www.giust.it

Giurisprudenza
n. 01-2001 - © copyright - vietata la riproduzione.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – Sentenza 9 gennaio 2001 n. 43Pres. de Lise, Est. La Medica - Trama (Avv.ti Ferdinando Scotto, Felice Laudario e Carlo Russo) c. Ministero di Grazia e Giustizia (Avv.to Stato Varrone) e Commissione di vigilanza e di disciplina presso il Ministero di grazia e giustizia (n.c.) – (conferma TAR Campania, sez. I, 26 settembre 1997, n. 2368).

1. Pubblico impiego – Provvedimento disciplinare – Termine di 20 giorni per la sua comunicazione – Ex art. 88 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 – Ha natura ordinatoria.

2. Pubblico impiego – Procedimento disciplinare – Perenzione – Termine di 90 giorni tra un atto e l’altro – Deposito del parere della commissione di disciplina – Interrompe il decorso del termine per la perenzione.

3. Pubblico impiego – Provvedimento disciplinare – Valutazione della gravità dei fatti da parte della Commissione di disciplina – Sindacabilità in s.g. – Limiti.

4. Pubblico impiego – Provvedimento disciplinare – Asserita sproporzione tra fatti contestati e sanzione irrogata – Riferimento alla motivazione del parere della Commissione di disciplina ed al comportamento recidivo del dipendente – Sufficienza ai fini dell’infondatezza del motivo.

1. Il termine di venti giorni previsto dall’art. 88 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 per la comunicazione del provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare, riveste carattere ordinatorio, perché non è prevista alcuna decadenza per la sua inosservanza, né è stabilita l’inefficacia della comunicazione ove sia eseguita dopo il decorso dello stesso termine; d’altra parte, la legge, indicando un certo termine entro cui debba essere effettuata la comunicazione, pone una semplice condizione di efficacia del provvedimento, ma va escluso che la inosservanza del predetto termine possa incidere sulla validità del provvedimento (1).

2. Il deposito del parere della commissione di disciplina è certamente idoneo ad interrompere il termine di novanta giorni tra un atto e l’altro del procedimento previsto dall’art. 93 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, trattandosi di un adempimento previsto dall’art. 88 dello stesso d. P.R.

3. La valutazione ordine alla gravità dei fatti addebitati, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare nei confronti di un dipendente pubblico, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile dal giudice di legittimità se non in ipotesi di eccesso di potere nelle sue diverse forme sintomatiche (2).

4. Né è possibile ravvisare alcuna sproporzione tra i fatti contestati e la sanzione disciplinare irrogata ad un pubblico dipendente, ove il parere della Commissione di disciplina e il provvedimento poi adottato dall’Amministrazione diano adeguato conto delle ragioni in base alle quali si è pervenuti all’applicazione di una determinata sanzione (nella specie, sospensione dal servizio per sei mesi), specialmente nel caso di comportamento recidivo del dipendente.

(1) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 1999, n. 1590; sez. VI, 4 novembre 1999, n. 1717; sez. V, 21 novembre 1985, n. 420.

(2) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 agosto 2000, n. 4484 e 7 marzo 1997, n. 387; sez. IV, 16 aprile 1998, n. 636.

* * *

F A T T O

Trama Donatella – Collaboratore U.N.E.P. presso il Tribunale di Benevento – propone appello avverso la sentenza del T.A.R. della Campania (sez. I) 26 settmbre1997, n. 2369, con la quale è stato respinto il suo ricorso per l’annullamento del decreto del Direttore generale dell’organizzazione giudiziaria e degli affari generali del Ministero di grazia e giustizia I° febbraio 1994, avente ad oggetto l’inflizione nei confronti della medesima istante della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei.

A fondamento dell’appello vengono formulati i seguenti motivi :

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 88 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229 - inesistenza dei presupposti di fatto e di dritto- error in judicando.

L’appellante contesta l’affermazione del Giudice di primo grado secondo cui il termine di venti giorni previsto dalla suddetta norma per la comunicazione del provvedimento di inflizione della sanzione disciplinare sia meramente ordinatorio; sostiene, invece, che esso è previsto a pena di decadenza, sicché la comunicazione del provvedimento impugnato avvenuta dopo la scadenza del medesimo termine comporta l’illegittimità della stessa sanzione.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 93 del d.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, violazione del giusto procedimento - error in judicando.

L’appellante sostiene, altresì, che non sarebbe stato rispettato il termine di novanta giorni tra un atto e l’altro del procedimento, in quanto il parere della Commissione di disciplina è stato emesso nella seduta del 27 luglio 1994, mentre il provvedimento di irrogazione della sanzione reca la data del I° dicembre 1994.

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del d. P. R. 15 dicembre 1959, n. 1229- violazione dell’art.519 c. p. c. – inesistenza dei presupposti – ingiustizia manifesta- disparità di trattamento – error in judicando.

L’appellante afferma che, nella specie, non sussistevano i presupposti per l’erogazione di così gravosa sanzione, anche perché l’omissione di attività nell’espletamento di procedure esecutive, addebitata all’interessata, riguardava il recupero di crediti erariali di modesto ammontare.

4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 63 del d. P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229- inesistenza dei presupposti di fatto e di dritto – difetto assoluto di motivazione - illogicità.

Sostiene, infine, l’appellante che il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare è carente del "referente motivazionale", in quanto non contiene alcuna indicazione sull’iter logico seguito per giungere alle contestate conclusioni

Si è costituito in giudizio il Ministero della Giustizia che, con memoria depositata in data 19 ottobre 2000, ha chiesto la reiezione dell’appello, previa eventuale declaratoria di inammissibilità del terzo motivo dell’appello.

In prossimità dell’udienza, l’appellante ha depositato una memoria.

All’udienza del 21 novembre 2000, la causa è stata posta in decisione.

D I R I T T O

1. L’appellante- collaboratore U.N.E.P. presso il Tribunale di Benevento – censura la sentenza del T.A.R. della Campania (sez. I) 26 settembre 1997, n. 2368 , con cui è stato respinto il suo ricorso avverso il decreto del Direttore generale dell’organizzazione giudiziaria e degli affari generali del Ministero di grazia e giustizia 1° febbraio 1994, concernente l’inflizione nei di lei confronti della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per mesi sei.

Peraltro, le dedotte censure sono prive di fondamento.

2. E’, anzitutto, infondato il primo motivo d’appello con il quale l’interessata sostiene che il termine di venti giorni dall’adozione del provvedimento sanzionatorio, per la sua successiva comunicazione, ha carattere perentorio e, quindi, l’illegittimità del provvedimento di cui è causa, in quanto è stato comunicato quando il predetto termine era ormai scaduto.

Ritiene, infatti, il Collegio, sulla scorta di copiosa giurisprudenza al riguardo, che il menzionato termine riveste carattere ordinatorio , perché non è prevista alcuna decadenza per la sua inosservanza, né è stabilita l’inefficacia della comunicazione ove sia eseguita dopo il decorso dello stesso termine ; la legge, indicando un certo termine entro cui debba essere effettuata la comunicazione, pone una semplice condizione di efficacia del provvedimento, ma va escluso che la sua inosservanza possa incidere sulla validità del provvedimento (Cons. Stato, sez. IV, 15 ottobre 1999, n. 1590; sez. VI, 4 novembre 1999, n. 1717 ; sez. V, 21 novembre 1985, n. 420).

3. E’ ugualmente infondato il secondo motivo d’appello con il quale l’interessata deduce che sarebbe stato superato il termine di novanta giorni tra un atto e l’altro del procedimento, in quanto il parere della Commissione di vigilanza e disciplina è stato emesso il 23 luglio 1994, mentre il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare reca la data del I° dicembre dello stesso anno.

Al riguardo occorre osservare che il 23 luglio 1994 ha avuto luogo la riunione della Commissione, ma il parere è stato depositato solo il 24 settembre successivo e, pertanto, il termine di novanta giorni è stato rispettato, con riguardo sia alla data di riunione della Commissione, sia alla data del deposito del parere; d’altra parte, il menzionato deposito è certamente idoneo ad interrompere il predetto termine, trattandosi di un adempimento previsto dall’art. 88 del d. P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229.

4. E’ infondato anche il terzo motivo d’appello con il quale l’interessata deduce l’inesistenza dei presupposti per l’irrogazione della sanzione, nonché la eccessività della sanzione applicata.

I fatti addebitati alla dipendente ("omessa esecuzione di pignoramenti mobiliari… mancata redazione dei relativi verbali, sulla base della semplice dichiarazione di opposizione dei debitori e/o delle persone rinvenute al domicilio dei debitori") sono stati ritenuti dall’Amministrazione rivelatori di una grave violazione dei doveri d’ufficio, in quanto l’interessata avrebbe dovuto proseguire nel compimento degli atti a lei delegati, anche senza richiedere l’intervento della forza pubblica, intervento che, comunque, la dipendente si è astenuta dal richiedere.

Peraltro, la valutazione ordine alla gravità dei fatti addebitati, in relazione all’applicazione della sanzione, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile dal giudice della legittimità se non in ipotesi di eccesso di potere nelle sue diverse forme sintomatiche (Cons. Stato, sez. VI, 11 agosto 2000, n. 4484 e 7 marzo 1997, n. 387; sez. IV, 16 aprile 1998, n. 636); tali ipotesi non si configurano nella specie, stante l’inequivocità dei medesimi fatti sostanzialmente non contestati dall’interessata.

Né è dato di ravvisare alcuna sproporzionalità della sanzione irrogata , in quanto il parere della Commissione ed il decreto ministeriale danno adeguato conto delle ragioni in base alle quali si è pervenuti all’applicazione della sanzione nella predetta misura, avuto specialmente riguardo al comportamento recidivo della dipendente.

Vanno, altresì disattese le censure di difetto di motivazione e di carenza di istruttoria.

L’Amministrazione ha indicato adeguatamente ed esaurientemente i motivi che hanno condotto all’irrogazione della sanzione di cui è causa, mentre l’evidenza dei fatti ha reso superfluo l’espletamento di qualsiasi attività istruttoria.

5. Le considerazioni esposte consentono di ritenere infondato anche il quarto (ed ultimo) motivo dell’appello con il quale l’interessata insiste nella censura di difetto di motivazione.

6. In base alle pregresse considerazioni, l’appello deve essere respinto.

Si ravvisano, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV) rigetta il ricorso in appello proposto da TRAMA Donatella, come in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 27 novembre 2000, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), in camera di consiglio, con l’intervento dei Signori:

Pasquale de Lise Presidente

Domenico La Medica Consigliere, estensore

Costantino Salvatore Consigliere

Pietro Falcone Consigliere

Cesare Lamberti Consigliere

 

Depositata il 09.01.2001