IL SOLE-24 ORE DEL LUNEDÌ – 23.4.01

ENTI LOCALi

GIURISPRUDENZA • Sentenza della Corte dei conti sul ricorso a professori e avvocati

Parere pro-veritate dell’esperto: non conta se l’atto è illegittimo

DI VITTORIO ITALIA

Gli amministratori di un ente locale hanno deliberato un atto illegittimo, nonostante che le norme fossero di "chiara lettura"; tale atto illegittimo ha provocato dei danni all'ente.

Davanti alla Corte dei conti, gli amministratori si sono giustificati affermando che si erano basati su un "parere pro veritate", nel quale si sosteneva invece che questo atto amministrativo era perfettamente legittimo.

È sorto, quindi, il problema: che valore hanno i "pareri pro veritate" che talvolta le pubbliche amministrazioni richiedono a professori universitari o avvocati di grido? E specialmente, questi pareri hanno un particolare rilievo se sono prodotti in giudizio?

La Corte dei conti (sezione giurisdizionale della Sicilia, 20 ottobre 2000, n. 109/Resp.) decidendo sul caso, ha deciso che "l'acquisizione di questo parere da parte dell'ente era meramente facoltativa, in quanto non era prevista nel procedimento in questione", e in conseguenza "non era possibile invocare l'esistenza di esso".

In altre parole, questo parere non valeva un bel nulla ai fini della responsabilità di questi amministratori.

La sentenza è esatta, e stabilisce alcuni punti fermi, sui quali si possono svolgere alcune succinte considerazioni.

  1. In passato vi è stata una lunga tradizione di consigli, di pareri giuridici, manifestati da esperti considerati "prudenti" del "giure", del diritto. Alcuni di questi "consigli" di giuristi di fama avevano un rilievo determinante. Si pensi, a esempio, alle opinioni di Bartolo da Sassoferrato (1314-1357) che erano così universalmente stimate che persino nei secoli successivi alcuni Stati (a esempio Spagna e Portogallo) stabilirono che in caso di divergenza di opinioni, quella di Bartolo dovesse essere obbligatoria per i giudici.
  2. La realtà odierna è completamente diversa, e la funzione consultiva è incardinata su determinati organi (ad esempio Consiglio di Stato). I pareri espressi da soggetti privati, anche se usano ancora l’antico e pomposo nome di "pareri pro veritate", e possono far credere di essere redatti soltanto in favore della verità, non costituiscono elemento essenziale per la formazione della volontà dell'ente.

Già alcuni anni fa i giudici amministrativi (Tar Lombardia 19 dicembre 1978 n. 781; Tar Friuli Venezia Giulia 14 dicembre 1978, n. 262) avevano affermato che gli organi deliberanti dei Comuni potevano avvalersi di consulenze, quando si dovevano adottare delle determinazioni in materie complesse e gli uffici non avevano le specifiche competenze o la possibilità di espletare tali compiti.

Era stato, però, precisato che < in ogni caso questa forma di collaborazione non poteva essere qualificata come un'attività di partecipazione alla formazione della volontà dell'ente".

3. In conseguenza, questi "pareri pro veritate", di per sé, hanno un valore molto limitato. Possono avere un valore le singole opinioni che sono contenute nel "parere", ma in quanto tale, il "parere" è come un mantello, che può ricoprire qualsiasi opinione, anche quella più parziale. Infatti, quello che conta è il "contenuto" del parere. Può avvenire che le opinioni espresse nel parere siano trasfuse nella motivazione dell'atto che è emanato; ma ciò che viene valutato è l'atto emanato, la sua motivazione, e non il "parere". In altri termini, le opinioni contenute nel "parere" non pesano di più per l'autorità intellettuale di colui che lo ha redatto. E in ogni caso, un "parere pro veritate" non può far diventare legittimo un atto illegittimo, né serve a eliminare o diminuire la responsabilità di coloro che sulla base di questo parere - hanno emanato tale atto.