ItaliaOggi 6.10.00

ENTI LOCALI

IL T. U. DEGLI ENTI LOCALI l Dal dlgs 267/2000 discende la necessità di modifiche agli statuti

Il dirigente avvocato del Comune

Per il sindaco è possibile delegare la rappresentanza legale

DI LUIGI OLIVERI

I modi di esercizio della rappresentanza dell'ente sono uno dei punti essenziali che i comuni potranno affrontare nell'operazione di adeguamento degli statuti a seguito dell'entrata in vigore del dlgs 267/2000 (T.u. enti locali).

L'articolo 6, comma 2, del Testo unico sul punto della rappresentanza va considerato sotto i diversi punti di vista della definizione dell'esercizio della rappresentanza (eventualmente anche giudiziale) da un lato, e della competenza a stabilire la costituzione in giudizio, dall'altro.

I due aspetti, pur collegati, infatti, si pongono su due piani distinti.

ESERCIZIO DELLA RAPPRESENTANZA

Ai sensi dell'articolo 50, comma 2, del Testo unico, la rappresentanza legale dell'ente è per legge del capo dell'amministrazione (sindaco o presidente della provincia).

Attraverso gli statuti, allora, non è possibile prevedere che la rappresentanza possa essere assegnata anche ad altri organi o soggetti.

L'articolo 6, comma 2, del T.u. non attribuisce allo statuto la possibilità di assegnare ad altri soggetti, ma di specificare "i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente".

La soluzione che appare più coerente al sistema previsto dall'art. 6, comma 2, appare quella della delega della rappresentanza.

Nello statuto, allora, ferma restando la competenza generale ex lege del sindaco, si può prevedere la possibilità che il capo dell'amministrazione di volta in volta, in base alla portata degli atti da compiere, deleghi un altro soggetto a esercitare la rappresentanza dell'ente.

La delega può ben essere attribuita ai dirigenti: ciò sarebbe, del resto, coerente con quanto previsto dall'art. 107, comma 3, lettera ì), del dlgs 267, a mente del quale ai dirigenti possono compiere "gli atti a essi attribuiti dallo statuto e dai regolamenti, o, in base a questi, delegati dal sindaco". Ovviamente, la delega ai dirigenti dovrebbe riguardare solo il compimento di quegli atti che essi non possano già porre in essere, sulla base della loro funzione di organi dell'ente, come tali in grado di impegnarlo verso l'esterno.

La delega potrebbe, allora, anche riguardare altri tipi di competenze, come anche la stipulazione di convenzioni.

In questo caso, tuttavia, sarebbe probabilmente da ritenere ammissibile anche la delega a un assessore, specie se la convenzione da stipulare abbia valenza soprattutto politica.

Lo statuto potrebbe anche consentire una delega generale, con la specificazione degli atti e dei limiti entro i quali è esercitabile, al fine di evitare l'emanazione di una delega per ciascun singolo caso.

Un'altra strada che pare comunque ammissibile è la diretta attribuzione, senza la mediazione della delega, ai dirigenti dell'esercizio della rappresentanza (in giudizio e in altre circostanze) nello statuto: la carta statutaria potrebbe specificare che a ciascun dirigente, secondo le sue competenze, spetti la possibilità di esercitare la rappresentanza dell'ente. In questo caso, però, sarebbe opportuno specificare i casi nei quali è possibile l'esercizio. Questa scelta, pur legittima, appare però meno pratica, data la rigidità che caratterizza lo statuto.

LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO

La decisione statutaria di assegnare ai dirigenti l'esercizio della rappresentanza giudiziale è, secondo alcuni autori, il presupposto per risolvere il problema della competenza all'assunzione del provvedimento col quale l'ente si costituisce in giudizio.

Certo, se al dirigente (che potrebbe essere il preposto all'ufficio legale o agli affari generali, oppure ciascun dirigente di area) è consentito di esercitare la rappresentanza dell'ente, appare coerente anche attribuirgli la competenza a decidere di costituirsi in giudizio. Tuttavia, non appare questa la strada per ritenere ammissibile la competenza dirigenziale a decidere di stare in giudizio.

La dottrina che sostiene la competenza della giunta ha sempre fondato la sua tesi sulla considerazione che parrebbe incongruo che ad adottare la decisione di costituirsi in giudizio sia un soggetto, il dirigente, che pur essendo funzionalmente subordinato al sindaco, finirebbe col proprio provvedimento per autorizzare il sindaco a stare in giudizio.

In realtà, detta tesi non sembra appagante, in considerazione del fatto che il provvedimento di costituzione in giudizio a ben guardare non esplica alcun effetto, se non quello di adottare e manifestare la volontà dell'ente a stare in causa, non ricavandosi affatto la necessità di autorizzare alcuno a rappresentare l'ente.

Poiché, infatti, la rappresentanza giudiziale è per legge del sindaco, il provvedimento di costituzione in giudizio non può avere alcun effetto autorizzatorio, ma semmai ricognitorio, prendendo atto che il rappresentante non può che essere il capo dell'amministrazione.

Da questo punto di vista, allora, la competenza dirigenziale poteva ammettersi anche prescindendo dal Testo unico.

A maggior ragione col Testo unico, la competenza dovrebbe ritenersi comunque dirigenziale, una volta che la giunta non possa più compiere atti di amministrazione, ma solo di governo.

Appare, infatti, chiaro che il provvedimento di costituzione in giudizio (specie quando è conseguenza di un'iniziativa giudiziale di terzi) abbia aspetti assolutamente tecnico-gestionali e non di governo.