Dal sito www.giust.it

 

GIUSEPPE PANASSIDI
(Segretario generale con funzioni di direttore generale della Provincia di Verona)

Alcune riflessioni critiche sulle figure di vertice dell’organizzazione amministrativa dei comuni e delle province: segretario comunale e direttore generale.

1. E’ noto che le organizzazioni pubbliche sono tenute, nell’esercizio della loro azione, a soddisfare due essenziali pretese che i cittadini vantano nei confronti della pubblica amministrazione.

I cittadini sono interessati, innanzi tutto, a che l’attività amministrativa sia esercitata nel rispetto dei principi costituzionali della legalità e dell’imparzialità, che costituiscono la garanzia di un esercizio dell’azione amministrativa senza discriminazioni, privilegi ed abusi (principio di garanzia).

Pretendono, nello stesso tempo, di disporre di servizi pubblici non costosi e qualitativamente apprezzabili, specie nei casi in cui sono obbligati, per soddisfare i loro bisogni, a rivolgersi al servizio pubblico in quanto reso in regime di monopolio (principio di efficacia ed efficienza).

I principi di garanzia ed efficienza- efficacia sono valori costituzionali, peraltro comuni a tutte le democrazie moderne, che hanno pari dignità e che devono essere, pertanto, necessariamente coniugati ed egualmente garantiti

E’ noto pure che le riforme degli anni ’90, nel disegnare il processo di razionalizzazione e di riorganizzazione della pubblica amministrazione, hanno puntato essenzialmente su un nuovo modello organizzativo che possa realizzare il giusto equilibrio fra i suddetti valori. E, specificatamente, su un modello - che possiamo chiamare di "amministrazione per obiettivi" - che, da un lato, pone l’accento sui risultati, sull’efficacia e sull’efficienza, e nello stesso tempo richiama l’attenzione sul rispetto dei principi di legalità e neutralità, che rappresentano, per così dire, la "cornice" all’interno della quale può (e deve) muoversi l’azione amministrativa.

Un modulo, in altri termini, che sicuramente tenta di abbandonare quello tradizionale di organizzazione amministrativa (cosiddetto modello burocratico o gerarchico formale), che, nato con lo Stato liberale, ha prevalso fino ai giorni nostri, caratterizzato da un’organizzazione rigida ed ordinata gerarchicamente e da un’attività amministrativa, indirizzata alla mera esecuzione della legge ed ispirata "ad un legalismo, che in alcuni casi, come in Italia, intrecciandosi con altri fattori" ha finito "per tradursi spesso in formalismo". (D’ORTA, La dirigenza pubblica fra modello burocratico e modello d’impresa, in CECOR – D’ORTA (a cura di), La riforma del pubblico impiego, 1994)..

Un nuovo modello (cosiddetto "manageriale" o "d’impresa"), che, senza trascurare l’obbligo del rispetto del principio di legittimità dell’azione amministrativa, pone decisamente l’accento "sulla capacità dell’Amministrazione di dare risposte alle attese della società.". Un nuovo sistema, che si caratterizza per un’organizzazione flessibile e per un’attività decisionale della burocrazia attuata non in base ad "ordini", ma nel quadro degli indirizzi e direttive generali del vertice politico e che, seppure in certa misura antitetico a quello precedente, recupera dal modello precedente il principio di garanzia.

Se si volesse sintetizzare quanto è avvenuto con le riforme degli anni 90 con uno slogan, si potrebbe sostenere che nel precedente ordinamento un’amministrazione per essere "efficace" doveva essere "legittima", nel nuovo ordinamento un’amministrazione è "legittima" se è anche "efficace".

2. E’ noto ancora che le riforme degli anni novanta, per conformare l’organizzazione a questo nuovo modello di "amministrazione per obiettivi", hanno costruito anche un diverso assetto dei rapporti tra politica ed amministrazione, tra indirizzo ed azione.

Questo rapporto non è stato basato sull’irrealizzabile scissione, funzionale e strutturale, fra politica ed amministrazione, e tanto meno sulla sua assoluta coerenza o sovrapposizione, ma è stato costruito su un sistema che dovrebbe garantire, nel governo della cosa pubblica, una corretta interconnessione fra indirizzo, che compete agli organi politici, e gestione, che spetta, invece, alla dirigenza.

L’attuazione nelle pubbliche amministrazioni in generale e, specificatamente, nei comuni e nelle province, del principio della distinzione fra la funzione di raffigurazione programmatica delle esigenze degli amministrati e la funzione di gestione dei programmi è sicuramente uno degli aspetti più complessi della riforma.

L’attuazione delle nuove regole ha incontrato ed incontra ancora oggi soprattutto negli enti locali notevoli difficoltà, anche a causa delle forti resistenze opposte dai soggetti chiamati ad applicarle.

Gli amministratori, infatti, rifiutano di assumere il nuovo ruolo, che ritengono che sminuisca la funzione della politica e, anziché porre la loro attenzione nella formulazione degli obiettivi e delle direttive e nella verifica della loro attuazione, continuano ad operare per ordini puntuali e ad inserirsi nella gestione. I dirigenti a loro volta continuano ad essere restii all’assunzione delle nuove responsabilità e, soprattutto, ad orientare la loro attività ai risultati.

Alle resistenze dei soggetti chiamati ad attuare il principio della distinzione dei ruoli e ad un certo deficit di cultura amministrativa – gestionale si aggiunge anche un utilizzo non idoneo degli strumenti operativi, che l’ordinamento offre per consentire l’applicazione concreta delle nuove regole di organizzazione: piano esecutivo di gestione (peg) e regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi.

3. La nuova impostazione dell’assetto dei rapporti fra i due poli – vertice politico e vertice burocratico – esige che fra il titolare della responsabilità politica ed i dirigenti pubblico sussista necessariamente un rapporto fiduciario, che permetta ai primi di disporre di margini di scelta nella valutazione della professionalità dei loro collaboratori, di coloro cioè che devono interpretare ed attuare gli indirizzi politici.

Non riterrei, pertanto, che, in linea di principio, contrastino con il nuovo sistema di organizzazione quelle disposizioni dirette ad introdurre elementi fiduciari, anche accentuati, nella scelta dei vertici dell’organizzazione amministrativa.

A condizione, però, che si eviti che le nuove regole finiscano per privilegiare un potere di nomina e di revoca troppo esteso dei dirigenti da parte degli organi di governo, che favorirebbe la politicizzazione della classe dirigente, con il rischio di vanificare il nuovo principio della separazione della politica dalla gestione e, in ultima analisi, finirebbe per rendere difficoltoso assicurare, nella gestione della cosa pubblica, il rispetto dei due principi, di razionalità giuridica e razionalità economica, che prima si ricordavano.

Il nuovo sistema, se correttamente attuato, stabilisce regole che dovrebbero garantire che il rapporto fiduciario non si esaurisca in un apprezzamento personale dell’organo politico.

Nel nuovo quadro normativo di riferimento gli organi politici esorbiterebbero, infatti, dalle loro competenze allorché formulassero giudizi di disvalore ed adottassero scelte e provvedimenti sanzionatori senza il supporto di un appropriato riscontro della professionalità e della responsabilità.

E’ indispensabile, d’altronde, che il nuovo sistema sia correttamente attuato, per evitare il pericolo di introdurre nel nostro ordinamento una nuova tipologia di spoyle system (… all’italiana), che vanificherebbe il principio della distinzione fra indirizzo ed azione, toglierebbe effettività ai poteri riconosciuti dalla legge ai dirigenti e potrebbe causare, come è stato autorevolmente sostenuto, "un uso strumentale della pubblica Amministrazione da parte del potere politico" (CASSESE – ARABIA, Relazione Cassese, in L’Amministrazione e la Costituzione, proposte per la costituente, Il Mulino, Bologna, 1993).

4. L’esigenza di coniugare nell’organizzazione pubblica "garanzia" ed "efficienza" si riscontra anche in altre riforme degli anni ’90, che attengono all’organizzazione della pubblica amministrazione, come, ad esempio, nella riforma del sistema dei controlli interni (d.lgs n. 286/1999 e art. 147 del t.u. 267/2000).

La suddetta riforma del sistema dei controlli interni obbliga, infatti, le amministrazioni statali ed indirizza quelle locali ad introdurre un nuovo sistema di "controlli utili", cioè di controlli che servono alla stessa amministrazione che li attiva, e prevede, oltre a strumenti per verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa e l’adeguatezza del programma operativo rispetto al programma ideato dagli organi politici (controllo di gestione e controllo strategico), anche controlli diretti a verificare la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’agire pubblico. Controlli quest’ultimi che sono tutti finalizzati a garantire, nell’esercizio dell’azione amministrativa, il rispetto delle "regole" del sistema.

5. Una specifica attenzione al rispetto della duplice esigenza di "garanzia" e di "efficienza" si ritrova nella stessa riforma dell’organizzazione degli enti locali operata dalla legge Bassanini del 1997 (L. 15 maggio 1997, n. 127), che, fra l’altro, ha riscritto lo status del segretario comunale e provinciale ed ha inserito la nuova figura del direttore generale.

E’ noto che lo stesso Testo unico delle leggi degli enti locali del 2000 (d.lgs 18 agosto 200, n. 267), nel raccogliere e coordinare le disposizioni in materia, ha confermato le scelte effettuate dalla riforma Bassanini anche per quanto attiene al sistema di organizzazione del vertice dirigenziale.

Sono state confermate, quindi, le analogie e le differenze che accomunano e distanziano le due figure di "coordinatori generali" dell’ente locale, il segretario e il direttore generale.

E’ stata confermata l'obbligatorietà della presenza di un segretario titolare in ogni ente e, per contro, il carattere facoltativo della nomina del direttore generale.

E’ stato confermato il sistema di individuazione del segretario soltanto all'interno dello specifico Albo, cui i laureati in determinate discipline possono accedere dopo il conseguimento dell'abilitazione concessa dall'apposita Scuola. Ed ancora la nomina del segretario da parte del sindaco o presidente della provincia e la sua dipendenza funzionale dallo steso sindaco o presidente della provincia, anche se questa figura sempre più peculiare di "lavoratore pubblico" continua ad essere amministrato da un'apposita Agenzia autonoma, in veste di datore di lavoro sui generis in quanto privo dei relativi poteri.

Al contrario, è stata rimessa all’autonomia regolamentare del singolo ente il compito di stabilire requisiti e modalità per l’individuazione del direttore generale, per la cui nomina è richiesto l’intervento anche della giunta

Analogie e differenze fra le due figure sussistono anche per la loro nomina e revoca.

Per la nomina del segretario da parte del sindaco, non è specificatamente richiesto un provvedimento motivato, anche se - si ritiene - l'obbligo di motivazione sussista in base al principio generale dell'obbligatorietà di motivazione di tutti i provvedimenti (art. 3, l. 241/90) e in tal senso si è orientata la giurisprudenza e la dottrina prevalente (cfr. TAR Piemonte, sez I, 6 marzo 2001, n. 481; TAR, Lazio, sez. I ter, 5 luglio 2000, n. 5511 e C. Anastasi, Relazione al Convegno di Napoli del 3 lugglio 1999, in rivista Internet di diritto pubblico www. giust.it).

Nessun obbligo di motivazione è previsto dalla norma neppure per la nomina del direttore generale. Anche in questo caso, tuttavia, un obbligo in tal senso potrebbe ricavarsi dal generale obbligo di motivazione introdotto dalla legge n. 241 del 1990 per tutti i provvedimenti amministrativi, esclusi i regolamenti e gli atti generali.

Uno specifico obbligo di motivazione è richiesto per la revoca del segretario per violazione dei doveri d'ufficio, revoca che, a differenza della nomina, presuppone il coinvolgimento anche della Giunta

La revoca del direttore generale non è stata collegata, invece, a specifici inadempimenti ed è quindi rimessa all’apprezzamento dell’amministrazione e, si ritiene, anche alla libera contrattazione delle parti, che possono disciplinare nel contratto di costituzione del rapporto di lavoro anche quest’aspetto.

La durata dell'incarico del segretario e del direttore generale non può eccedere quella del mandato del sindaco.

A differenza del segretario, però, che, alla scadenza, è confermato automaticamente se il sindaco e il presidente della provincia neo eletti non provvedono entro determinati termini, il direttore generale cessa definitivamente con la scadenza del mandato del Capo dell’Amministrazione ed un suo eventuale nuovo incarico nello stesso ente non è mai automatico, ma è sempre subordinato ad un autonomo procedimento di nomina da parte del nuovo sindaco o presidente della provincia

Il testo unico del 2000 non introduce, quindi, innovazioni di rilievo, con la sola esclusione di quella che attiene alla perdita del ruolo di "funzionario o dirigente pubblico" del segretario, che è stato definitivamente inserito, quindi, fra le figure professionali delle amministrazioni pubbliche che sono destinatari di discipline distinte nell'ambito dei contratti collettivi di comparto, in quanto svolgono "in posizione di elevata responsabilità ... compiti di direzione e che comportano iscrizione ad albi ..." (all'articolo 45, comma 3, del d.lgs 29/93).

6. Sono state, in particolare, confermate le soluzioni che il sindaco ed il presidente della provincia possono scegliere per organizzare il vertice di direzione dell'apparato burocratico (art. 97, commi 3 e 4, e art. 108 T.U 267/2000).

E’ rimessa, infatti, all'autonomia organizzativa del singolo ente la decisione sulla soluzione da adottare per l'organizzazione della direzione del vertice burocratico.

E, in particolare, se porre al vertice dell'organizzazione due distinti soggetti, il segretario, con funzioni essenzialmente di assistenza giuridico - amministrativa, e il direttore generale, con compiti di direzione complessiva della struttura e di responsabilità della gestione, oppure, soltanto il segretario, con compiti pure di coordinamento delle attività dei dirigenti o, ancora, il solo segretario, ma con funzioni anche di city manager.

Molti enti, specie di piccola e media dimensione, hanno optato per quest'ultima soluzione del segretario – direttore generale, ritenendo più funzionale ricondurre ad unità la direzione di vertice della loro organizzazione.

Gli enti di grande dimensione e, in particolare, molte città metropolitane, invece, hanno scelto prevalentemente di separare le due funzioni e di avvalersi (anche) della collaborazione di un direttore generale.

Soltanto fra qualche anno, magari sottoponendo ad accurata analisi più enti che hanno sperimentato le diverse soluzioni organizzative, sarà possibile valutare quale delle diverse soluzioni sia risultata più efficace e soprattutto se i benefici derivanti dall'introduzione della nuova figura del city manager o dall’attribuzione al segretario anche delle funzioni di direttore generale possano giustificare il maggior costo a carico dei bilanci locali.

Anche se oggi è prematuro trarre delle conclusioni, che potrebbero risultare affrettate e soprattutto non suffragate da concrete analisi sulle esperienze maturate, è opportuno, a distanza di tre anni dalla riforma, porsi fin d’ora alcune domande e continuare ad approfondire alcune importanti problematiche: i rapporti fra politica ed amministrazione, la coerenza del nuovo sistema con le soluzioni adottate da altri Paesi dell’Unione Europea ed in sede comunitaria, se esistono le condizioni per attuare la riforma, l’efficacia della nuova soluzione per l’organizzazione del vertice dirigenziale dell’Ente, ecc.

Non mi sembrerebbe inutile, innanzi tutto, chiedersi se la soluzione organizzativa scelta per il vertice burocratico dell’ente locale sia coerente con il nuovo modello organizzativo e, in particolare, con il nuovo principio della distinzione fra politica ed azione, oppure, se non si rischi, introducendo al vertice dell’organizzazione burocratica dell’ente locale figure collegate agli organi politici da rapporti di natura molto fiduciaria, di vanificare il principio stesso della distinzione dei ruoli.

Sarebbe utile conoscere quali sono state le forme di coordinamento fra il direttore generale ed il segretario che gli enti hanno effettivamente organizzato per assicurare unitarietà alla direzione complessiva dell’Ente, e quali sono stati i risultati e cioè se il sistema ha funzionato e in quali e quante realtà ha funzionato

In conclusione, ancora due domande. Una riguarda il segretario comunale e provinciale e l’altra il direttore generale.

La domanda sul segretario che dobbiamo cominciare a porci riguarda la compatibilità della previsione legislativa, che obbliga i comuni e le province a dotarsi di questa figura professionale, con l'accentuata autonomia normativa ed organizzativa riconosciuta dall’ordinamento agli enti stessi (art. 2, c. 4, e art. 89, c. 1 T.U. 267).

In altri termini, se sia coerente con l’autonomia degli enti locali, costituzionalmente garantita e che sarà sempre più valorizzata specie dopo l’approvazione del testo di legge costituzionale di modifica, in senso federalistico, del Titolo V della seconda parte della della Costituzione, la previsione di una figura obbligatoria al vertice della loro organizzazione, oppure se sia necessario ripensare criticamente questa soluzione e rimettere allo statuto del singolo ente o della singola Regione la scelta da effettuare (cfr. il Testo di legge costituzionale "Modifica al Tiolo V della parte secona della Costituzione" approvato in seconda votazione a maggioranza assoluta , ma inferiore ai due terzi dei membri di ciascuna Camera, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, n.59, del 12 marzo 2001).

Inoltre, una figura professionale garante della conformità dell’attività dell’ente locale, alla legge, allo statuto e ai regolamenti, collocato in posizione di non assoluta "neutralità", ha ancora oggi una sua giustificazione, specie in un sistema che vuole affidate ai dirigenti, e quindi, ai tecnici, le responsabilità gestionali?

L’altra domanda riguarda il direttore generale. Il mercato del lavoro ha a disposizione figure professionali che possono garantire l’alta direzione di un ente locale, cioè di un’organizzazione complessa che presenta caratteristiche e peculiarità che non si riscontrano in altri settori della pubblica amministrazione?

Non sarebbe forse il caso di puntare su una nuova figura di dirigente generale dell’Ente, che sicuramente non potrà identificarsi con la figura tradizionale del segretario comunale, ma forse neppure con quella troppo frettolosamente costruita del direttore generale?