ItaliaOggi Venerdì 18 Agosto 2000

Lo denuncia la Corte dei conti nella relazione al parlamento sull'attività finanziaria 99 degli enti locali

Enti locali, programmazioni al palo

Tra i comuni è scarsa la capacità di lavorare per obiettivi

DI Massimo LEONI

La Corte dei conti fa le pulci agli enti locali del Belpaese. E sentenzia che le riforme e gli interventi in materia di autonomia, decentramento, programmazione economica, gestione del personale e controlli interni sono nella maggior parte dei comuni e delle province italiani, troppo indietro perché il federalismo annunciato diventi realtà in breve tempo. La deliberazione numero 7 del 2000 della sezione enti locali della magistratura contabile, che accompagna la, ponderosa "Relazione al parlamento sui risultati dell'esame della gestione finanziaria e dell'attività degli enti locali per l'esercizio 1998", parla di sostanziale assenza di "ostacoli di rilievo" a una realizzazione completa e rapida "del cosiddetto federalismo amministrativo a costituzione invariata", voluto dalla cosiddetta Bassanini uno e seguito con particolare attenzione dal dicastero degli interni guidato da Enzo Bianco. Ma, subito dopo, sottolinea come si sia rivelata "irrealizzabile" l'idea originaria della "contestualità del trasferimento delle competenze e delle risorse" e considera un buon risultato che il nuovo conferimento di funzioni a province e comuni diventi operativo "a partire dal 1° gennaio 2001". E senza più i trasferimenti finanziari dallo stato alle regioni e agli enti locali previsto in un primo momento a facilitare il passaggio all'autonomia ma, "in un'ottica di federalismo fiscale", con il denaro proveniente "da addizionali e compartecipazioni a imposte erariali".

LA PROGRAMMAZIONE CHE NON C'È.

La Corte è piuttosto critica verso gli enti locali riguardo l'attuazione della programmazione, fatta troppo spesso poco e male e tramite la quale, invece, si dovrebbe "governare l’evoluzione del cambiamento". La programmazione, infatti, non è solo richiesta da esigenze di "razionalità, efficacia e trasparenza" nell'amministrazione, ma è necessaria per "assumere realmente i previsti nuovi compiti per lo sviluppo economico e sociale del territorio" e resa indispensabile dalla "crescente responsabilizzazione finanziaria e dal riconoscimento di una maggiore autonomia organizzativa". Tant'è. La programmazione (che le attuali norme prevedono come un processo in più fasi, dalla relazione programmatica del sindaco e del presidente della provincia alla relazione previsionale e ai bilanci passando per il programma triennale dei lavori pubblici e il piano esecutivo di gestione), è fatta poco e male dagli enti locali italiani. La Corte ha evidenziato come le amministrazioni di quattro comuni della stessa classe demografica, ritenuti un campione rappresentativo, "forse non sempre adeguatamente sostenute dagli organi di revisione, hanno incontrato difficoltà nella formulazione di specifici e chiari programmi e, conseguentemente, nella verifica dei risultati conseguiti".

PERSONALE, SI PUÒ FARE DI PIU’.

Nel campione di enti locali preso in considerazione dalla magistratura contabile, che oltre a elaborare dati della ragioneria generale dello stato ha condotto una sua indagine sui comuni più grandi (dall'11" alla 9'classe demografica) e su quelli medi (9 classe), tra il '97 e il '98 c'è stato un leggero decremento del personale in servizio (da 583.734 unità a 581.857), soprattutto dovuta "alla contrazione del personale non stabile che, tuttavia, rappresenta ancora il 5% del personale dei livelli". A preoccupare, però, è soprattutto il livello del personale impiegato: "La funzionalità degli enti locali ha continuato a essere assicurata in gran parte dalle qualifiche medio basse", dice la Corte. E sottolinea che i dirigenti a tempo indeterminato dei comuni sono circa l'1% rispetto agli impiegati". Ancora scarso l'utilizzo dei tempo parziale, poco diffuso soprattutto al Centro e al Sud. Ma ciò che è più grave, denuncia la Corte, sono "le scarse percentuali di spesa per la formazione del personale dei comuni, sia a livello nazionale (quello indagato tramite i dati della ragioneria) che a livello del campione esaminato dai magistrati contabili.

CONTROLLO DI GESTIONE, DECOLLO DIFFICILE.

"Il controllo di gestione fatica ad affermarsi", dice la deliberazione, "sia per quanto riguarda il numero degli enti che devono organizzarlo, sia per la sua funzionalità non esaustiva là dove è stato già reso operativo. La Corte bacchetta anche i revisori dei conti: "I collegi presentano non poche carenze funzionali", visto che i loro pareri non solo risultano "incongrui, ma sovente essi non approfondiscono genesi, cause ed effetti di importanti fatti di gestione". E per questo, tra l’altro, sono pagati profumatamente.

FUNZIONA L'AUTONOMIA REGOLAMENTARE CONTABILE.

La sezione enti locali della Corte dei conti ha invece svolto "un'apposita indagine" sulla facoltà che le nuove norme concedono agli enti locali di

darsi regole proprie per la tenuta della contabilità e la redazione dei bilanci, secondo quanto previsto nella legge 265/99. Ebbene, qui le sorprese ci sono, e sono positive". Secondo la deliberazione infatti, "l’esercizio dell'autonomia è apparso effettivo e diverso per ogni ente". Insomma la facoltà di autoregolamentazione è stata usata quasi dappertutto. E in maniera realmente autonoma, visto che le normative risultano differenti e per lo più adatte alle specifiche esigenze. Nonostante l'eterogeneità delle regole, la Corte ravvisa alcuni tratti comuni tra i vari regolamenti contabili: il crescente peso, per esempio, "della contabilità economica e della contabilità analitica per centri di costo". La grande varietà "delle formule organizzative e di incroci tra centri di costo e responsabilità". Il piano esecutivo di gestione (peg) che assume "sempre più un suo ruolo strategico nella programmazione della gestione. Tutto, insomma, contribuisce a fare dei regolamenti di contabilità una "garanzia degli equilibri di bilancio".