ITALIA OGGI 8 NOVEMBRE 2000

EX MUNICIPALIZZATE AI PRIVATI? PURCHE’ RISPETTINO LE COMUNITA’ LOCALI

DI GIORGIO TRIANI

La cessione della Sme, il polo alimentare pubblico dell'Iri, avvenne, all'inizio del processo di privatizzazione, dicendo che non aveva senso che lo stato faccia i gelati. E nemmeno le auto, come in precedenza si era detto con la cessione dell'Alfa Romeo alla Fiat.

Ora però dovremmo chiederci se ha senso che chi fa gelati e automobili si occupi di acqua, gas, trasporti pubblici e nettezza urbana.

La domanda naturalmente prescinde dall'appartenenza a uno dei due schieramenti politici, visto che statalisti e privatizzatori sono presenti sia nell'Ulivo sia nel Polo. Così come dalle contrapposte convinzioni che pubblico sia inefficiente in quanto tale e privato migliore sempre e comunque.

Né è qui in discussione il concetto di servizio pubblico che sempre nell'ultimo decennio è stato completamente depotenziato di senso.

Ciò per effetto dell'annullamento di qualsiasi differenza fra il carattere pubblico o privato di chi eroga o fornisce un prodotto o una prestazione, così come tra il carattere primario o secondario dei medesimi.

Perché è evidente che la prospettiva cambia radicalmente se consideriamo i trasporti e l'acqua/gas/elettricità domestici, al pari della casa, del lavoro e della sanità, dei diritti oppure dei bisogni. Dal momento che i primi devono essere garantiti, anche a chi non può pagarli, mentre i secondi possono essere soddisfatti solo pagandone il prezzo richiesto.

Ma delimitando il discorso ai servizi pubblici, che ora però in ossequio al linguaggio anglo-globalizzante vengono inscritti nel campo delle multi-utilities urbane, visto per esempio che dalle fogne passano i cavi delle telecomunicazioni e le condutture oltre all'acqua possono portare il teleriscaldamento, a sua volta prodotto dalla combustione dei rifiuti, si osserva come nel giro di trent'anni si sia completamento invertito un processo.

Gli specifici e le mission delle aziende pubbliche sono stati infatti ridefiniti e in certi casi perfino stravolti.

Come nei casi dell'Enel, che ha dato vita alla compagnia di telefonia Wind e comprato l'acquedotto pugliese, e della Società delle Autostrade che è entrata nel consorzio di telecomunicazioni Blu.

Ma è a livello locale che dal massimo di presenza pubblica (di amministrazioni comunali e provinciali) anche in ambiti tradizionalmente gestiti da privati (come per esempio le farmacie) si è passati quasi all'abolizione del concetto di azienda municipalizzata. Accorpamenti dei servizi e delle funzioni, centralizzazione, alleanze e fusioni fra le diverse aziende comunali anche di città diverse sono stati i passaggi che hanno portato all'attuale situazione. Alla quotazione in borsa di aziende parzialmente privatizzate (dall'Aem di Milano alla società per l'acqua di Roma, Acea) oppure alla vendita di pacchetti azionari a grandi imprese private (come nel caso dell'Amps di Parma). Ciò nella prospettiva di una prossima e totale privatizzazione. Che non può essere accolta con gli stessi, ancorché opposti, furori ottimistici e acritici che trent'anni fa celebravano il "pubblico è bello".

Piuttosto che di apocalissi bertinottiane, oppure di prossime età dell'oro confindustriali, conviene infatti riflettere seriamente anche sui rischi e non solo sui vantaggi della privatizzazione di beni e servizi sino a ieri pubblici. Anzitutto perché il fenomeno è globale, avviene cioè in tutto il mondo e vede per esempio nel settore dell'acqua, che per inciso sino a poco tempo fa era considerata res nullius, entrare sul mercato grandi gruppi multinazionali (da Suez-Lyonnaise des eaux a Vivendi, da Thames Water a United utilities, da Nestlé a Danone).

Segno appunto che ciò che sino a poco tempo fa costava e rendeva quasi nulla ora è diventato, e sempre più lo sarà, prezioso.

Tanto, appunto, da venire chiamato oro blu, allo stesso modo in cui l'energia elettrica è oro bianco e il petrolio oro nero.

Ma se l'acqua del rubinetto al pari delle fonti minerali verranno presto gestite solo come risorse economiche e non più anche come beni sociali c'è da cominciare a preoccuparsi. Soprattutto quando in parte o del tutto sottratte al controllo locale.

Riuscite infatti a immaginarvi il futuro dell'acqua delle città italiane nel momento in cui, per effetto di normali transazioni finanziarie e borsistiche, fosse nelle mani di aziende aventi sede a Parigi, Londra, Toronto, New York?

Un bene fondamentale per la vita sarebbe non di verso da un qualsiasi prodotto e le nostre reti idriche, al pari delle fonti e dei rubinetti, potrebbero essere lasciati in cattivo stato, perché poco redditizi, oppure dismessi e magari chiusi, se in passivo, come, per citare un recente esempio, ha fatto la Goodyear con lo stabilimento di Latina.

II discorso non cambia se si considerano i trasporti o la nettezza urbana. All'altro capo dell'Europa o addirittura dell'Oceano poco importerà di tenere costantemente ammodernata la metropolitana milanese o la raccolta dei rifiuti nel Parmense, se fosse poco redditizio o troppo costoso oppure conveniente, per lucrare finanziamenti pubblici, lasciare deteriorare strutture, mezzi e impianti.

Nondimeno l'ultima preoccupazione della multinazionale tedesca che ha acquistato e sta acquistando le farmacie comunali di Bologna, Prato e Cremona sarà di venire incontro alle fasce sociali deboli.

Né credo che la necessità di un grande piano di ammodernamento del sistema fognario nazionale (più o meno risalente agli anni 30) sarà presente a un management aziendale che trae grandi profitti dal medesimo facendoci passare cavi e fibre ottiche.

Naturalmente questo quadro a tinte fosche serve solo per ribadire che occorre una forte vigilanza dell'opinione pubblica, delle istituzioni così come delle associazioni e dei cittadini, affinché la privatizzazione dell'acqua, della luce e del gas si traduca in reali vantaggi non solo per il mercato e le imprese, ma anche per i cittadini e gli utenti.

Tenendo sempre fermo il principio che quei beni/risorse appartengono alle comunità locali. O comunque a esse devono e dovranno sempre essere garantiti.

Nella quantità e qualità necessarie al mantenimento di adeguati livelli di civiltà e di equità sociale.