Italia Oggi, 2.2.01

 

E a Firenze i giudici bocciano la società multiservizi

di LUCA CAPECCHI

È illegittima l’operazione di concentrazione delle imprese pubbliche di gestione dei servizi dell'acqua, dei rifiuti e dell'energia, delineata da alcuni comuni della Toscana, compresi, fra gli altri, Firenze, Prato, Pistoia ed Empoli. E questa la decisione cui è pervenuto il Tar della Toscana, con la sentenza n. 25 del 15/1/2001

Il modello gestionale prefigurato prevedeva la costituzione di una società "holding" partecipata dai comuni titolari dei vari servizi pubblici (Publiservizi spa), e di tre società operative interamente partecipate dalla suddetta holding (Publiacqua spa, Publienergia spa e Publiambiente spa), alle quali sarebbe stata affidata la gestione, rispettivamente dei servizi dell'acqua, del gas e dei rifiuti.

Nello specifico, la sentenza del Tar ha annullato la delibera del comune di Campi Bisenzio che approvava l'operazione di concentrazione e affidava il servizio a Publiacqua, nonché la delibera dell'assemblea dell'autorità di ambito che aveva autorizzato tale delibera.

La decisione affronta il tema dei servizi pubblici locali e, in particolare, quello del servizio idrico, profondamente innovato dalla legge Galli n. 36/1994, la quale, come noto, prevede il superamento dell'attuale frammentazione gestionale, attraverso l'individuazione di ambiti territoriali ottimali (Ato) per l’organizzazione del "servizio idrico integrato" e l'affidamento della gestione, tendenzialmente, a un unico soggetto gestore per tutto l’ambito.

La Toscana è stata la prima regione che ha avviato l’attuazione della legge Galli, con la prima esperienza operativa posta in essere dall'autorità di ambito n. 4, di cui fanno parte i comuni della provincia di Arezzo e alcuni comuni della provincia di Siena.

Il suddetto modello gestionale è stato ritenuto illegittimo, fra l'altro, per i seguenti motivi.

  1. Non è prevista la partecipazione "significativa" dei privati (le società operative soo partecipate al 100% dalla holding, a sua volta partecipata per oltre il 99% dai Comuni), mentre, secondo il Tar, le società per la gestione dei servizi pubblici locali di cui all’art. 22 legge 142/90 (ora art. 113 Tuel) devono essere necessariamente partecipate dai privati, in quanto "il ruolo e il peso della presenza del privato sono una prerogativa della forma data dalla società di capitali rispetto alle altre forme indicate dall'art. 22".
  2. Il Tar individua le caratteristiche che deve avere il privato, precisando, da una parte, che il privato non può limitarsi al mero sostegno finanziario, in quanto "il ruolo non può essere che quello dell'apporto fattivo e costruttivo della professionalità e mentalità di un socio tecnico (ossia imprenditore), maturate nelle esperienze acquisite in un mercato in cui vige il principio della libera concorrenza"; e, dall'altra parte, che la partecipazione del privato deve essere "significativa" e non "meramente simbolica", cioè "idonea a rendere effettivo l’apporto professionale sopra specificato a tutto vantaggio dell’efficienza, efficacia ed economicità della gestione del servizio".

  3. La presenza di una società holding è "anomala" e non trova corrispondenza nella disciplina legislativa in tema di servizi pubblici locali, che prevede la possibilità di affidare il pubblico servizio soltanto a società costituite o partecipate "direttamente" dall'ente che ne è titolare (nel nostro caso i comuni), mentre la holding non è (non può essere) affidataria del servizio, svolgendo "funzioni di coordinamento dei servizi pubblici affidati ad altre società appositamente costituite".
  4. Non è stato rispettato il principio dell'affidamento del servizio o, in alternativa, della scelta del socio privato mediante una gara pubblica.

Al riguardo, il Tar precisa che il principio dell'affidamento del servizio mediante gara può essere derogato "solo nei confronti delle società cui l'ente locale affidante partecipa direttamente", con la conseguenza che l’affidamento del servizio alle società operative delineate nel modello gestionale criticato dal Tar doveva avvenire mediante gara pubblica.

In ogni caso, prosegue la sentenza, ove si ricorra all’affidamento "diretto" del servizio, la scelta del privato (del "socio imprenditore") deve essere "effettuata in base a un aperto confronto disciplinato da regole predeterminate in ordine in specie ai requisiti economico-finanziari, alle capacità tecniche e anche (occorrendo) alle offerte progettuali funzionali alla migliore gestione del servizio".

La sentenza del Tar è particolarmente significativa perché, affermando il principio della partecipazione "necessaria" del privato scelto mediante gara pubblica, sembra porre un ostacolo giuridico di non scarso rilievo a tutte le operazioni di concentrazione di ex aziende speciali (trasformate in spa ai sensi

dell'art. 17, comma 51, legge n. 127/97) che, almeno di fatto, impediscono o ritardano la "messa in concorrenza" dei servizi pubblici locali; ed è quindi in linea con l’orientamento che emerge in sede comunitaria, secondo il quale la "messa in concorrenza" non può essere sostituita da forme di "privatizzazione" delle attuali gestioni attuate mediante trasformazione in società di capitali.

La sentenza non scioglie tuttavia un altro nodo: quello dell'ammissibilità di una società che gestisca il servizio idrico in un ambito che supera i limiti territoriali dell'Ato e che quindi è partecipata da comuni facenti parte di Ato diversi, soprattutto nel caso in cui detta società gestisca servizi afferenti a più settori, disciplinati da distinte normative (per esempio, la legge Galli per l'acqua e il decreto Ronchi per i rifiuti) e i cui ambiti territoriali di gestione non coincidano (come avviene, in Toscana, per i distinti Ato dell'acqua e dei rifiuti).