la sua attività anche nell’anno seguente, in caso invece di cessazione del rapporto di collaborazione le addizionali dovranno essere trattenute al momento del pagamento dell’ultimo compenso. Sia l’addizionale regionale sia l’addizionale comunale seguono le regole di prelievo dell’IRPEF ordinaria. L’addizionale regionale si applica con l’aliquota dello 0,90% su tutto il territorio nazionale ad ogni scaglione di IRPEF, l’addizionale comunale viene stabilita da ogni comunale mediante deliberazione e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (l’aliquota che dovrà essere applicata sarà quella deliberata dal comune di residenza del collaboratore);

i compensi, ove necessario, dovranno essere assoggettati ad INAIL effettuando le conseguenti registrazioni, comunicazioni e ritenute in ottemperanza alle disposizioni contenute nel decreto legislativo 23 febbraio 200, n. 38).

Per il trattamento fiscale applicabile alle indennità di trasferta e rimborsi spese si dovrà fare riferimento, come per i lavoratori dipendenti, alla disciplina contenuta nell’art. 48, comma 5 del T.U.I.R., in base al quale le indennità percepite per le trasferte o le missioni concorrono a formare reddito per la parte eccedente i limiti ivi stabiliti.

In particolare tale norma considera trasferta la prestazione dell’attività lavorativa resa fuori dalla sede di lavoro. Tale sede è determinata dal datore di lavoro ed è generalmente indicata nella lettera o nel contratto di assunzione.

Tuttavia, per alcune attività di collaborazione coordinata e continuativa non è possibile, in virtù delle caratteristiche peculiari della prestazione svolta, determinare contrattualmente la sede di lavoro, né identificare tale sede con quella dell’ente. In tali ipotesi, ai fini dell’applicazione del comma 5 dell’art. 48 del T.U.I.R., occorre fare riferimento al domicilio fiscale del collaboratore.

Le ricevute per collaborazione coordinata e continuativa rilasciate in relazione a prestazioni non soggette ad IVA e superiori a lire 150.000 sono sempre sottoposte all’imposta di bollo nella misura di L. 2.500.

(*) Il presente saggio costituisce rielaborazione di alcuni capitoli di una monografia in corso di pubblicazione per i tipi della Casa editrice Giuffré - Collana Cosa & Come; l'argomento sarà ulteriormente sviluppato dallo stesso A. nel corso di un seminario organizzato dalla Scuola delle Autonomie Locali, che si svolgerà a Milano l'11 maggio 2001.

http://www.giust.it/

Copertina