IL "MOBBING": DEFINIZIONE, TIPOLOGIE E COMPORTAMENTI

MOBBIZZANTI IN SENO ALLE AUTONOMIE LOCALI. RIFLESSIONI SUL TEMA ALLA LUCE DELLE FUNZIONI E DEL RUOLO DEL SEGRETARIO COMUNALE A SEGUITO DELLE LEGGI DI RIFORMA DELLA CATEGORIA

di Stefano Glinianski

 

Il presente contributo, analizzando il fenomeno del c.d. mobbing, espressione che indica, allo stato attuale, una condotta vessatoria attivata nei confronti di un lavoratore da parte di altri soggetti operanti nel medesimo contesto lavorativo finalizzata ad una sua estromissione dal mondo del lavoro, evidenzia i diversi modi attraverso cui esso può manifestarsi, gli effetti che dallo stesso possono discendere, nonché gli strumenti che il nostro sistema normativo offre al lavoratore per tutelarsi.

In particolare, poi, si affronteranno i rapporti tra tale istituto e le recenti leggi di riforma della categoria dei segretari comunali.Infatti, pur se può apparire contraddittorio ipotizzare un "rapporto" tra un istituto legislativo – che rappresenta il tessuto normativo attraverso cui si articola un sistema – e un fenomeno patologico qual è il mobbing, si dimostrerà, al contrario, come tra le righe di apparenti disposizioni normative, che individuano le funzioni "indefettibili" del Segretario comunale, spesso interpretate in modo particolarmente penalizzante per la categoria, vi siano dei grandi spazi di incertezza che costituiscono il terreno fertile per il proliferare di tale inquietante e mortificante fenomeno.

Considerato, altresì, che il tema in esame può indurre ad ulteriori riflessioni e commenti, il lettore è invitato ad intervenire consentendo, così, di rispettare la ratio che ha indotto alla realizzazione di questa rubrica: rendere la stessa dinamica, frutto di un vicendevole e reciproco completamento.

 

Sommario: 1. Introduzione - 2. Il mobbing: definizione, tipologie e comportamenti mobbizzanti: gli effetti del mobbing sull’individuo, sia nella sua accezione di persona, che sul suo status di lavoratore - 3. Rapporti tra mobbing e recenti leggi di riforma delle autonomie locali con particolare attenzione alla figura del Segretario comunale - 4. Opportunità di una corretta interpretazione delle funzioni c.d. "indefettibili" del Segretario comunale a seguito delle leggi di riforma della categoria - 5. Riferimenti legislativi e mezzi di tutela contro le vessazioni sul luogo di lavoro.

 

 

1. - Introduzione.

Con l’espressione mobbing, mutuata dalla scienza etologica, che indica l’assalto, l’aggressione che alcuni uccelli pongono in essere contro coloro che intendono appropriarsi del loro nido, si intende, allo stato attuale, una particolare pratica vessatoria attuata nei confronti del lavoratore da parte di altri soggetti operanti nel medesimo ambito lavorativo. Tale condotta che può, come si vedrà, manifestarsi attraverso diverse tipologie comportamentali, è diretta, sostanzialmente, ad un unico scopo: svilire professionalmente il lavoratore, al punto da fargli perdere qualsiasi stima di se stesso così da indurlo ad abbandonare il proprio posto di lavoro o, comunque, in determinate circostanze, a sottomettersi alla volontà altrui incondizionatamente.

L’Italia, a differenza di altri paesi, ove già il fenomeno è stato accuratamente studiato, ha solo di recente mostrato attenzione verso tale antico malcostume. Infatti, la giurisprudenza, la dottrina e gli stessi sindacati hanno approfondito, sovente, il tema della dequalificazione professionale, ritenendo la stessa assorbente, altre tipologie comportamentali vessatorie che spesso si accompagnano a tale deprecabile pratica di ridimensionamento delle mansioni del lavoratore. Al contrario, il mobbing è comprensivo di tale istituto, ma non si esaurisce in esso; "mobbizzare" significa, più precisamente, attivare un "insieme" di atteggiamenti ostili nei confronti del lavoratore che comprende tra gli altri, ma non solo, il fenomeno della dequalificazione. Quest’ultima è, pertanto, solo un aspetto, o meglio, una tipologia comportamentale che confluisce in un atteggiamento attuato per addivenire ad un risultato distruttivo della persona molto più profondo. Più precisamente, se con il dequalificare il lavoratore si limita la sua capacità lavorativa comprimendo la stessa in mansioni non afferenti al ruolo in cui è stato inquadrato, "mobbizzare" è andare oltre ciò: significa svuotare di contenuto professionale la persona, da non intendersi solo nel suo status di lavoratore, per allontanare la stessa dallo spazio lavorativo in cui opera, con l’aggravante, tuttavia, che tale allontanamento comporta il peso ulteriore di una perdita di stima di se stesso. Tale pratica è, dunque, più sottile, più insidiosa e, soprattutto, più devastante e questo è il motivo per cui è doveroso conoscere della sua esistenza per arginarla e non consentire la limitazione di una sua definizione alla sola sede giurisprudenziale ove, difficilmente, potranno ripristinarsi equilibri danneggiati in modo, spesso, irreversibile (1).

Essere mobbizzati può accadere a tutti. È, forse, come è stato ironicamente definito (2), uno tra gli istituti più democratici esistenti nel nostro sistema. Lavoratori inquadrati in diverse tipologie professionali possono – indistintamente – essere subdolamente colpiti, per i più differenti motivi, da tale atteggiamento, che viene spesso recepito dal destinatario in modo inconsapevole.

Con tale contributo si cercherà, pertanto, di analizzare i diversi modi in cui tale fenomeno potrà presentarsi, gli effetti che dallo stesso potranno discendere, evidenziando gli strumenti che il nostro sistema normativo offre al lavoratore per tutelarsi. In particolare, poi, si affronteranno i rapporti tra tale istituto e le recenti leggi di riforma della categoria dei segretari comunali. Infatti, anche se può sembrare quantomeno anomalo ipotizzare un "rapporto" tra istituti legislativi, che rappresentano il tessuto normativo attraverso cui si articola, fisiologicamente, un sistema, e un fenomeno patologico, qual è il mobbing, rappresentativo della disfunzione del sistema stesso, si dimostrerà come, al contrario, tra le righe di apparenti precise disposizioni normative vi siano grandi spazi di incertezza che possono costituire il fertile terreno per il proliferare di tale inquietante e mortificante fenomeno.

2. - Il mobbing: definizione, tipologie e comportamenti mobbizzanti: gli effetti del mobbing sull’individuo, sia nella sua accezione di persona, che sul suo status di lavoratore.

L’estromissione dal mondo del lavoro attraverso la pratica del mobbing, che è definita ufficialmente dall’Associazione contro lo stress psico-sociale ed il mobbing (3) "una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo di tempo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro. Questo processo viene percepito dalla vittima come una discriminazione", può articolarsi attraverso diverse forme. Si distingue, infatti, tra mobbing di tipo "verticale", quando la violenza viene esercitata da un superiore nei confronti di un soggetto subordinato e mobbing di tipo "orizzontale", che si manifesta quando la condotta vessatoria è indirizzata da colleghi nei confronti di lavoratori di eguale qualifica. Le due diverse forme potranno, altresì, essere tanto collettive che individuali, in relazione al numero di soggetti che attivano tale comportamento vessatorio.

Presupposto fondamentale, in ogni caso, perché un lavoratore possa ritenersi mobbizzato, è il decorso del tempo in cui si subiscono le violenze psicologiche che, oltre ad essere continuative e sistematiche, devono protrarsi per un periodo di almeno sei mesi (4).

Il problema centrale è, poi, conoscere le espressioni comportamentali attraverso cui tale pratica può realizzarsi. Infatti, oltre al presupposto di un determinato spazio temporale entro cui, in modo sistematico e regolare, le violenze devono manifestarsi, è necessario individuare in modo preciso la linea di demarcazione tra i normali conflitti che in un luogo di lavoro possono verificarsi e comportamenti, viceversa, indirizzati alla realizzazione di un unico fine che è quello di estromettere un soggetto dal contesto lavorativo in cui egli opera. Alcuni studiosi del fenomeno (5), per tale motivo, hanno elaborato un elenco di comportamenti che, sviluppandosi all’interno di manifestazioni del vivere lavorativo quotidiano, sono il chiaro sintomo, se, si badi, protratti in modo continuativo nel tempo, dell’esistenza di una pratica di mobbing.

Chi opera in un contesto lavorativo, infatti, comunica con altri soggetti, intraprende delle relazioni sociali sviluppando, così, una propria immagine sociale e determinando una propria situazione professionale. Orbene, si ipotizzi il caso in cui ad un soggetto viene limitata costantemente la propria capacità lavorativa e la possibilità di esprimersi, con l’attivazione nei suoi confronti di comportamenti diretti a negargli la partecipazione alla vita lavorativa dell’ente di appartenenza. Tale interruzione di comunicazione tra parti operanti in uno stesso contesto lavorativo, se protratta nel tempo, potrà determinare nei confronti di un soggetto, che è innanzitutto una persona, due effetti negativi: come lavoratore, un isolamento dal contesto in cui egli opera ed una conseguente riduzione delle relazioni sociali che ogni rapporto lavorativo presuppone, con danni alla sua immagine sociale e professionale; come persona, una consequenziale lesione della sua integrità psico-fisica.

Necessaria, infatti, prima di analizzare nel merito gli effetti che una pratica di mobbing può generare nei confronti di un soggetto, è la distinzione tra il concetto di individuo, titolare di uno status di lavoratore (6) e l’ individuo in quanto "persona" a cui diverse situazioni giuridiche autonome potranno essere riferite tra le quali anche quella di lavoratore.

Orbene, se con riferimento all’art. 36 della Costituzione, il lavoro e, dunque, l’avere acquisito lo status di lavoratore, è interpretato come una fondamentale espressione della dignità di una persona, da ciò ne discende che privare di uno status acquisito di lavoratore un individuo significa privarlo della dignità che il lavoro a lui attribuisce.

Il completamento di un soggetto, in quanto "persona", avviene anche attraverso il conseguimento di uno status professionale conquistato, almeno in linea di principio, in relazione alle capacità dimostrate nel tempo e all’impegno manifestato nel corso degli anni. Colpire, dunque, professionalmente un individuo significa offenderlo due volte: sia nella sua accezione di lavoratore, attraverso una limitazione delle sue capacità professionali, sia, ed è consequenziale, nella sua dignità di persona, in quanto lo si priva di ciò che rappresenta una fondamentale manifestazione della propria personalità individuale.

Da ciò ne discende per un soggetto un duplice danno: professionale, poiché non si consente un ulteriore sviluppo della capacità lavorativa; psico-fisico, in quanto la perdita di stima di se stesso o, comunque, in altre circostanze, la compressione e lo svilimento della propria personalità, aggravata dalla consapevolezza della propria capacità e della propria volontà di agire, incide sullo stato di salute di chi si trova, senza sua colpa, emarginato dal contesto in cui ha operato.

Come è stato acutamente osservato (7) tre sono le tipologie di crisi in cui un soggetto potrà cadere: esistenziale, perché si stravolge il modo di essere di un individuo; relazionale, perché lo stravolgimento di un equilibrio può determinare, e normalmente accade nella maggior parte dei casi, il travolgimento di altri equilibri (8); economico, in quanto limitare una capacità di espressione individuale significa fossilizzare una persona in una determinata posizione lavorativa senza possibilità di un suo miglioramento professionale e, dunque, economico.

Di non secondario rilievo, ma di certo subordinato al danno personale che un soggetto riceve da tale aberrante pratica, sono, poi, i riflessi negativi, in termini di efficienza e buon andamento, che il mobbing può comportare all’Ente in cui il soggetto mobbizzato opera.Né è da sottovalutare la spesa sociale che lo Stato, e, dunque, l’intera collettività, può subire, ove vi siano delle ricadute sullo stato psico-fisico del soggetto e queste richiedano delle cure sanitarie o là dove un lavoratore decida di optare, come rimedio estremo ad una situazione lavorativa insostenibile, per un suo forzato pensionamento anticipato.

3. - Rapporti tra mobbing e recenti leggi di riforma delle autonomie locali con particolare attenzione alla figura del Segretario comunale.

Come è stato affermato in precedenza si è ipotizzato un rapporto tra il fenomeno del mobbing e alcune delle disposizioni normative contenute nelle recenti leggi di riforma della categoria dei segretari comunali (9).

Pur se può apparire quantomeno sconcertante un rapporto tra un istituto fisiologico di un sistema, qual è la legge di uno Stato, ed una disfunzione del sistema, che è rappresentato da una pratica vessatoria qual è il mobbing, in questa sede si tenterà di dimostrare che, al contrario, numerosi possono essere i punti oscuri della legge idonei a consentire lo sviluppo di tale fenomeno.

Il rapporto di pubblico impiego, sia statale sia locale, è caratterizzato allo stato attuale da una propensione, sempre più accentuata, verso un sistema di conferimento di incarichi e di funzioni essenzialmente fiduciario. Ciò è il risultato di una precisa volontà legislativa che intende superare l’ormai anacronistica logica verticistica e burocratica, che ha caratterizzato per decenni la pubblica amministrazione, per addivenire a forme di dipendenza lavorativa sostanzialmente funzionale.

Si è assistito, pertanto, in seno alle amministrazioni pubbliche e locali in particolare, ad una inversione di tendenza che ha determinato il venire meno dei numerosi controlli, preventivi e successivi, di legittimità dell’azione amministrativa da parte di diversi organi a ciò deputati per privilegiare, così, forme di azione amministrativa che tendono al risultato e che in base a quest’ultimo sono giudicate.

Questo fenomeno, definito comunemente come "privatizzazione" del pubblico impiego, consente, pertanto, di individuare i soggetti ritenuti più idonei al perseguimento degli obiettivi prefissati da un vertice politico, conferendo loro funzioni e traguardi e attribuendo a loro la responsabilità per il mancato conseguimento degli obiettivi.

La flessibilità che caratterizza le mansioni che i soggetti agenti in seno ad un Ente locale possono esercitare è, quindi, caratterizzata dalla possibilità di attribuire agli operatori funzioni ulteriori rispetto a quelle afferenti alla originaria categoria di appartenenza, con evidente differenziazione tra soggetti operanti nel medesimo Ente, ancorché inquadrati in categorie equivalenti.

La logica teorica presupposta in tale opzione legislativa è sicuramente quella di favorire l’efficienza e trarre il massimo vantaggio dalle potenzialità insite in soggetti ritenuti particolarmente idonei professionalmente che, viceversa, potrebbero non essere impiegati nella totalità delle loro capacità. La prassi, tuttavia, insegna che tale facoltà concessa dalla legge è facilmente impiegabile da parte dei soggetti destinatari di tali prerogative per fini diversi, quali il conseguimento di un consenso politico, soprattutto in piccoli enti. Ma è ormai un dato acquisito e, pur se criticabile, va accettato.

Diverso è il discorso ed assume, dunque, toni più delicati, allorquando la legge non si limita a prevedere la facoltà di potere assegnare ai dipendenti dei compiti ulteriori, ma disciplina le funzioni che, ope legis, spettano ad un soggetto, per il solo fatto che è titolare di uno status professionale acquisito, in modo da essere facilmente eludibili e sostanzialmente non richieste. Il riferimento è alle funzioni del Segretario comunale, così come indicate nelle recenti leggi riformatrici tale figura. Dalla lettura congiunta dei principali testi normativi disciplinanti le funzioni del Segretario, quali la legge 15 maggio 1997, n. 127, il regolamento adottato con il D.P.R. 4 dicembre 1997, n. 465, e la legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, oggi confluite nel testo unico enti locali, è possibile distinguere tra funzioni indefettibili e funzioni eventuali riferibili al Segretario di un Ente.

4. - Opportunità di una corretta interpretazione delle funzioni c.d. "indefettibili" del Segretario comunale a seguito delle leggi di riforma della categoria.

Tralasciando le funzioni eventuali, che possono essere attribuite a tale professionista, particolare attenzione meritano le funzioni cosiddette indefettibili riconosciute dalla legge al Segretario comunale.

Esse possono così riassumersi:

funzioni generali di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti;

partecipazione, con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta con funzione verbalizzante;

funzioni rogatorie;

funzioni di sovrintendenza e coordinamento nei confronti dei dirigenti o dei responsabili di uffici e dei servizi, in assenza di un direttore generale;

espressione dei pareri ove siano assenti responsabili dei servizi, in relazione alle sue competenze.

Come è facile intuire, considerato che quasi tutte le funzioni del Segretario, ancorché obbligatorie, sono esercitate, in una situazione fisiologica dell’Ente locale, fondamentalmente "su impulso di parte", sia essa politica che gestionale, in quanto, normalmente, l’attività di collaborazione e di assistenza, così come la funzione di coordinamento e di sovrintendenza dei dirigenti, necessitano di un impulso che coinvolga tale soggetto nella vita dell’ente, il Segretario comunale è, forse, il soggetto più esposto ad una eventuale attività diretta a mobbizzarlo. Da qui la necessità di chiarire ed interpretare esaustivamente le sue funzioni ed il corretto modo di esercizio delle stesse, perché diverse potranno essere le realtà in cui tale organo (10) potrà esercitare la sua azione.

Più precisamente, potremo distinguere due situazioni lavorative in cui può trovarsi un Segretario.

L’una caratterizzata da un rapporto con la classe politica e l’apparato burocratico dell’ente ottimale ove il Segretario sarà elemento centrale e fondamentale nell’azione amministrativa dell’Ente locale, un punto di riferimento per gli organi politici e gli organi gestionali e di raccordo tra gli stessi; un’altra in cui, viceversa, venuto meno un equilibrio in seno ad un Ente, il Segretario comunale non risulti più gradito all’amministrazione. Orbene, in tale caso la legge, così come formulata, offre tutti gli strumenti a chi intende creargli una profonda situazione di disagio che – nell’impossibilità da parte degli amministratori di allontanare tale organo necessario dall’Ente autonomamente (11) – o lo induca ad abbandonare il proprio ambito lavorativo di sua iniziativa, o lo esponga a provvedimenti di revoca i cui presupposti sono stati artatamente costruiti.

Infatti, se "mobbizzare" significa svuotare di contenuto professionale un soggetto, o comunque rendere un rapporto lavorativo di complessa gestione, le recenti disposizioni normative di riforma della categoria, così come formulate, ben si prestano all’esercizio di una tale pratica vessatoria se non interpretate correttamente.

Come anticipato, in via generale, le articolazioni del mobbing possono essere "verticali" ed "orizzontali", a seconda del rapporto lavorativo intercorrente tra i soggetti che esercitano tali comportamenti vessatori e il destinatario di tale attività. Ne consegue che anche nei confronti di un Segretario non più gradito è ipotizzabile una strategia persecutoria o "dal basso" oppure da parte di chi è nell’esercizio delle sue funzioni in una posizione lavorativa paritaria, ancorché afferente ad una sfera di azione diversa. Considerato, poi, che il mobbing si manifesta in modo strisciante, subdolo e spesso è difficilmente comprensibile, perché discriminante e diretto a creare una forma di autocolpevolizzazione da parte del soggetto che lo subisce, è necessario individuare i diversi comportamenti attuativi dello stesso per conoscerlo e – consapevolmente – affrontarlo.

Il mobbing "verticale" potrebbe aversi allorquando nei confronti del Segretario di un Ente i dipendenti, i funzionari e i dirigenti concretamente ostacolano il suo operato. Diversi possono essere i comportamenti attuativi di tale azione di svilimento professionale. Si pensi ad azioni mobbizzanti dirette a sobillare i dipendenti contro di lui; alla raccolta di firme contro di lui con accuse infondate, ad esempio, di incompatibilità ambientale; al parlargli in modo ostile e non gentile; al provocarlo per indurlo a reagire in maniera incontrollata in modo che si possa poi successivamente accusarlo del suo comportamento; a non dare alcuna risposta alle sue richieste verbali e scritte; al rifiutarsi di lavorare con lui; al rifiutarsi di eseguire i suoi ordini; al considerarlo responsabile di errori fatti da altri; al non fornirgli informazioni importanti per lo svolgimento del proprio lavoro creandogli così dei problemi; a porlo dinanzi a delle realtà già decise che riguardano sfere di sua competenza senza previamente ascoltarlo; a prendere delle decisioni senza interpellarlo nonostante egli abbia il diritto di decidere con gli altri; ad evitare qualsiasi rapporto interpersonale e lavorativo per ostacolare qualunque attività di coordinamento e di sovrintendenza.

In ordine, poi, al mobbing "orizzontale", i comportamenti attraverso cui esso può manifestarsi possono così riassumersi: evitare qualsiasi suo coinvolgimento nelle procedure in cui egli deve manifestare la sua attività di consulenza, assistenza, e collaborazione fattiva; rifiutare, per principio, tutte le proposte da lui avanzate o accusarlo di non essere propositivo; togliergli qualsiasi possibilità di attività o di influenza o, viceversa, affidargli sempre nuovi e pressanti compiti lavorativi, così da rendere impossibile la loro realizzazione e accusarlo di essere poco efficiente.

Questi sono solo alcuni esempi di come può concretizzarsi una attività persecutoria nei confronti di un Segretario comunale per indurlo ad abbandonare autonomamente la sua sede lavorativa o per creare i presupposti per un eventuale atto di revoca dal suo incarico, o, ancora, per evitare qualsiasi sua ingerenza in ordine alla legalità a cui deve uniformarsi l’azione amministrativa di un Ente locale.

A tal punto potrebbe obiettarsi che ciò può essere perpetrato nei confronti di chiunque operi in qualsivoglia azienda o Ente pubblico, indipendentemente dall’essere un Segretario comunale.

Pur nella verità di tale assunto bisogna, tuttavia, considerare alcuni dati di fondamentale importanza.

In primo luogo, come detto, il difficile esercizio, ove sia assente un impulso di parte, della sua azione all’interno di un Ente, almeno alla luce di alcune interpretazioni delle disposizioni normative che disciplinano l’esercizio delle sue principali funzioni cosiddette "indefettibili".

Poi, la fiduciarietà del rapporto tra Segretario e Sindaco e la precarietà insita in qualsiasi vincolo fiduciario, considerata la variabilità del comportamento umano, con l’aggravante, tuttavia, che, mentre i rapporti fiduciari tra organi politici e altri operatori in seno all’Ente locale possono essere, in forza dell’autonomia contrattuale che li disciplina, più flessibili e meno vincolanti, al contrario, per lo scioglimento del rapporto di servizio con il Segretario, decorsi i termini di legge per una eventuale mancata conferma (12), l’unico rimedio per l’interruzione del rapporto lavorativo con tale figura professionale è un provvedimento di revoca che, in forza della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, equivale ad un licenziamento e, pertanto, deve essere giustificato.

In terzo luogo, il difficile compito di raccordo ed equilibrio tra organi politici e apparato burocratico che il Segretario di un Ente deve esercitare e che lo espone, sovente, ad una facile imputazione di responsabilità per confusioni politico-amministrative pur se essa è generata dalla inefficienza di altri operatori o da loro incompetenze o da eventuali conflitti politici tra amministratori di un Ente.

Questa analisi del fenomeno non ha lo scopo, dunque, di rappresentare una mera enunciazione pessimistica del rapporto tra Segretario e diversi organi dell’Ente locale, bensì ha come obiettivo di evidenziare che tali situazioni sono concretamente verificabili e, così come è stato avviato da più parti un processo di sensibilizzazione verso il fenomeno mobbing, è corretto anche evidenziare i riflessi che lo stesso può avere per organi di vertice di un Ente locale.

Tanto premesso, analizzati, dunque, i diversi comportamenti attraverso i quali può manifestarsi una attività di mobbing ed evidenziata la particolare esposizione del Segretario comunale a tale condotta, è necessario ricercare i rimedi che il nostro sistema giuridico offre al lavoratore in generale ed in particolare al Segretario comunale, per tutelarsi ove si ritiene siano state intraprese azioni vessatorie nei suoi confronti.

A tale fine potrà distinguersi tra una difesa preventiva, una tutela in corso di rapporto di lavoro e una tutela successiva alla cessazione forzata del rapporto di lavoro stesso da attivarsi in sede giurisdizionale.

In via generale la più opportuna strategia di difesa è la consapevolezza preventiva, da parte di qualsiasi lavoratore, dell’esistenza di tale fenomeno. La previa conoscenza di tale pratica vessatoria consente di prevenire l’insorgere di essa o quanto meno di avvertirla nel momento in cui tende a manifestarsi. Ciò, tuttavia, non esime da tale conoscenza anche gli stessi sindacati che hanno il doveroso compito di sensibilizzare i propri iscritti circa l’esistenza del fenomeno mobbing, per consentire, così, una attività di intervento non solo di difesa successiva, bensì anche preventiva.

Tornando nuovamente al caso specifico del Segretario di un Ente locale è doveroso che egli conosca l’esistenza di tale strategia, sia perché egli stesso può essere, come detto, facilmente oggetto di una tale attività persecutoria, e la sua conoscenza gli consentirà di approntare tutti gli strumenti che la legge e gli atti normativi, se correttamente interpretati, pongono a sua disposizione per contrastarla, ma anche perché egli potrà, soprattutto nella fase di coordinamento e sovrintendenza dei dirigenti o responsabili dei servizi, essere il soggetto maggiormente deputato ad intervenire ove tale fase di conflitto si presenti tra altri operatori. Non è infrequente che interessi divergenti, motivati dalle più diverse cause, possano generare conflitti tra dirigenti, funzionari e dipendenti: spesso in un ambiente lavorativo si tende ad affermare il proprio potere e la propria supremazia gerarchica nei confronti di altri non per sanare situazioni di sviamento di funzioni, ma per compensare problemi e insoddisfazioni sorte in occasioni diverse e che trovano il loro sfogo in una superfetazione della propria persona.

Ove, invece, è nel corso del rapporto di lavoro che emergono azioni dirette a svilire il lavoratore, la gestione di tale condotta è, per chi la subisce, molto più complessa e richiede lucidità, attenzione e anche una strategia nella conduzione del rapporto lavorativo stesso.

In via generale è fondamentale per il mobbizzato la precostituzione di una documentazione idonea a provare, in una eventuale sede di giudizio dinanzi ad un giudice, l’esistenza di un costante comportamento vessatorio nei propri confronti. È, dunque, necessario, ove il mobbing tenda a manifestarsi attraverso condotte dirette ad isolare un soggetto dal contesto lavorativo in cui opera, che questi evidenzi con atti scritti la propria volontà di volere partecipare alla vita lavorativa dell’ente, di essere parte attiva e diligente nei confronti di chi, ad ogni livello e grado, è in un dato momento il referente per la continuità di un’azione amministrativa o per la conduzione a termine di una determinata pratica; che dimostri, dunque, la propria presenza lavorativa, non in modo invasivo, né tanto meno con atteggiamenti di pietismo o atti collerici, in quanto ciò si potrebbe riflettere contro di lui favorendo, così, l’azione di chi vuole dimostrare che è il mobbizzato l’elemento di disturbo e di incompatibilità che determina il cattivo andamento nella gestione di un Ente.

Analizzando, nuovamente, il caso di una attività mobbizzante nei confronti di un Segretario comunale, è pur vero che le funzioni di collaborazione e di assistenza sono attivate, normalmente, su impulso di parte, così come l’attività di sovrintendenza e coordinamento dei dirigenti o dei responsabili dei servizi è resa concreta da una attività di collaborazione dinamica tra i dirigenti/responsabili ed il Segretario.

Tuttavia non è da dimenticare che tali funzioni sono ope legis attribuite al Segretario di un Ente.

Pertanto, in situazioni di mancata sollecitazione dell’intervento o di mancata collaborazione, il Segretario potrà e dovrà invocare la legge per la concreta attivazione di tali sue funzioni in modo da contrastare una eventuale azione di mobbing esercitata da altri operatori nei suoi confronti e ripristinare un eventuale equilibrio funzionale che si intende turbare.

Più precisamente, se la funzione referente e consultiva è attribuita alla titolarità del Segretario che può esercitarla anche autonomamente (13), egli avrà il diritto, oltre che il dovere, di intervenire, soprattutto ove ne ravvisi la necessità, in caso di azioni amministrative di dubbia legittimità, per evidenziare un suo intervento di collaborazione e di assistenza, che lo esima, altresì, da eventuali future responsabilità omissive di cui potrebbe essere chiamato a rispondere (14).

Infatti, se il Segretario è figura necessaria in seno ad un Ente, questa necessità della figura ha un senso solo se realmente finalizzata a garantire sia la conformità alla legge, allo statuto e ai regolamenti dell’azione am-ministrativa, che è presupposto fondamentale per l’efficacia ed il buon andamento della stessa, e sia, in assenza di un direttore generale, il coordinamento dell’azione di un Ente, che si sviluppa attraverso più centri di imputazione dell’attività di un amministrazione locale.

Non può, per tale motivo, condividersi l’opinione (15), ancorché autorevole, di chi ritiene che la collaborazione e l’assistenza del Segretario è concretamente effettuata solo se vi è un effettivo coinvolgimento di tale soggetto nella vita dell’ente da parte dei suoi referenti politici e burocratici. Tale interpretazione, fondata sulla distinzione tra le funzioni generali di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente e specifici compiti di partecipazione con funzioni consultive, referenti e di assistenza, anche per la verbalizzazione, alle riunioni del consiglio e della giunta, ritenendo solo quest’ultima attività, insieme alle funzioni rogatorie, il vero contenuto minimo delle funzioni del Segretario, decreta, sostanzialmente, una desolante fine della categoria che né la prassi, né tanto meno la legge sembrano confermare.

Le disposizioni normative devono essere interpretate ricercando la ratio legis che ha indotto il legislatore a formularle. E ciò spesso si realizza solo attraverso una lettura sistematica delle stesse.

Orbene, la prima e generale funzione del Segretario è lo svolgimento di compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi di un Ente.

Gli organi di un Ente, è evidente, si distinguono in "politici", e "gestionali", rientrando nella prima definizione il Sindaco, la Giunta ed il Consiglio e nella seconda tipologia i dirigenti o comunque i soggetti agenti responsabili della gestione amministrativa.

Come si esplica, dunque, questa generale funzione di collaborazione e di assistenza nei confronti degli organi di un Ente locale? Nei confronti degli organi politici, nelle sedi in cui essi manifestano una volontà deliberante, dunque, nel corso delle riunioni consiliari o di Giunta, ove la verbalizzazione del Segretario rappresenta solo il passaggio ulteriore e finale di un formale inquadramento in un atto della volontà di un organo politico, rispetto alla primaria funzione di assistenza giuridico-amministrativa che deve garantite la conformità dell’azione amministrativa alla legge e agli atti normativi interni di un Ente. Nei confronti dell’apparato burocratico, attraverso lo svolgimento di una attività di sovrintendenza delle funzioni dei dirigenti e/o dei responsabili degli uffici e dei servizi. È infatti consequenziale che se la presenza del Segretario è imposta dalla legge per garantire la legalità dell’azione di un Ente, nel momento in cui egli dovrà coordinare e sovrintendere allo svolgimento di una azione amministrativa da parte di diversi agenti operanti in seno ad un Ente locale, lo farà correttamente solo se tale azione, posta in essere dagli organi di gestione, è, oltre che coordinata, altresì conforme alla legge, allo statuto e ai regolamenti.

Pertanto, nel presupposto della necessaria presenza in seno ad un Ente del Segretario comunale (16), della indefettibilità dei suoi compiti di collaborazione, di assistenza, di coordinamento e sovrintendenza (17), da intendersi come funzioni esercitabili non solo su impulso di parte, ma anche su iniziativa del Segretario, ove egli ne ravvisi la necessità, ai fini di garanzia della legalità dell’azione amministrativa, la doverosità di un suo coinvolgimento è garantita dalla legge sia in sede di riunioni del Consiglio e della Giunta, sia nel momento in cui si esplica quella attività di coordinamento e sovrintendenza dei dirigenti e/o dei responsabili di un servizio che la stessa legge impone al Segretario (18).

Ne emerge, pertanto, un duplice ruolo del Segretario: di garante della legalità dell’azione di un Ente, ove essa sia esercitata dagli organi politici e di garante, sempre che non si opti per la presenza di un direttore generale, di una azione coordinata e legittima, dell’attività che l’apparato burocratico intende realizzare.

Ciò che, dunque, in tale sede, è importante ribadire, è che tali funzioni di garanzia e di coordinamento potranno essere esercitate su istanza delle parti interessate, ma anche autonomamente. La consapevolezza di tale dovere di intervento è fondamentale perché, oltre a salvaguardare da eventuali future responsabilità il Segretario (19), è l’unica strategia di difesa che questa figura professionale ha per evitare stravolgimenti delle sue funzioni, del ruolo a lui conferito dalla legge e per condurre ad unicità la figura del Segretario che è, nelle sue funzioni indefettibili, un’unica tipologia professionale, mentre potrà variare solo per compiti accessori ed eventuali.

Optare per soluzioni interpretative contrarie, ritenendo che esistono i segretari comunali (20), che variano a seconda delle funzioni loro attribuite e per di più solo se richieste, significa svilire professionalmente, attraverso interpretazioni legislative particolarmente penalizzanti, una categoria che affronta, oggi, un arricchimento delle sue tradizionali funzioni.

Alla luce, dunque, di questa interpretazione del ruolo e dei compiti del Segretario, ove tale operatore, ma il discorso è valido per tutte le tipologie di lavoratori, sia privato delle sue indefettibili funzioni, egli dovrà avere la cura di documentare la impossibilità di svolgerle correttamente, perché è in atto una attività demolitrice del suo status lavorativo, così come, ove tale disagio comportasse anche delle disfunzioni del proprio stato psico-fisico, sarà opportuna la raccolta di tutti gli elementi probatori che potranno, successivamente, dimostrare un subito danno biologico.

5. - Riferimenti legislativi e mezzi di tutela contro le vessazioni sul luogo di lavoro.

Il danno biologico consente di introdurre un ulteriore argomento: gli strumenti legislativi che il nostro sistema offre per contrastare, in sede di un eventuale giudizio, tale comportamento vessatorio. Se in precedenza si è detto dei mezzi di tutela preventiva o di una possibile modalità comportamentale diretta ad ostacolare o quanto meno a predisporre la documentazione necessaria per dimostrare successivamente – in sede giurisdizionale – la presenza di una condotta di mobbing di cui si è stati il destinatario, un cenno meritano le norme giuridiche che rappresentano dei validi strumenti di difesa e di tutela contro le violenze morali sul luogo di lavoro.

In primo luogo è da richiamare l’art. 32 della Costituzione. Oggi la corretta accezione del diritto alla salute presuppone – delimitando l’ambito di applicazione del disposto costituzionale alla tutela del lavoratore – che a questi venga garantita la sua integrità psichica, oltre che fisica, attraverso un ambiente salubre in cui deve svolgersi la sua personalità. Orbene, la salubrità dell’ambiente, invocata di frequente per la tutela della salute da agenti esterni che possono alterare le condizioni fisiche di un individuo, deve essere considerata, per una sua più completa definizione, anche come assenza di disagio nell’ambiente in cui un soggetto opera, qual è lo spazio lavorativo in cui si esercita la propria attività. Pertanto, una lettura congiunta dell’art. 32 della Costituzione e dell’art. 2043 c.c., consentirà di invocare un risarcimento del danno per la lesione della propria integrità psico-fisica generata da una condotta vessatoria esercitata nei propri confronti. Considerato, poi, che spesso a tale condotta si accompagna, altresì, una dequalificazione professionale, è sicuramente ipotizzabile per il danneggiato anche un ulteriore danno professionale che è complementare e non assorbito dal danno subito a seguito della lesione della propria integrità psico-fisica.

È ormai, infatti, pacifico in giurisprudenza l’orientamento per cui il danno biologico è rilevante in quanto tale e indipendentemente dalla prova di ulteriori danni morali e/o patrimoniali che, ove dimostrati, sono autonomamente risarcibili (21).

Ove ad una condotta di mobbing segua, poi, anche un allontanamento dalla propria sede lavorativa, sia esso di propria iniziativa o perché imposto da un provvedimento di licenziamento, sarà sicuramente ammissibile dimostrare il nesso causale tra l’abbandono del posto di lavoro e tale pratica vessatoria al fine di ottenere, oltre che il ristoro economico per gli eventuali danni patrimoniali subiti, la reintegrazione nel proprio originario posto di lavoro (22).

Alcuni studiosi (23) del fenomeno mobbing hanno, altresì, ipotizzato alcune conseguenze penali che da tale fenomeno possono discendere, così come è di rilevante importanza segnalare la sentenza n. 475 del 19 gennaio 1999 per la particolare interpretazione estensiva delle condotte che possono essere fonte di risarcimento del danno. La Cassazione ha, infatti, ritenuto che anche una condotta astrattamente lecita può essere fonte di risarcimento del danno ove essa in concreto realizzi un particolare comportamento persecutorio nei confronti di un lavoratore. Un danno biologico, un danno alla capacità lavorativa, un danno morale ed un danno patrimoniale possono, per il Supremo giudice, essere cagionati anche da un comportamento che realizzi l’esercizio di un diritto se questo avviene attraverso un comportamento vessatorio. Si è assistito, pertanto, ad una allargamento del tradizionale concetto di "fatto" produttivo di responsabilità civile che, ai sensi dell’art. 2043 c.c., deve concretizzarsi in una condotta illecita dolosa o colposa: anche un fatto lecito, qual è l’esercizio di un diritto, può, se esercitato con finalità vessatorie, tradursi in un danno risarcibile a favore del destinatario di tale condotta.

Sono da individuare, infine, i soggetti che potranno ritenersi responsabili di una condotta di mobbing. Sicuramente il danno biologico sarà addebitato, in maniera personale e diretta, al responsabile della condotta lesiva dell’integrità psico fisica del lavoratore. Ciò, tuttavia, secondo quanto disposto dagli artt. 2049 e 2087 del c.c., non esime da eventuali responsabilità anche il datore di lavoro. Su di lui grava un preciso obbligo: tutelare il lavoratore adottando tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, pur se i danni sono esercitati da altri preposti nell’esercizio dei compiti a cui sono adibiti (24).

Tale è il motivo per cui nella citata prima sentenza in tema di mobbing è stato chiamato a rispondere di comportamenti vessatori perpetrati da altri nei confronti di una lavoratrice, il datore di lavoro. Egli rappresenta colui che deve garantire l’integrità psico-fisica dei dipendenti, sia direttamente con un suo corretto comportamento, sia attraverso l’impedimento di comportamenti vessatori, aggressivi e mortificanti, ove essi siano realizzati da parte di suoi preposti.

stefano glinianski

 

 

NOTE

(1) Sul tema mobbing cfr. Trib. Torino, Sez. lav., 16 novembre 1999. La sentenza, la prima di condanna al risarcimento del danno biologico subito da una dipendente mobbizzata e trasmessa, poi, alla procura della repubblica per la valutazione degli aspetti penali del caso, è di rilevante interesse in quanto, applicando l’art. 115 c.p.c. e, dunque, le circostanze appartenenti al "fatto notorio", "acquisito alle conoscenze della collettività in modo da non esigere alcuna dimostrazione in giudizio", richiama, testualmente, il fenomeno del mobbing. Esso viene definito come un comportamento che si realizza attraverso una ripetizione di pratiche dirette ad isolare il lavoratore dall’ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; una pratica, si aggiunge, il cui effetto è di intaccare gravemente l’equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in se stesso e creando delle distorsioni capaci di incidere pesantemente sulla sua salute individuale. Alla luce di tale definizione del mobbing e ritenuto, nel caso di specie, il diretto collegamento tra le condotte vessatorie perpetrate nei confronti del lavoratore e le lesioni alla integrità psico-fisica subite dal prestatore stesso, il Tribunale ha disposto il risarcimento del danno biologico medio tempore procurato al ricorrente a carico del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. in quanto questi, ove sia a conoscenza dell’esistenza di un tale fenomeno nella sua azienda, è tenuto a garantire l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti, pur se la condotta lesiva non è stata realizzata da lui direttamente, bensì da suoi preposti.

(2) A. Ascenzi-Gian Luigi Bergagio, "Il Mobbing". Il Marketing sociale come strumento per combatterlo, Giappichelli, Torino, 2000, pag. 45.

(3) H. Ege, Mobbing, Pitagora Editrice, Bologna, 1996.

(4) Requisito temporale sostenuto in Svezia ove è previsto il reato di mobbing.

(5) Heinz Leymann ha elaborato un elenco di 45 comportamenti da distinguersi in 5 categorie denominato "LIPT". I tedeschi Carmen Knorz e Dieter Zapf dell’Università di Costanza a tale primo elenco hanno, poi, ritenuto opportuno aggiungere altri 39 esempi di comportamenti mobbizzanti desunti da interviste realizzate a persone che hanno subito direttamente tali vessazioni.

(6) Lo status, esprimendo una sistuazione giuridica soggettiva autonoma, tutelata in quanto tale, perché ad essa sono riferibili diritti ed obblighi, comporta che la perdita di esso determina un effetto caducante anche dei diritti e degli obblighi ad essa riferibili.

(7) Ascenzi-Bergagio, op. cit., sulla base della relazione della dott.ssa Marisa Lieti della ASL TA/1 svolta al seminario: Ambiente di lavoro e disagio psichico: cause e rimedi, Taranto, 6 novembre 1999.

(8) Si pensi all’equilibrio familiare e, dunque, affettivo, che facilmente potrà essere sconvolto in quanto la famiglia rappresenta, spesso, il luogo ove le proprie frustrazioni, cagionate da fattori esterni, trovano il loro naturale sfogo.

(9) Oggi confluite nel recente testo unico degli enti locali, artt. 97-106.

(10) Contrario alla definizione del Segretario comunale come organo dell’Ente locale, in quanto egli assiste gli organi e, pertanto, non potrebbe essere tale: E.M. Marenghi, La funzione di assistenza agli organi istituzionali, in "Nuova Rassegna", 2000, n. 10, pagg. 1077 e segg.

(11) La legge, infatti, dispone che il Comune e la Provincia hanno un Segretario.

(12) In ordine ai provvedimenti di nomina e di mancata conferma è da evidenziare, altresì, come la giurisprudenza amministrativa, di recente, abbia interpretato in senso restrittivo la mancanza di un obbligo di motivazione di tali atti. In tal senso cfr. T.A.R. Lazio, Sez. I-ter, sentenza 5 luglio 2000, n. 5511. Il collegio giudicante, affrontando il delicato e controverso tema della necessità o no di motivare la mancata conferma del Segretario in carica e, conseguentemente, anche la nomina del nuovo Segretario, ritiene che le modalità di sostituzione di un Segretario devono essere in ogni caso valutate non solo alla stregua della legge n. 127/1997 e del regolamento di attuazione di cui al D.p.r. n. 465/1997, bensì anche nel rispetto di tutti i principi e gli istituti esistenti nell’ordinamento e, in particolare, delle norme di rilevanza costituzionale. In forza di questa premessa e del principio costituzionale dell’imparzialità e del buon andamento a cui deve uniformarsi l’azione amministrativa, principi il cui controllo è garantito dalla motivazione degli atti, i giudici ritengono che, escludendo la natura politica di un atto di scelta di un funzionario o di una mancata sua conferma, questi provvedimenti amministrativi non possono sottrarsi dall’obbligo generale di motivazione, in quanto derivanti da un’autorità amministrativa nell’esercizio di una pubblica potestà. Il rispetto dei principi costituzionali richiamati è, poi, rafforzato dalla ulteriore circostanza che il provvedimento di non conferma arreca una lesione alla posizione del dipendente pubblico, alla sua sfera morale ed al suo status, per gli effetti economici negativi che da essa discendono.

(13) Tale è l’orientamento che si rileva dalla circolare del 15 luglio 1997, n. 18/1997, e che in tale sede si ritiene di condividere. La circolare sulla funzione di consulenza e di collaborazione del Segretario dispone che essa: "si inserisce in un discorso più ampio sull’azione amministrativa … non più legata all’adozione di singoli atti, ma vista nel suo complesso e finalizzata al raggiungimento degli obiettivi di cura del pubblico interesse ... esercitata secondo criteri di economicità ed efficacia, in attuazione del principio di buon andamento della p.a. Orbene, l’attività del Segretario, nel nuovo ordinamento, è diretta ad assicurare che la cosa pubblica sia gestita in conformità a tali criteri, non più in un’ ottica di controllo dei singoli atti, bensì di collaborazione con gli organi dell’Ente… Dal punto di vista contenutistico, le funzioni di assistenza e collaborazione comprendono qualsiasi tipo di attività idonea al fine di garantire il rispetto dei criteri suddetti; esse saranno esercitate non solo a richiesta degli organi istituzionali, ma anche su iniziativa del Segretario, e potranno essere esternate in qualsiasi forma, pure quella scritta… Il Segretario, pertanto, potrà intervenire sia nella fase procedimentale di formazione degli atti, sia nella fase decisionale, a richiesta o di propria iniziativa, a proposito di tutti gli aspetti giuridici legati ad un più efficace raggiungimento del fine pubblico".

(14) In tema di responsabilità di organi proponenti, consulenti e controllori, ved. nota 19.

(15) In tal senso è la tesi sostenuta da M.Clarich e D. Iaria, La riforma del pubblico impiego, Maggioli, Rimini, 2000, pagg. 275 e segg. Gli autori, nel presupposto che l’attività fondamentale del Segretario di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa può concretamente realizzarsi "solo se, nello specifico, lo statuto e il regolamento ne dispongano il coinvolgimento nelle diverse procedure e/o solo se in concreto gli organi ne sollecitano poi l’intervento".

(16) L’art. 97, comma 1, del testo unico degli enti locali così dispone: "Il Comune e la Provincia hanno un Segretario".

(17) Anche in relazione alle funzioni di coordinamento e sovrintendenza dei dirigenti e/o dei responsabili degli uffici e dei servizi di un Ente, la legge affida testualmente questa funzione al Segretario. L’eventualità dell’esercizio di tale compito non è nella richiesta o no di essere sovraintesi o coordinati da parte dei dirigenti, ma solo ed esclusivamente nella facoltà concessa al Sindaco di attribuire al direttore generale questa funzione esclusivamente gestionale.

(18) Pertanto, non può condividersi la necessità di una specifica previsione statutaria o regolamentare che disponga il coinvolgimento nelle varie procedure del Segretario. Le funzioni di collaborazione e di assistenza discendono direttamente dalla legge e gli atti di normazione secondaria potranno disciplinare le modalità, i tempi e i procedimenti attraverso cui tale attività potrà esplicarsi. Se, viceversa, le funzioni del Segretario non sono volontariamente attivate, perché vi è un preciso disegno per emarginarlo dalla vita amministrativa dell’ente, allora sarà necessario, e lo stesso Segretario dovrebbe esserne il promotore, specificare, attraverso normative di dettaglio, il concreto suo coinvolgimento nelle procedure.

(19) Come è stato autorevolmente affermato, la condotta illecita rilevante in una visione sostanziale non è soltanto quella di chi ha formalmente adottato l’atto, ma anche di chi ha reso possibile che l’atto stesso venisse adottato o venisse portato ad esecuzione, quindi da chiunque sia stato coinvolto in veste di proponente, consulente o controllore. In tale senso, cfr. F. Staderini, Nuove attribuzioni e responsabilità dei segretari comunali e provinciali, in "Nuova Rassegna", 2000, n. 10, pag. 1075.

(20) Cfr. M. Clarich-D. Iaria, op. cit., pag. 275.

(21) Cfr. Corte di cassazione, 24 gennaio 1990, n. 411: il bene della salute come tale costituisce oggetto di autonomo diritto primario assoluto, sicché il risarcimento della sua lesione non può essere limitato alle conseguenze che incidono solo sull’idoneità a produrre il reddito, ma deve autonomamente comprendere il danno biologico, inteso come menomazione della integrità psico-fisica della persona in sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua dimensione, che non si esaurisce nell’attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali riguardanti il soggetto nel suo ambiente di vita ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica. Sul tema, cfr. ancora: Corte di cassazione, 30 gennaio 1990, n. 645; Corte di cassazione, 23 giugno 1990, n. 6366, 1991, I, 40, nonché Corte di cassazione, 10 marzo 1990, n. 1954, 1991, 643, ove si afferma: "il danno biologico e quello patrimoniale attengono a due sfere distinte di riferimento, il primo riguardante il così detto diritto alla salute ed il secondo attinendo alla capacità di produrre reddito, talché il giudice deve procedere a due distinte liquidazioni e può scegliere per ciascuna di esse il criterio che ritiene più idoneo in relazione al caso concreto...".

(22) Di rilevante importanza è l’ordinanza del Tribunale civile di Ragusa del 25 febbraio 2000. Il Collegio giudicante, investito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto da un Segretario comunale per essere reintegrato nelle sue funzioni, in quanto revocato con provvedimento sindacale, ha ritenuto che, anche per le pubbliche amministrazioni è ammissibile una tutela reale del lavoratore da parte del giudice ordinario. Infatti, avendo l’art. 68 del D.L.vo 3 febbraio 1993, n.29, attribuito al g.o. il potere di ordinare alla p.a. un facere, in forza di tale disposizione è possibile, previa disapplicazione del provvedimento amministrativo, ordinare al Comune la reintegrazione del Segretario nel proprio posto di lavoro.

(23) Raffaele Guariniello, intervento al convegno "Mobbing, un caso anche italiano", organizzato da "Eurhope", Roma, 8 febbraio 2000. Il relatore espressamente afferma: "il mobbing può causare anche malattie professionali e, quindi, può costituire il reato di lesione personale colposa previsto e punito dall’art. 590 del codice penale".

(24) L’art. 2049 c.c. dispone, infatti, che per gli illeciti compiuti dai propri preposti, nelle incombenze loro affidate, sono responsabili i preponenti. Tale responsabilità è una responsabilità oggettiva per fatto altrui in quanto il risarcimento del danno prescinde da qualunque valutazione della colpa del preponente. Più precisamente, preposto e preponente saranno responsabili solidalmente, per cui il lavoratore danneggiato potrà direttamente convenire in giudizio il proprio datore di lavoro per ottenere il risarcimento del danno subito per fatto di un terzo a prescindere da ogni valutazione della sua colpa. Sul preponente graverà, poi, la dimostrazione della colpa del preposto, che nei rapporti di pubblico impiego deve caratterizzarsi per la sua gravità, per rivalersi su di lui del danno economico che l’obbligo di risarcimento gli ha comportato. Sul tema, ved. Bianca, La responsabilità, Giuffrè, Milano, 1994, pag. 730.