Italia Oggi, 5.4.00

Tar Catania, sezione 1, 12 febbraio 2000, n. 103

Il risarcimento dei danni per mancata aggiudicazione di appalto

La sentenza in commento (per il testo integrale è possibile consultare il sito Internet www.diritto.it) fornisce una interessante interpretazione del risarcimento dei danni per mancata aggiudicazione di appalto, accogliendo una interpretazione restrittiva rispetto a quanto statuito da recenti precedenti giurisprudenziali (per l'orientamento estensivo vedi ItaliaOggi di venerdì 2 febbraio 2000) a seguito delle recenti modifiche normative del nuovo orientamento giurisprudenziali di cui è espressione la sentenza della Cassazione, sezioni unite, n. 500 dei 1999 che ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi.

In materia di appalti la novella legislativa di cui all'articolo 35, commi 1 e 5, del decreto legislativo n. 80 dei 31/3/1998, ha attribuito al giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ai sensi degli articoli 33 e 34, il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, abrogando contestualmente l'articolo 13 della legge 19/2/1992, n. 142 e ogni altra disposizione che aveva attribuito al giudice ordinario le controversie sul risarcimento dei danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi nelle medesime materie. Pertanto, rientra nella giurisdizione dei giudice amministrativo la cognizione della domanda concernente il risarcimento dei danni per la lesione di interessi legittimi dell'impresa vulnerata da procedimenti di evidenza pubblica. Tuttavia, osserva, la sentenza in commento, ai fini dell'affermazione di responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi occorre verificare che sussistano tutti gli elementi integrativi della fattispecie di responsabilità civile ex art. 2043 ce e cioè il fatto illecito, il danno ingiusto, il rapporto di causalità tra il fatto illecito e il danno. Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, a proposito della responsabilità civile derivante dall'annullamento di atti amministrativi illegittimi, in precedenza la giurisprudenza, anche più risalente, della Corte di cassazione aveva affermato che occorreva prescindere dalla prova dell'elemento soggettivo e che il dolo o la colpa erano in re ipsa, essendo di per sé ravvisabili nella violazione di legge con l'emanazione ed esecuzione dell'atto illegittimo (Cassazione sezioni unite 22/10/84 n. 5361; sezioni unite 23/12/97, n. 13021). Si era anche affermato che il diritto del privato al risarcimento dei danno patrimoniale consequenziale a un atto amministrativo illegittimo, annullato dal giudice amministrativo, non postulava la prova della colpa della pubblica amministrazione neppure nell'ipotesi di asserita oscurità della norma violata (Cassazione sezioni unite n. 13021/1997 cit.). Tale indirizzo non è stato condiviso dai giudici siciliani con la decisione in parola alla luce dell'evoluzione dell'ordinamento.

L'indirizzo tradizionale, rileva la sentenza, che riteneva doversi prescindere dalla prova rigorosa della colpa, muoveva da una duplice implicita premessa 1) che l'illegittimità (e quindi l'annullamento) dell'atto amministrativo derivasse da violazione di legge, a tale vizio riconducendosi essenzialmente anche l'incompetenza, essendo la violazione di legge una delle ipotesi tipiche di "colpa", secondo la nozione di colpa rilevante anche ai fini civilistici; 2) che fosse praticamente "diabolica" la prova della sussistenza di colpa o dolo in capo all'amministrazione, considerata la difficoltà di individuare la persona fisica nei cui confronti condurre la ricerca dell'elemento soggettivo e, comunque, non potendosi prescindere dal considerare l'amministrazione come "apparato". Deve osservarsi, precisa la motivazione, che, per un verso, nell'evoluzione della giustizia amministrativa, si è notevolmente ampliata l'area dell'illegittimità riconducibile a eccesso di potere (e perciò a violazione di regole extragiuridiche, a imperizia, negligenza, imprudenza, ma anche illogicità, ingiustizia manifesta, errore nei presupposti ecc.). Per altro verso, con la riforma del procedimento amministrativo e l'introduzione della figura del responsabile del procedimento, la ricerca dell'elemento soggettivo in capo ad una persona fisica che ha posto in essere il comportamento riferibile alla pubblica amministrazione è divenuta notevolmente più agevole. Ne consegue, secondo la decisione sopra indicata, che non può darsi per scontato l'indirizzo tradizionale che ritiene in ogni caso sussistente l'elemento soggettivo della colpa allorché l'atto amministrativo è stato dichiarato illegittimo.

Vero è che ogni volta che l'illegittimità dell'atto discenda, come nel caso di specie, da violazione di legge si giungerà alla medesima conclusione, giacchè la colpa consiste nell'inosservanza di norme, anche regolamentari. Tuttavia, anche in tale ipotesi, può non affermarsi con assoluta tranquillità l'equazione violazione di legge uguale colpa. Nel caso di specie, la violazione dell'art. 1, comma 6, della legge r. 21/98, in cui è incorso il seggio di gara, viene oggi affermata dalla sentenza a seguito di un lungo contrasto interpretativo, che ha visto intervenire gli stessi organi della pubblica amministrazione, con atti di indirizzo di contenuto contrario (con apposita circolare ed un parere dell'ufficio legislativo e legale della regione) e che ha dato luogo a pronunce anche di segno contrastante dello stesso giudice d'appello, essendosi consolidato solo nel luglio 1999 l'indirizzo del consiglio di giustizia siciliano (l'organo giudiziario di appello in materia amministrativa della regione siciliana) conforme all'interpretazione seguita dalla sentenza in commento. Ritiene la decisione in parola che un'incertezza sul reale contenuto della norma di cui si lamenta la violazione confermata dalla circostanza che è stato necessario un intervento chiarificatone dello stesso legislatore non possa non influire sull'accertamento del requisito della colpa, ai fìni dell'affermazione di responsabilità, che in siffatta fattispecie non potrebbe ritenersi sussistente. Ciò a maggior ragione nella ipotesi in cui la delibera impugnata, contenente una errata interpretazione della norma, che si ritiene illegittima, è intervenuta in epoca in cui nessuna pronuncia giurisprudenziale, né alcuna circolare, erano ancora intervenute, e perciò in una fase (nella vita di questa norma) assolutamente oscura, se non incomprensibile, come la vicenda interpretativa successiva ha pienamente dimostrato. Tutto ciò convince il collegio che ha deliberato la decisione di ritenere che nessuna colpa possa ravvisarsi per violazione della norma citata, la cui oscurità ha indotto solo progressivamente, in una vicenda interpretativa particolarmente tormentata, a determinarne la reale portata e contenuto che oggi il collegio assume a fondamento della pronuncia di illegittimità, ma che non era assolutamente certo e chiaro all'epoca in cui fu adottato il provvedimento oggi impugnato e dichiarato illegittimo.

Ne discende che, non essendo integrata la fattispecie di responsabilità civile ex articolo 2043 cc, non sussiste responsabilità dell'azienda intimata per difetto dell'elemento soggettivo della colpa e, pertanto, nessun risarcimento dei danni è dovuto pur essendo annullati gli atti di gara.

a cura di Ugo Di Benedetto