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n. 01-2001.

RICCARDO NOBILE

Piccoli comuni e responsabili dei servizi fra il d.lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388. Una querelle mai sopita.

1. Introduzione.

Come è noto, l’art. 107 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha definitivamente fissato il principio della separazione fra attività di indirizzo e controllo politico, di competenza degli organi di governo, ed attività di gestione, di competenza dei dirigenti e, ove non vi siano, dei responsabili degli uffici e dei servizi.

La ragione della partizione ratione materiae è di tutta evidenza: la complessità dell’attività gestionale presenta elementi di caratterizzazione tecnica tali da rendere necessario che essa sia svolta da soggetti dotati di specifica competenza, e quindi esperti del fatto tecnico ad essa immanente.

E’ evidente il superamento della logica sottesa al modo di concepire l’attività amministrativa rispetto alla normativa pregressa, ossia alla legge 8/6/1990 n. 142.

In quell’ambito, tutta l’attività dell’ente locale era svolta direttamente dagli organi di governo, i quali, limitatamente all’adozione degli atti collegiali, erano meramente supportati dai referti tecnico – contabili – e di legittimità, rispettivamente, del responsabile del servizio interessato, del responsabile del servizio di ragioneria e del segretario comunale.

Logica, questa, quasi completamente obliterata dalle riforme che si sono succedute nel tempo, e che sono intervenute in modo non semplice, ma almeno duplice.

In primo luogo, introducendo sia il principio della separazione fra attività di indirizzo e controllo ed attività di gestione, sia il principio secondo cui l’attività di gestione si attua mediante atti negoziali o provvedimentali del vertice dell’apparato burocratico, in piena autonomia, nel rispetto delle linee di indirizzo primario del consiglio comunale e subprimario della giunta comunale, assunte e rese esplicite nel bilancio di previsione e nei documenti fondamentali dell’ente, e nel piano esecutivo di gestione o strumenti consimili di programmazione secondaria.

In secondo luogo, erodendo progressivamente le competenze della giunta comunale, sottraendole la titolarità di una serie cospicua di competenze, ascritte ai vertici burocratici dell’ente locale, perché atti di gestione, e come tali espressamente ed esemplificativamente nominati dalla legge.

Momenti significativi di questa tendenza sono stati, in via generale il D.Lgs. 3/2/1993 n. 29, chiara attuazione in subiecta materia, del principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione, che fin dalle sue prime disposizioni ha introdotto il principio della necessaria separazione (art. 3), il D.Lgs. 31/3/1998 n. 80, che ha espressamente enunciato che tutte le competenze già ascritte agli organi di governo devono essere intese eo ipso ed ispo iure trasferite all’apparato burocratico nei suoi vertici, la legge 15/5/1997 n. 127, che ha modificato in parte qua l’art. 51 della legge 8/6/1990 n. 142, ribadendo il principio della separazione per gli enti locali territoriali, ed elencando in via esemplificativa, una seria di materie a natura gestionale, ascritte alla competenza funzionale dei vertici burocratici dell’ente, la legge 16/6/1998 n. 191, che ha reiterato il concetto, integrando la suddetta elencazione, ed arricchendola di interessanti spunti per trarre da essa ulteriori elementi di esemplificazione, e, da ultimo, il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Il disegno così bene delineato dal legislatore è stato incrinato dalla recente approvazione dell’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, il quale ha introdotto nell’ordinamento una seria aporia dogmatica, foriera di confusioni non ancora completamente intuibili nella loro massima estensione.

Non deve essere infatti dimenticato che un sistema aporetico, ossia che contiene al proprio interno una contraddizione, finisce inevitabilmente col divenire apeiretico, ossia sostanzialmente indecidibile nelle conseguenze che da esso possono discendere, poiché da esso si possono logicamente trarre tutti i corollari pensabili, senza che sia possibile alcuna forma di controllo di tipo formale (es: dalla congiunzione dalle premesse "piove" e "non piove" si inferisce in modo formalmente ineccepibile che "la luna è fatta di formaggio verde").

Sia pure non con questa evidenza, queste sono le conseguenze che da qualche tempo sono proprie del sistema delle autonomie locali, e soprattutto delle piccole realtà locali, nelle quali - e ciò è sotto gli occhi di tutti – si sentono accreditare le tesi più stravaganti proprio in materia di separazione delle competenze.

Dal canto proprio, il legislatore ha ispirato la propria azione in modo contrapposto, prima completando in modo coerente il sistema della separazione (punto 2.), e poi incrinandolo (punto 3.).

Di ciascuno dei due momenti è bene dire partitamente.

2. …promissio boni viri est obbligatio.

Se quello delineato è il sistema coerente delle competenze nell’ambito dell’ente locale territoriale, non certo ricostruito con correttezza diacronica, unico punto stridente nella sistematica de qua era costituito dal comma 2 dell’art. 19 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77, integrato dall’art. 6 del D.Lgs. 11/6/1996 n. 336 il quale consentiva, fra l’altro, per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti, di ascrivere la responsabilità gestionale ai membri della giunta comunale.

La disposizione, infatti prevedeva espressamente che "per i comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti e per le comunità montane, l'organo esecutivo può, con delibera motivata che riscontri in concreto la mancanza assolutamente non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, affidare ai componenti dell'organo esecutivo medesimo la responsabilità dei servizi, o di parte di essi, unitamente al potere di assumere gli atti di gestione".

Disposizione saggiamente e doverosamente espunta dall’ordinamento con l’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 23/10/1998 n. 410, in applicazione del principio, probabilmente ormai assurto a rango di principio di costituzione materiale, della necessaria separazione fra attività di indirizzo ed attività di gestione, che opera, evidentemente, non solo dal punto di vista oggettivo, ma anche da quello soggettivo, imponendo l’estromissione degli organi di governo e dei loro componenti dallo svolgimento di qualsivoglia attività gestionale, perché sostanzialmente privi delle necessarie cognizioni tecniche.

Il legislatore, così, ha mostrato di aver fatto proprio tale immanente principio, consentendone l’attualizzazione anche nei comuni in cui gli apparati burocratici sono privi di dirigenza.

Con l’art. 51, comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142, modificato in parte qua dall’art. 6, comma 2 della legge 15/5/1997 n. 127, è stato espressamente previsto che tutti gli atti di competenza della dirigenza contrattualizzata siano adottabili dai responsabili degli uffici e dei servizi, nell’accezione che sarà poi individuata dal contratto collettivo nazionale quadro per il comparto enti locali del 31/3/1998, precisato dal successivo contratto dell’1/4/1998, ulteriormente valorizzato per il settore della polizia municipale dall’art. 29 dell’accordo integrativo di comparto del 14/9/2000.

Il disegno pareva definitivamente portato a compimento dall’art. 107 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che ha cristallizzato il principio di separazione, con ciò consolidando il suddetto principio di costituzione materiale di diretta derivazione dell’art. 97 Cost.

La norma da ultimo citata, letta in combinato disposto con il successivo art. 109, infatti, ha ascritto la competenza funzionale all’adozione degli atti di gestione, di cui il suo comma 3 costituisce una mera elencazione esemplificativa, ai responsabili dei servizi, che possono essere o meno dirigenti contrattualizzati, circoscrivendo la loro azione al rispetto della legge, dello statuto, dei regolamenti ed agli atti di indirizzo politico promananti dagli organi di governo.

Quanto appena delineato nei suoi tratti essenziali è stato però di recente incrinato dall’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388.

3. …..sapientis est mutare consilium ?

Ancora una volta il quadro coerentemente delineato dal legislatore è stato intaccato, introducendo nell’ordinamento una disposizione, la cui formulazione è del tutto simile a quello già presente nell’art. 19 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77.

L’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388, ha infatti previsto che "gli enti locali con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti fatta salva l'ipotesi di cui all'articolo 97, comma 4, lettera d), del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che riscontrino e dimostrino la mancanza non rimediabile di figure professionali idonee nell'ambito dei dipendenti, anche al fine di operare un contenimento della spesa, possono adottare disposizioni regolamentari organizzative, se necessario anche in deroga a quanto disposto all'articolo 3, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio 1993, e all'articolo 107 del predetto testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, attribuendo ai componenti dell'organo esecutivo la responsabilità degli uffici e dei servizi ed il potere di adottare atti anche di natura tecnica gestionale. Il contenimento della spesa deve essere documentato ogni anno, con apposita deliberazione, in sede di approvazione del bilancio".

La disposizione, in considerazione della sua formulazione, non sfugge alle censure che erano state mosse all’art. 19 del D.Lgs. 25/2/1995 n. 77, nel testo introdotto dall’art. 6 del D.Lgs. 11/6/1996 n. 336.

Rispetto a tale norma, però, il testo sostanzialmente analogo da ultimo introdotto, pecca per ipocrisia: il ricorso all’avverbio "anche", riferito "al fine di operare un contenimento della spesa", ben lungi dall’essere una ragione meramente eventuale della deroga, di essa è l’unica ragione plausibile e concretamente pensabile, anche alla luce del regime di controllo e prova che il legislatore ha previsto, quando ha imposto che in sede di bilancio il conseguimento dell’effettivo risparmio di spesa sia documentato di anno in anno con apposita deliberazione.

Che la novella legislativa abbia introdotto novità nell’ordinamento è cosa ovvia. Che la novella sia buona è però cosa fortemente dubbia, per una serie di ragioni di vario genere.

In primo luogo, la ragione autenticamemente giuridica della modifica legislativa non è indicata con precisione e chiarezza, ma lasciata nell’ombra.

Se il principio di separazione risponde ad esigenze di buon andamento e di professionalizzazione dell’attività della pubblica amministrazione, allora non si capisce affatto come esso possa essere conseguito ed attualizzato sottraendo la competenza all’adozione degli atti di gestione ai vertici burocratici dell’ente locale territoriale, formati con fatica, ed in attuazione di normative di settore la cui funzione era quella di rendere stabili e fortemente professionali i vertici di tali enti.

In secondo luogo, la modifica legislativa urta frontalmente con tutto l’assetto contrattuale ultimo del comparto enti locali, teso alla valorizzazione dei responsabili degli uffici e dei servizi, attraverso la previsione della relativa sfera di competenze funzionali, in tutto e per tutto giuridicamente equiparata a quella dei dirigenti contrattualizzati.

E qui deve essere rimarcato che tutte le proposte contrattuali, poi trasfuse nei contratti collettivi nazionali di comparto, hanno a suo tempo ricevuto l’attestazione di compatibilità economica da parte della Corte dei conti, segno evidente dell’assenza di discrasie con il sistema dei conti generali dello stato complessivamente inteso anche ai fini dei suoi rapporti con gli organismi comunitari.

In terzo luogo, se è vero che il legislatore ha indicato nella necessità di contenere la spesa una delle possibili motivazioni - peraltro tutta da dimostrare in concreto - della previsione della novella legislativa, dall’altro non ha tratto affatto le conclusioni logico-giuridiche che avrebbe dovuto inferire dalla premessa.

Il contenimento delle spesa pubblica non si attua deprofessionalizzando l’attività degli enti locali territoriali, oltre tutto dopo che il legislatore ha mostrato di volerli considerare, in applicazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 4, comma 3, lett. a) della legge 15/3/1997 n. 59, quali enti di front office rispetto alla collettività amministrata, ma portando a compimento il disegno di associazione nell’esercizio di funzioni o di accorpamento degli enti di modeste dimensioni, i cui bilanci assorbono, per la mera gestione corrente, la più gran parte delle risorse, ed osservando che un ente locale territoriale si qualifica positivamente nei confronti della collettività di cui è esponenziale attualizzando interventi in conto capitale ed erogando servizi secondo standards di ottimalità, in assenza di che diviene assai difficile giustificarne l’esistenza.

Ciò che si intende evidenziare è che il problema dei cosiddetti "comuni polvere" non si risolve certo incrinando il principio di separazione, ma rafforzandolo e coniugandolo con la logica della programmazione e della gestione per ambiti territoriali ottimali, i quali soli, ferma l’ineludibile necessità di professionalità, consentono di conseguire reali economie di scala a livello nazionale..

In questo senso, del resto, il legislatore nazionale ha mostrato una qualche sensibilità, prevedendo all’art. 3, comma 2 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112 che siano le regioni a determinare i livelli ottimali per l’esercizio delle funzioni da conferire agli enti locali territoriali, proprio con particolare riferimento ai comuni di minore consistenza demografica. Orientamento, poi, ripreso dall’art. 33, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, secondo il quale "al fine di favorire l’esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica, le regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative" apposite, ossia in quelle indicate dal precedente art. 4, comma 5.

In quarto luogo, la novella legislativa è priva di coerenza vista in chiave sia propedeutica, sia consequenziale.

Dal primo punto di vista è curioso l’accostamento del presupposto dei poteri di deroga al principio di separazione al modo dell’attivazione della deroga stessa. In particolare non è facilmente comprensibile come possano gli enti locali territoriali argomentare a favore della sussistenza dei presupposti per la deroga al principio di separazione dopo essersi muniti di responsabili dei servizi e degli uffici, indipendentemente dal livello professionale di inquadramento.

La normativa contrattuale vigente, infatti, prevede, per i comuni privi di dirigenza contrattualizzata, che la responsabilità dei plessi amministrativi dell’ente locale possa essere affidata a dipendenti di qualifica professionale D, ovvero, in mancanza di tali profili fra i dipendenti strutturati nell’ente, di qualifica professionale C o B (art 11, comma 3 del contratto collettivo quadro – comparto enti locali – del 31/3/1998), tali nominati proprio con decreto sindacale ai sensi dell’art. 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, sulla base della riconosciuta capacità ed idoneità ad assumere la titolarità dell’organo cui sono preposti. I regolamenti di organizzazione (rectius: degli uffici e dei servizi) devono, infatti, contenere le ragioni della deroga, che sono difficilmente argomentabili, proprio in ragione degli atti presupposti: la preposizione all’ufficio di responsabile di servizio da parte del sindaco, accompagnata dal riconoscimento dell’apposita indennità di posizione e dalla stipulazione del relativo contratto individuale di lavoro.

Dal secondo punto di vista è comunque doveroso osservare che nessun membro dell’organo esecutivo (rectius: della giunta) possa oggi sensatamente adottare con scienza e coscienza, in assenza di specifica preparazione in materia, atti a rilevanza esterna senza il conforto delle usuali attestazioni di regolarità istruttoria di competenza del responsabile del procedimento. E qui, delle due l’una: o il responsabile del procedimento è idoneo a formare lo schema di atto ed a refertarlo, ed allora è falso che l’ente manca irrimediabilmente di figure professionali idonee al compimento degli atti di gestione - ed il ragionamento vale a fortiori per il responsabile del servizio, che o è responsabile della totalità dei procedimenti del plesso, o delega tale responsabilità ad altri soggetti sottoposti - ovvero l’ente è affatto privo di professionalità purchessia, ed allora l’organo di governo deve seriamente porsi il problema di guardare in termini reali e costruttivi alle ragioni dell’esistenza dell’ente locale nella cui struttura è immedesimato.

Ciò che si intende evidenziare è che il verificarsi di un corretto assetto sostanziale nella struttura burocratica dell’ente locale non può in alcun modo fornire l’alibi formale che giustifica l’annullamento del principio della necessaria separazione fra attività di indirizzo politico ed attività di gestione, il che, detto altrimenti, significa che l’atto di gestione, provvedimentale o negoziale che sia, deve essere adottato da chi è in grado di condurre la relativa attività istruttoria e completarla ritualmente.

In quinto luogo, la novella legislativa non è esente da fumus di incostituzionalità.

Ciò può essere mostrato osservando che l’art. 107 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 ha consolidato il principio di separazione nell’ente locale territoriale inquadrandolo in un assetto normativo ispirato al principio della competenza funzionale, e come tale priva di elementi di confusione fra organi, ispirato, come si è già avuto modo di rimarcare, al principio di buon andamento dell’attività amministrativa ed alla sua imparzialità.

Qui vale la pena di rimarcare che le conseguenze che dal principio di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione si debbono trarre non possono essere né eluse, né elise dal superiore principio di legalità, che pur presiede all’attività della pubblica amministrazione.

Che l’attività della pubblica amministrazione sia assoggettata alla legge è cosa fin troppo ovvia; meno ovvio, però, e che la legge non possa prevedere discipline particolari che inficino il principio di buon andamento ed imparzialità.

Il soddisfacimento dei due principi, infatti, presuppone sì l’intervento del legislatore con atti aventi forza di legge, con ciò soddisfacendo quanto previsto dall’art. 97, comma 1, prima parte Cost.

La norma, però, non può introdurre elementi di disturbo al buon andamento ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, né può contenere elementi di irragionevolezza, a pena di contrastare con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. nell’interpretazione che di esso è stata data dalla Corte costituzionale.

Nel disegno complessivo attuato dalla Costituzione, la produzione normativa in materia di organizzazione degli uffici pubblici, infatti, non è fine a sé stessa, ma deve essere funzionalizzata ad assicurare "il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione", determinando, fra l’altro, "le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari" (art. 97, comma 2 Cost.).

E la verifica in concreto del rispetto del nesso di necessaria funzionalizzazione fra il contenuto della normativa di settore e la garanzia, nei fatti, del soddisfacimento dei principi di buon andamento ed imparzialità costituisce proprio il momento di riscontro della sua conformità al dettato costituzionale in termini di ragionevolezza.

Né si dica che la diversità di trattamento prevista in nuce per i comuni con popolazione inferiore ai 3000 abitanti costituisce valido elemento di differenziazione che legittima l’obliterazione del principio di separazione.

Il paradigma altro non è, giacché propriamente è altro.

L’elemento di diversità, per l’ordinamento complessivamente inteso, è dato non da elementi transeunti quali il mero riferimento a dati demografici, ma dalla differente natura giuridica dell’attività di gestione rispetto all’attività di indirizzo e di controllo politico, differenti per natura e connotazione, le quali, proprio in attuazione del principio di buon andamento ed imparzialità, devono essere ascritte alla competenza funzionale di soggetti differenti e diversi per provenienza ed estrazione nell’ambito della struttura dell’ente locale territoriale.

In definitiva, sembra proprio evidente che la previsione contenuta nell’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388 non sfugga a censure di incostituzionalità per violazione del combinato disposto degli artt. 97 e 3 della Costituzione.

4. Le procedure e le conseguenze.

La possibilità di addivenire alla modificazione dell’assetto delle competenze, negando nei fatti il principio di separazione, è circoscritto da particolari cautele procedimentali e circondato da precisi oneri motivazionali, tutti diretta conseguenza della specialità della normativa de qua, da interpretare, a sua volta, secondo stretto diritto.

Il titolo giuridico della deroga al principio della separazione è chiaramente rinvenibile nella legge, la quale legittima la giunta comunale alla modificazione del regolamento degli uffici e dei servizi che essa è competente ad adottare in attuazione dell’art. 48, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

La modifica regolamentare, in taluni casi, può essere condizione necessaria, ma non sufficiente: l’ente, se del caso, dovrà modificare propedeuticamente il contenuto programmatico degli indirizzi generali in materia di personale adottato dal consiglio, nonché il contenuto dello statuto, qualora avesse ascritto rilevanza statutaria e comunque consiliare al principio di separazione.

La modificazione del regolamento degli uffici e dei servizi, peraltro, non è necessaria quando il sindaco decida di attribuire la responsabilità dei servizi al segretario comunale ai sensi dell’art. 97, comma 4, lett. d) del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, fattispecie sempre attivabile, sia pur circoscrivendone la portata alla dimostrazione che i precedenti responsabili di servizio non sono muniti delle richieste capacità gestionali.

A questo proposito non può essere sottaciuto che la revoca degli "incarichi dirigenziali" deve essere sempre sorretta da idonea motivazione da parte dell’organo di vertice dell’ente locale territoriale, rendendo così attivabile il controllo giurisdizionale da parte del giudice del lavoro, ora competente in subiecta materia, che in tal senso ha già avuto modo di pronunciarsi in modo quasi sempre favorevole al dirigente od al responsabile di servizio.

Né deve essere dimenticato che la revoca degli "incarichi dirigenziali" può essere attivata solo nel rispetto dell’art. 109 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, non toccato dagli effetti derogatori dell’art. 53, comma 23 della legge 23/12/2000 n. 388.

Per contro, la modifica dell’assetto regolamentare dell’ente locale è necessaria quando il sindaco intenda conferire parte delle responsabilità al segretario comunale, e parte ai membri della giunta comunale, ipotesi percorribile, in assenza di espliciti divieti normativi.

Come si è avuto modo di evidenziare nella precedente partizione, le reali possibilità di modifica del regolamento degli uffici e dei servizi sono scarse, almeno dal punto di vista logico – giuridico, poiché non deve essere dimenticato che la modificazione del suddetto regolamento non può essere vista isolatamente, ma deve essere inserita nella più ampia trama dei provvedimenti organizzatori di cui l’ente locale territoriale si è dotato, primi fra tutti i provvedimenti di nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi da parte dei sindaco, rendendo attivabile, in tal modo, il sindacato per eccesso di potere in sede giurisdizionale.

La conseguenza della modificazione del regolamento degli uffici e dei servizi è che l’assessore preposto al servizio può compiere atti di gestione, e quindi adottare, sottoscrivendole, le determinazioni gestionali attuative degli indirizzi di programmazione primaria e subprimaria del consiglio e della giunta comunale, nonché tutti gli atti di gestione indicati esemplificativamente dall’art. 107, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Dubbio è che l’assessore possa intervenire apponendo i prescritti pareri di regolarità tecnica e tecnico-contabile sulle proposte di deliberazione come disposto per i responsabili di servizio di estrazione burocratica dall’art. 49 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. In questo caso, il referto di regolarità della proposta di deliberazione, qualora ritenuto ammissibile, non potrà non essere supportato da un previo riscontro in analoghi termini da parte del funzionario prima preposto al servizio, con ciò rendendo ancora più stridente il contenuto della riforma legislativa.

La norma desumibile dalla novella legislativa, in definitiva, attua, sia pure inopinatamente, un’irrazionale e caduca deroga al principio di separazione delle competenze, introducendo, fra l’altro, un curioso momento di ulteriore dubbio sulla bontà complessiva dell’intera operazione, per la cui soluzione non è agevolmente possibile indicare soluzioni ortopedico-giuridiche di sorta, a pena di ulteriormente indebolire lo stesso principio di separazione, rendendo il tutto, che assomiglia sempre più ad un vero e proprio monstre giuridico, ancora meno aderente al principio di buon andamento ed imparzialità di chiara derivazione costituzionale.

L’allusione è al fatto che, in primo luogo, se gli assessori comunali vengono nominati responsabili dei servizi, allora essi soggiacciono per intero al potere di coordinamento del segretario comunale, che ne è titolare in forza dell’art. 97, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, e, in secondo luogo, gli assessori coordinati ex lege dal segretario comunale sono i componenti dell’organo che deve obbligatoriamente intervenire deliberativamente per addivenire proprio all’eventuale revoca del segretario comunale, come disposto dall’art. 100 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.

Come possa il segretario comunale, coordinatore degli "assessori-responsabili dei servizi", essere revocato previa deliberazione di un organo di cui fanno parte gli "assessori-coordinati", ovvero coordinare chi è collegialmente arbitro nella sua permanenza nell’ente, è fattispecie della quale sfugge ogni possibilità di ragionevole comprensione.

Qui vale solo la pena di rimarcare che, verificate tutte le incongruenze ordinamentali accennate, la premessa legislativa da cui esse prendono corpo dovrebbe essere puramente e semplicemente eliminata dall’ordinamento modo tollendo tollens.

Per la soluzione del problema non resta che rimandare all’infinita scienza del legislatore.

V. in argomento anche gli articoli di L. OLIVERI, Il doppio regime dell'ordinamento locale e Comuni con meno di 3.000 abitanti: è possibile la gestione degli organi di governo in contemporanea con la gestione da parte del segretario comunale?, entrambi pubblicati in questa rivista.