ITALIA OGGI, MARTEDI 23 Maggio 2000, pg. 28

 

 

IL PROBLEMA RIGUARDA UN MILIONE DI LAVORATORI

Mobbing, spingere sulla tutela giudiziaria

Di Piercarlo Cargnel*

 

Il "mobbing" non è un problema di salute psichica dei lavoratori ma una malattia dell’organizzazione del lavoro postfordista.

Il termine "mobbing", coniato da uno zoologo austriaco, Konrad Lorenz, e che serve a definire l'aggressività di un gruppo animale nei confronti di un intruso, è stato "trapiantato" nel campo della psicologia umana da uno studioso tedesco, Heinze Leyman.

La parola rinvia a una situazione di conflitto endemico sul luogo di lavoro, per cui un "mobizzato" è oggetto di persecuzione sistematica da parte di uno o più "mobber" (un capo, i colleghi, l'azienda), in concorso o meno fra loro; una situazione che danneggia la salute psicofisica della vittima, intacca la sua autostima, può indurla a licenziarsi e, in certi casi, può provocarne addirittura il suicidio o spingerla a uccidere il persecutore.

Si tratta di fenomeni noti, finora classificati e affrontati come casi di conflitto esasperato fra lavoratori e aziende.

Perché oggi si sente l'esigenza di trovare un nuovo nome per descriverli? È perché il "mobbing", dopo essere stato liberamente esercitato nelle aziende, ha trovato la giusta sensibilità sociale e approda in parlamento, dov'è in discussione un progetto di legge per la "tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell'ambito dell'attività lavorativa.

Il "mobbing" danneggia anche le imprese, anzi, ove si consideri il calo di produttività delle vittime, il fatto che il "mobber" passi il tempo a torturare i colleghi invece che a lavorare e provochi costi per le cause di lavoro, ecc. … sembra pratica suicida.

Ma ciò non impedisce ai "manager mobber" di perseguire il "downsinzing", perseguitando la gente in modo da costringerla a dimissioni "spontanee", né impedisce agli stessi manager di "drogare" i propri risultati, stressando i collaboratori sul breve periodo (e poco importa se sul lungo periodo caleranno energia e produttività); né frena la concorrenza fra lavoratori costretti a dimostrare di meritare la "posizione" oggetto di invidia di tanti.

Da una recente indagine condotta da uno studio di ricerche, il fenomeno riguarda in Italia circa un milione di lavoratori e riflette il travaglio di un lavoro intellettuale aggredito dalle nuove tecnologie e dalle nuove forme di organizzazione aziendale, in presenza di una concorrenza esasperata, che riduce i lavoratori a lottare per sopravvivere in un mercato duramente competitivo.

Gli attacchi vengono effettuati applicando cinque diverse strategie: negare alla vittima la possibilità di esprimere il suo nuovo punto di vista, isolarla, calunniarla, sminuire la professionalità con mansioni umilianti, minarne la salute psicofisica. Sono colpiti ambedue i sessi e le fasce di età superiori sono le più esposte. I persecutori sono, nella maggior parte dei casi, i "capi", per lo più maschi, e spesso si avvalgono della "collaborazione" consapevole o subita dei colleghi della vittima.

A essere sotto tiro sono per lo più i dirigenti, la dove le situazioni degenerano in sopraffazione.

Il "mobbing" appare in contrasto con la filosofia della "qualità totale", che richiede elevato grado di corresponsabilizzazione dei collaboratori, quindi dovrebbe avere la stessa cultura aziendale a contrastarlo, e invece no: il "middle management" ne è nella maggior parte dei casi l'esecutore, per dimostrare al top che su di lui si può sempre contare, anche se si tratta di colleghi con cui si mantiene un ("falso") rapporto di amicizia.

Occorre "cavalcare" il mobbing, restituendo capacità rappresentativa a un sindacato che finora si è sempre dimostrato "comprensivo" con le esigenze della controparte e quindi occorre criticare la "medicalizzazione" del fenomeno.

Abbiamo sottovalutato il problema? 1 colleghi colpiti preferiscono tenerlo nascosto, sapendo che non potrebbero contare su solidarietà e azioni del sindacato? Smentiamoli e cominciamo a tutelare, anche con azioni giudiziarie, quei casi in cui si dovesse ravvedere (in modo documentale) l'azione vessatoria e persecutoria.

*Presidente Previndai