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GIOVANNI VIRGA

La retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti:
una vicenda ancora non del tutto conclusa

(nota a Cons. Stato, Ad. Plen., decisione 28 gennaio 2000 n. 10)

Sembra essere finalmente arrivata ad un punto di svolta la tormentata vicenda della retribuibilità delle mansioni superiori svolte dai pubblici dipendenti.

Con la recente decisione n. 10 del 28 gennaio 2000, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha infatti affermato che, a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 (pubblicato nella G.U. 7 novembre 1998 n. 261), va riconosciuto il diritto del pubblico dipendente, che abbia svolto funzioni superiori, di ottenere il trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.

L’Adunanza Plenaria ha preso atto che il legislatore, con l’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 (il quale ha soppresso le parole "a differenze retributive o" prima contenute nell’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, poi sostituito dall’art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), ha manifestato la volontà di rendere anticipatamente operativa la disciplina dell’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto le funzioni superiori, di ottenere il trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.

A partire dalla data di entrata in vigore del già citato decreto legislativo n. 387/98, pertanto, tutti i dipendenti che hanno svolto mansioni superiori avranno diritto di pretendere nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza le differenze stipendiali dovute per effetto dell’esercizio delle mansioni stesse.

A ben vedere, le premesse per l’affermazione del principio in questione erano già contenute in nuce in una precedente decisione dell’Adunanza plenaria depositata qualche mese addietro (si tratta della decisione 18 novembre 1999 n. 22).

In quella occasione l’Adunanza Plenaria, pur affermando che "nessuna norma o principio generale desumibile dall'ordinamento consente la retribuibilità in via di principio delle mansioni superiori comunque svolte nel campo del pubblico impiego" ed addirittura che "l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita … contrasta con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità proprie dei funzionari", aveva tuttavia riconosciuto che la materia è ora disciplinata dall'art. 56 del D.L.vo n. 29 del 1993 (nel testo sostituito dall'art. 25 del D.L.vo n. 80 del 1998 e poi ulteriormente rimaneggiato dall'art. 15 del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387), il quale prevede espressamente la retribuibilità dello svolgimento delle mansioni superiori.

In particolare il Consiglio di Stato (ma v. in precedenza anche Corte Costituzionale, ordinanza 22 aprile 1999 n. 146) allora aveva aveva già notato che le parole "a differenze retributive o" sono state soppresse dall'art. 15 del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387, facendo già intendere che, a partire dalla data di entrata in vigore di quest'ultimo decreto, il divieto di riconoscimento delle mansioni superiori sotto il profilo economico, era da ritenere ormai venuto meno.

Il principio è stato ora chiaramente affermato con la decisione n. 10/2000, con la quale è stata riconosciuta la retribuibilità delle mansioni superiori svolte a partire dalla data di entrata in vigore del D.L.vo 29 ottobre 1998 n. 387.

Per quelle svolte in epoca antecedente a quest’ultimo decreto, invece, l’Adunanza Plenaria ha ribadito l’orientamento di netta chiusura espresso negli ultimi tempi (v. oltre alla sentenza n. 22/1999, già citata, da ult. Sez. V, sent. 9 novembre 1999 n. 1857), dichiarando peraltro manifestamente infondata la eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 56 del D.L.vo n. 29 del 1993 (come modificato dall’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387), avanzata con riferimento all’art. 3 della Costituzione, per l’ingiustificata disuguaglianza che - sotto il profilo temporale - si verrebbe così a creare.

Per respingere tale eccezione l’Adunanza Plenaria si è limitata genericamente a fare riferimento al principio affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui "non infrange il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, giacché lo stesso fluire di questo costituisce di per sé elemento differenziatore".

E’ questo, tuttavia, il passaggio più debole della recente sentenza dell’Adunanza Plenaria. Invero, il principio richiamato (che fa riferimento alla possibilità per il legislatore di riconoscere trattamenti economici differenziati "in momenti diversi nel tempo") sembra inconferente, dato che la questione della retribuibilità (o meno) delle mansioni superiori svolte da pubblici dipendenti non riguarda un trattamento economico che risulta differenziato nel tempo, ma concerne invece un trattamento economico che per il periodo successivo al D.l.vo n. 387/98 viene pienamente riconosciuto, mentre per il periodo pregresso viene del tutto negato.

Non è inutile ricordare che in passato era stata proprio la Corte Costituzionale che aveva affermato il principio delle retribuibilità dalle mansioni superiori, facendo applicazione diretta dell’art. 36 della Costituzione e dell'art. 2126 del Codice civile, sia pure con riferimento ai sanitari che svolgono mansioni superiori per oltre 90 giorni (v. per tutte Corte Cost., sentenza 23-2-1989, n. 57, in Il Cons. Stato 1989, II, 182 ed in Foro It. 1989, I, 1741).

Inoltre, la stessa Corte Costituzionale aveva avuto modo di affermare che "nelle leggi statali sul pubblico impiego non esiste alcun principio per cui, ai fini dell'inquadramento giuridico del personale, non possa essere considerato rilevante lo svolgimento di fatto di mansioni riferibili a qualifiche superiori" (sentenza sentenza 25-7-1990, n. 369, in Quaderni regionali 1990, 1499 ed in Giur. cost. 1990, 2271) ed addirittura che (v. la sentenza 29-12-1992, n. 488, in Regioni 1993, 1361) "il diritto dell'impiegato, assegnato pur in mancanza di un atto formale allo svolgimento di mansioni superiori a quelle della propria qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente è direttamente applicabile, in forza del principio di equa retribuzione sancito dall'art. 36 Cost.".

Il Giudice delle leggi ha peraltro affermato, in generale, che "il principio costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato - contenuto nell'art. 36 cost. e anticipato già dall'art. 2126 c.c. - trova applicazione anche nel pubblico impiego e comporta il diritto del dipendente assegnato a mansioni superiori inerenti un posto vacante in organico, a percepire la relativa differenza stipendiale; detto principio non può subire restrizioni per l'astratta possibilità di abusi nell'assegnazione delle funzioni superiori" (sent. 31-3-1995, n. 101, in D.L. Riv. critica dir. lav. 1995, 841 ed in Riv. giur. polizia loc. 1996, 69).

Non è pertanto da escludere che in futuro venga sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387, nella parte in cui - anche alla stregua dell’interpretazione datane dall’Adunanza Plenaria - limita la riconoscibilità (sotto il profilo economico) dell’esercizio delle mansioni superiori al solo periodo successivo all’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, finendo per ritenere del tutto non retribuibili le mansioni svolte prima di tale data.

Potrebbe inoltre essere rilevato che, essendo la disposizione in parola espressione di principio generale desumibile dall'art. 36 Cost., alla disposizione stessa andrebbe riconosciuta efficacia anche con riferimento alle situazioni pregresse, quanto meno a far data dalla entrata in vigore del D.L.vo n. 29/1993, nel cui testo la modifica apportata dal D.L.vo n. 387/98 si inserisce.