(Tratto da D&L - Rivista critica di Diritto del Lavoro - edizione on line - a cura degli Avv. Mario Fezzi e Stefano Chiusolo)

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RISARCIMENTO DANNI – DANNO PROFESSIONALE

  1. Dalla violazione dell’art. 2103 c.c. e dalla conseguente dequalificazione del lavoratore può derivare un danno alla professionalità, distinto dall’eventuale danno patrimoniale, biologico o morale che il fatto lesivo dequalificazione può produrre, essendo il bene della professionalità una componente dell’identità professionale di ogni soggetto protetto dall’art. 2 Cost. anche attraverso l’attribuzione di veri e propri diritti soggettivi; poiché la lesione del bene della professionalità non è facilmente rilevabile, la prova dell’esistenza di tale danno può essere fornita anche in via presuntiva, secondo l’id quod plerumque accidit (nella fattispecie, sul rilievo che il livello professionale delle mansioni in precedenza esercitate dalla lavoratrice non era elevatissimo e che la dequalificazione è stata di breve durata, il Pretore ha escluso l’esistenza di un danno alla professionalità) (Pret. Milano 28 marzo 1997, est. Ianniello, in D&L 1997, 791)
  2. La completa inattività del dipendente produce danni alla personalità, concernenti la vita di relazione e la dignità del lavoratore, nonché alla professionalità intesa con sviluppo di carriera o possibilità di ulteriori ricollocazioni (Pret. Milano 11/3/96, est. Curcio, in D&L 1996, 677)
  3. L’assegnazione a mansioni che impoveriscano il patrimonio professionale del lavoratore, inteso come insieme di specifiche conoscenze e capacità, e che causino un danno alla sua immagine professionale, compromettendo le opportunità di lavoro, configura un’ipotesi di dequalificazione e comporta il risarcimento del danno alla professionalità così cagionato; per la determinazione in via equitativa di tale danno si deve tener conto della retribuzione mensile e del protrarsi nel tempo della dequalificazione, poiché il danno cresce secondo una linea di sviluppo progressiva, correlata sostanzialmente al decorso del tempo, ma con le eventuali correzioni e attenuazioni legate alle diverse variabili caratteristiche di ogni distinta fattispecie (Pret. Milano 9/4/98, est. Negri della Torre, in D&L 1998, 704)
  4. L’assegnazione del lavoratore a nuove mansioni, che non gli consentono di utilizzare e valorizzare le conoscenze teoriche e le capacità professionali acquisite nelle fasi pregresse del rapporto, è illegittima, e comporta la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nelle precedenti mansioni, o in altre equivalenti, e al risarcimento del danno alla professionalità, suscettibile di valutazione equitativa da parte del giudice. Vale a tal fine il parametro della retribuzione che, peraltro, può essere utilizzato come termine di riferimento, ma non integralmente accolto, attesa la funzione della propria retribuzione, comprensiva di diversi elementi della prestazione e non solo della capacità professionale del lavoratore (Pret. Milano 19/2/99, est. Martello, in D&L 1999, 375)
  5. Il danno da dequalificazione deve essere quantificato in via equitativa. Il parametro della retribuzione percepita può tuttavia essere utilizzato per quella parte del risarcimento che è connessa con la perdita di capacità professionale del lavoratore (Pret. Milano 20/6/95, est. Curcio, in D&L 1995, 944)
  6. L'attribuzione al lavoratore di mansioni non equivalenti alle precedenti, o comunque inferiori a quelle del livello di inquadramento, costituisce violazione dell'art. 2103 c.c. e comporta la condanna del datore di lavoro sia a riassegnare le precedenti mansioni sia a risarcire il danno all'immagine professionale così cagionato; per la determinazione di tale danno, da compiersi in via equitativa, può farsi riferimento a una quota della retribuzione mensile commisurata alla durata della dequalificazione (Pret. Milano 28/10/94, est. De Angelis, in D&L 1995, 374. In senso conforme, v. Pret. Monza 14/11/94, est. Buratti, in D&L 1995, 375; Trib. Milano 6/7/96, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1997, 121)
  7. L’assegnazione di mansioni non equivalenti alle precedenti, in violazione dell’art. 2103 c.c., comporta la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del dipendente nelle precedenti mansioni, o in altre equivalenti, oltre al risarcimento del danno causato dalla lesione del patrimonio professionale, effettivo e potenziale; per la liquidazione del danno da compiersi in via equitativa può farsi riferimento a una quota della retribuzione lorda (nella specie il 50%), per il periodo di dequalificazione (Pret. Milano 1/4/98, est. Vitali, in D&L 1998, 992)
  8. L'illegittima dequalificazione del dipendente, avendo riflesso sulla sua immagine professionale e quindi sul suo "valore" sul mercato del lavoro, dà luogo a un danno patrimoniale risarcibile; la misura del risarcimento è determinabile in via equitativa, ai sensi degli artt. 1226 c.c. e 432 cpc, prendendo in considerazione, fra l'altro, il periodo di demansionamento e la relativa retribuzione (nella fattispecie è stato deciso un risarcimento pari al 50% della retribuzione dovuta per il periodo di demansionamento, non rivalutata) (Pret. Milano 16/9/94, est. De Angelis, in D&L 1995, 143)
  9. L'illegittima assegnazione del lavoratore a nuove mansioni non equivalenti alle precedenti, obbliga il datore di lavoro al risarcimento del danno alla professionalità, suscettibile di determinazione in via equitativa da parte del giudice, valendo a tal fine il parametro della retribuzione che, peraltro, può essere utilizzato come termine di riferimento, ma non integralmente accolto, attesa la funzione propria della retribuzione, compensativa di diversi elementi della prestazione e non solo della capacità professionale del lavoratore (Pret. Milano 26/8/96, est, Martello, in D&L 1997, 140)
  10. In ipotesi di accertata illegittima dequalificazione, incombe sul lavoratore che agisca per ottenere il risarcimento del danno alla professionalità, l’onere della prova in relazione all’esistenza e all’entità del danno stesso, quantificabile equitativamente, in funzione di parametri quali la durata del demansionamento subito, e i suoi riflessi sul valore del lavoratore sul mercato, e sulla sua immagine professionale (Trib. Milano 9/11/96, pres. Gargiulo, est. de Angelis,, in D&L 1997, 360, n. Tagliagambe, Verso la dequalificazione del danno da dequalificazione)
  11. Dall'illegittima esclusione di un lavoratore da un concorso bandito dal datore di lavoro per l'assegnazione di una qualifica superiore discende il diritto del lavoratore al risarcimento del danno sofferto, consistente nella perdita di chances o probabilità di promozione da liquidarsi in via equitativa, non essendo possibile una stima precisa in merito a tali probabilità (Pret. Lucca 26/10/94, est. Bartolomei, in D&L 1995, 648, nota SCORCELLI)
  12. L'azione di risarcimento del danno alla professionalità, causato da illegittimo demansionamento, è soggetta a prescrizione ordinaria decennale, e non a prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., trattandosi di diritto al risarcimento di un pregiudizio di natura patrimoniale cagionato da illecito contrattuale, per violazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., e non da illecito extracontrattuale (Pret. Milano 11/1/96, est. Peragallo, in D&L 1996, 741)