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GIURISPRUDENZA •

 

Una decisione del Consiglio di Stato fissa limiti ai poteri

La Provincia non può modificare i piani regolatori dei Comuni

La Provincia non ha il potere - con il proprio piano territoriale di coordinamento - di modificare direttamente il Piano regolatore generale di un Comune, che dovesse confliggere con il primo.

Per il Consiglio di Stato (quinta sezione, decisione del 20 marzo 2000, n. 1493), il Piano territoriale di coordinamento, contemplato dall'articolo 15, comma 2, della legge n. 142 del 1990, appartiene alle categorie degli atti che hanno funzione di indirizzo, tipica degli atti di programmazione intermedia qual è, appunto, lo strumento di pianificazione provinciale.

L'indicata sua qualificazione di atto di indirizzo porta con sé l'effetto giuridico di non essere atto idoneo a produrre modificazioni dei piani regolatori comunali, in quanto la disciplina del territorio comunale non è materia rientrante nelle attribuzioni del l'ente Provincia.

Le esigenze di tutela e salvaguardia delle autonomie locali, costituzionalmente garantite (articolo 5 Costituzione) e formalmente attuate con la legge n. 142 del 1990 così come integrata dalla legge n. 265 del 1999 articolo 2, trovano, infatti, riconoscimento nell'affermazione della autonomia normativa e regolamentare in capo ai Comuni.

Così, l’intervento amministrativo della Provincia potrà avvenire solo nei confronti di quegli atti che pur essendo stati posti in essere da altri enti, hanno un oggetto rientrante nelle competenze e attribuzioni della Provincia non suscettibile, al tempo stesso, di porsi in contrasto con la riconosciuta affermata autonomia normativa di altri enti.

Il principio fatto valere nell'Organo della giustizia amministrativa va inserito nel più esteso compito di programmazione attribuita alla Provincia dalla legge 142/90.

In relazione a ciò non ci si può sottrarre dal richiamare il potere attribuito alla stessa legge regionale dall’articolo 15 della legge sulle autonomie locali, in materia di programmazione esplicabile nei confronti della Provincia. In particolare la legge regionale deve:

1 - disciplinare l’intervento della Provincia nella fissazione del programma regionale di sviluppo e degli altri programmi e piani regionali;

2 - deve stabilire la regolamentazione inerente al concorso dei comuni per la formazione dei programmi pluriennali, nonché dei piani territoriali di coordinamento (articolo 15, commi 1 e 4, della legge n. 142);

3 - rispettare i dettati in materia di programmazione ricavabili sempre dal medesimo articolo 15 della legge 142 del 1990.

Mentre, sempre nella materia della programmazione, i poteri e. le funzioni attribuite alla Provincia possono essere riassuntivamente così indicati:

1 - raccolta e coordinamento delle proposte avanzate dai Comuni, ai fini della programmazione regionale;

2 - formulazione e adozione di propri programmi pluriennali, sia di carattere generale che settoriale, e promozione del coordinamento dell'attività programmatoria dei Comuni (articolo 15 comma 1);

3 - predisposizione e adozione del piano territoriale di coordinamento, che, in attuazione dei programmi regionali, determina indirizzi generali di assetto del territorio (comma 2);

4 - accertamento di compatibilità degli strumenti di pianificazione predisposti dai Comuni con le previsioni del piano territoriale di coordinamento;

5 - ai sensi dell'articolo 29, comma 5 della legge n. 142 del 1990, alla Provincia compete l’approvazione dei piani pluriennali di sviluppo socio-economico adottati dalle Comunità montane, secondo procedure stabilite dalla legge regionale

Emerge, dunque, che il potere di indirizzo si spinge nell'indicazione degli obiettivi da raggiungere alla successiva regolamentazione urbanistica comunale.

Al tempo stesso emerge che la Provincia rappresenta un "elemento" essenziale nel più generale sistema della programmazione, per le seguenti ragioni:

1 - perché partecipa alla programmazione regionale;

2 - perché ha il compito di predisporre propri piani;

3 - perché ha il controllo e coordinamento degli strumenti di pianificazione dei comuni, ponendo per essi le premesse concrete per una reciproca armonizzazione senza incidere, direttamente e in forma particolare, sul contenuto pianificatorio dei singoli Comuni.

FRANCESCO LONGO