Dal sito: www.giust.it

 

GIUSEPPE CIAGLIA
(Avvocato)

La semplificazione dell’attività dell’amministrazione.
La semplificazione normativa.

1. Premessa e descrizione del quadro di riferimento.

Con la legge 24 novembre 2000, n. 340 – legge di semplificazione 1999 si riapre il discorso sulla politica governativa di snellimento e razionalizzazione dell’attività dell’amministrazione.

L'esigenza di semplificare è intrinseca a tutti i sistemi complessi e, quindi, in particolare, al nostro sistema amministrativo.

Non si pensi, tuttavia, che sia un’esigenza solo italiana.

L'iniziativa del governo in materia di redazione di testi unici, semplificazione e delegificazione è strettamente connessa ai processi che l'Unione europea, l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), l’FMI (Fondo Monetario Internazionale) e il WTO (World Trade Organization - Organizzazione Mondiale per il Commercio) nonché molti dei paesi economicamente più sviluppati hanno di recente intrapreso in materia di riforma della regolazione [1].

Molto frequenti sono stati, quindi, gli scambi bilaterali con i principali governi europei e, in particolare, con la Francia, che ha da tempo avviato un processo di codificazione del diritto vigente, con il Regno Unito, che con il governo laburista ha trasformato la politica di "deregulation" in politica di "better regulation", con la Spagna. Stretti contatti sono stati altresì tenuti con il governo americano, che sotto la guida del vicepresidente Gore, ha intrapreso una poderosa opera di riduzione della normativa in vigore, che avrebbe dovuto portare al dimezzamento della stessa.

Sul piano delle istituzioni comunitarie, ben tre risoluzioni del Parlamento europeo hanno stigmatizzato la necessità di pervenire ad una migliore qualità redazionale dei testi legislativi, richiedendo che la forma dell'azione comunitaria sia quanto più possibile semplice e che la Comunità legiferi soltanto per quanto necessario [2].

Sulla stessa linea di tendenza si pongono, altresì, numerose risoluzioni delle sopracitate organizzazioni internazionali che, ponendo in risalto la spropositata crescita del numero di leggi e regolamenti vigenti [3], affermano che se "la regolazione ha aiutato i governi ad ottenere risultati importantissimi nel proteggere un'ampia gamma di valori sociali ed economici, attualmente le tradizionali forme amministrative di controllo e supervisione non appaiono adatte ad assicurare che i crescenti poteri regolatori siano utilizzati in maniera efficace dal punto di vista dei costi e coerente col raggiungimento di quei risultati".

2. Rapido excursus storico sulla attività di semplificazione in Italia.

La necessità di semplificare il nostro sistema amministrativo, avvertito come pesante, lento, inefficace, più spesso di ostacolo che di supporto, è stata ripetutamente affermata sin dall'inizio del secolo scorso.

Già nei primi anni successivi all'unificazione d'Italia erano state rilevate inefficienze e carenze del sistema amministrativo.

Fra il 1918 ed il 1992 furono redatti circa 60 progetti di riforma della pubblica amministrazione: oltre un terzo di questi contenevano proposte dirette alla semplificazione dell'azione amministrativa e almeno sei erano direttamente finalizzati a tale scopo [4].

Inoltre, diverse commissioni furono incaricate dell’approfondimento della tematica relativa alla lentezza ed inefficienza dell’amministrazione pubblica nazionale: tra gli studi più importanti possiamo ricordare quelli promossi dal Ministero del Tesoro e dal Formez negli anni '60/'70 [5] ed il famoso rapporto Giannini sullo stato dell'amministrazione pubblica del 1979.

Tuttavia, salvo alcune eccezioni, le proposte di riforma non hanno avuto alcun seguito nelle leggi e hanno riguardato, perlopiù, specifici procedimenti (si pensi, ad esempio, alle norme sulla semplificazione dei ricorsi amministrativi contenute nel d.P.R. n. 1199/71).

Solo con gli anni ‘90 la semplificazione dei procedimenti amministrativi diviene obiettivo generale della funzione di indirizzo politico e parte qualificante del programma di governo.

Per dar conto di questa affermazione si può fare riferimento ad un indicatore, sia pure assai rudimentale, come la ricerca di tutti i provvedimenti legislativi emanati dall'unificazione ad oggi e contenenti il termine "semplificazione". Si ottengono, così, oltre 600 documenti dei quali circa i tre quarti emessi nell'ultimo decennio: il più antico è il regolamento 25 maggio 1895, n. 350, sul collaudo dei lavori dello Stato di competenza del ministero per i lavori pubblici; il più recente è dato dalla legge 24 novembre 2000, n. 340, recante disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione dei procedimenti amministrativi-legge di semplificazione 1999.

Dal 1990 ad oggi, quindi, circa 500 provvedimenti si occupano a vario titolo di semplificazione e almeno sette leggi ne disciplinano, in via generale, principi e modalità attuative: si tratta delle leggi nn.241/90, 537/93, 59/97, 127/97, 191/98, 50/99 e, appunto, della legge n. 340/2000. Oltre a ciò una congerie di regolamenti contenuti, a seconda della loro rilevanza ed importanza, in d.P.R. o decreti legislativi.

3. Le ragioni della complicazione.

Diverse, e di diversa natura, sono le cause dell’attuale livello di complicazione che caratterizza l’azione dell’amministrazione in Italia.

Il primo fattore, comune anche ad altri ordinamenti, deriva dal rilevante aumento degli interessi che il nostro ordinamento riconosce come meritevoli di tutela. Le società moderne, infatti, hanno notevolmente esteso l'ambito delle attività che l'apparato amministrativo è tenuto a svolgere. Ne deriva, conseguenzialmente, l'incremento della produzione normativa e della attività amministrativa volte al soddisfacimento di tali interessi.

In secondo luogo, ha contribuito il moltiplicarsi dei soggetti cui è attribuito il potere normativo per effetto della internazionalizzazione della regolazione e della globalizzazione dei mercati, con sovrapposizione di diversi livelli normativi (regionale, statale, comunitario ed internazionale). A ciò si aggiunga, sul piano della normazione secondaria, la pluralità dei soggetti abilitati a produrre norme, di carattere generale o settoriale [6].

Altri fattori di complicazione sono dati da: la dispersione delle competenze tra un elevato numero di uffici; il peculiare conformarsi dei rapporti tra amministrazioni centrali ed amministrazioni periferiche e tra queste e le amministrazioni locali; la pesantezza e l’invasività dei controlli; l’eccessiva lunghezza e complessità dei procedimenti; l’inefficienza e l’inefficacia, per molti aspetti, del sistema di giustizia amministrativa.

Ciò ingenera una generalizzata insoddisfazione nei confronti del nostro apparato di governo, insoddisfazione resa ancor più acuta dal confronto con altri più efficienti sistemi amministrativi appartenenti alla medesima Unione Europea [7].

Le conseguenze di tale situazione sono, quindi, assai gravi e facilmente intuibili.

Innanzitutto, la complicazione comporta costi enormi per l’amministrazione, i cittadini e le imprese: è stato calcolato che una riduzione dei tempi dei procedimenti amministrativi di appena il 10% farebbe risparmiare ogni anno 100 mila giornate lavorative dei dipendenti pubblici ed un numero ancora superiore alle imprese.

Quindi, il diffondersi della corruzione. La connessione tra i due fenomeni, che pure potrebbero sembrare assolutamente distinti, è tuttavia abbastanza evidente: la complicazione delle procedure dell'azione amministrativa favorisce la corruzione in quanto quest'ultima finisce per essere vista come l'unico strumento di soluzione dei problemi di lentezza e farraginosità della macchina amministrativa.

Ciò ha fatto sì che nel decennio che va dal 1990 ad oggi si sia notevolmente accresciuta l'importanza attribuita alla semplificazione amministrativa.

4. I motivi della semplificazione.

Tale accresciuta importanza può spiegarsi con riferimento a diversi ordini di motivi.

Il primo è interno alla disciplina del procedimento amministrativo dettata dalla legge n. 241/90: la legge, infatti, imponendo all'amministrazione di fissare i tempi di conclusione dei procedimenti e di emanare al riguardo specifici regolamenti, consente di monitorare l'efficacia dell'azione dell'amministrazione, rilevando le eventuali eccessive lungaggini.

In secondo luogo, alla semplificazione amministrativa sono ricollegati obiettivi di contenimento della spesa pubblica: non è casuale che un'importante serie di disposizioni di semplificazione siano contenute in una legge finanziaria, la legge n. 537/93, collegato alla finanziaria del 94.

Al contenimento della spesa pubblica si ricollega anche una riduzione dei costi a carico del sistema produttivo. Sotto questo aspetto può immediatamente rilevarsi che la maggior parte dei procedimenti oggetto di semplificazione, di liberalizzazione, o di delegificazione abbiano ad oggetto attività di interesse delle imprese.

Inoltre, la semplificazione risponde a quella logica di nuova impostazione dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione che permea le riforme adottate nel corso degli anni 90 riconoscendo, in capo al cittadino, un vero e proprio diritto alla semplicità dell'azione amministrativa.

Infine, la semplificazione è necessità imposta dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea: necessità indotta sia dal recepimento della normativa comunitaria che è, per sua natura, più semplice e snella di quella nazionale; sia dalla competizione creata dall'appartenenza all'Unione per l'ottenimento dei fondi comunitari, dirottati sui paesi che dimostrano le migliori capacità organizzative e di spesa.

5. Gli strumenti della semplificazione: in particolare, la semplificazione della normativa.

Esaminate le ragioni del perché si semplifica, passiamo ora a vedere come e cosa si semplifica.

Gli istituti di semplificazione costituiscono applicazione dei criteri di: 1) economicità; 2) efficienza; 3) efficacia; 4) non aggravamento, cui deve essere informata l’attività dell’amministrazione. Criteri tutti contemplati dall'articolo 1 della legge 241/90 e derivanti dal principio di buon andamento dell'amministrazione posto dall'articolo 97 della Costituzione.

Con gli anni ’90, dunque, e, più in particolare, con l’entrata in vigore della legge n. 241, la semplificazione diviene obiettivo generale della funzione di indirizzo politico e parte qualificante del programma di governo.

Gli istituti di semplificazione, per come si sono andati sviluppando dal ’90 ad oggi, agiscono su tre fronti distinti:

1) sul piano normativo attraverso i meccanismi della

a) deregolazione (o deregulation);

b) delegificazione/regolamentazione;

c) codificazione/accorpamento dei testi normativi.

2) sul piano procedimentale attraverso i meccanismi della liberalizzazione di molte attività e della semplificazione dei procedimenti amministrativi.

3) sul piano documentale attraverso la semplificazione della documentazione amministrativa ed il ricorso alla autocertificazione.

Rinviando ai prossimi numeri la trattazione delle ultime due tematiche (semplificazione delle procedure e della documentazione amministrativa), esaminiamo più specificamente gli aspetti relativi alla semplificazione delle norme.

Sotto tale profilo, relativo alla revisione del corpus normativo vigente, può osservarsi come l’attività di semplificazione intrapresa in Italia si sia avvalsa soprattutto dello strumento della delegificazione, attraverso la previsione di un cospicuo numero di regolamenti delegificanti, fonti di rango secondario, che vanno a sostituire norme legislative di rango primario, e, più di recente, della codificazione. È stata, invece, sin qui trascurata la via dell'eliminazione di ogni disciplina normativa (deregolazione) per interi settori dell’ordinamento.

5.1. La delegificazione.

Una delle cause principali della complicazione amministrativa risiede, come si è visto, nella complessità del sistema normativo vigente: le disposizioni regolatrici dei procedimenti sono tutte dettate con legge, e quindi difficilmente modificabili, e sono altresì contenute in moltissimi i testi normativi spesso non coordinati tra loro.

Sin dagli anni ’80, dunque, il dibattito sul nuovo assetto da dare al sistema normativo si è incentrato sulla delegificazione, intesa nel senso di sostituzione di norme legislative con norme regolamentari[8].

Come s'è detto, la delegificazione, che è un modo di produzione delle regole giuridiche, consiste nella sottrazione di una determinata serie di rapporti alla disciplina legislativa e nell'affidamento di quegli stessi rapporti alla normazione secondaria, costituita dai regolamenti: le leggi restano a fissare la sola disciplina di principio, dettando le norme sostanziali, e lasciando ad altre norme, di rango secondario (o regolamentare), la disciplina di dettaglio dei medesimi rapporti [9].

Le cause della delegificazione sono chiare, e si sono in parte già spiegate: l'esistenza in Italia di un numero abnorme di leggi statali, spesso di dettaglio, afferenti a problematiche settoriali e transeunti, fa sì che l'intero sistema risulti ingessato e bloccato in una situazione che il costituzionalista Lucio Barbera ha autorevolmente definito di "cementificazione legislativa".

Per porre rimedio a questa situazione, diversi successivi provvedimenti legislativi (in particolare: l’art. 2 della legge n. 537/93; l’art. 20 della legge n. 59/97, come successivamente modificato dalle leggi nn. 191/98 e 50/99) fino alla recentissima legge n. 340/2000 hanno previsto la delegificazione della disciplina regolatrice di oltre duecento procedimenti, demandando la stessa a regolamenti governativi, da adottarsi ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo la tecnica introdotta dalla legge n. 537/93.

Il meccanismo della delegificazione opera nel modo seguente. In un primo momento, di carattere negativo, si afferma che determinati rapporti, materie e funzioni amministrative non devono essere disciplinate da legge ma da regolamento: si prevede, pertanto, con la legge delegificante (o di delegificazione), l’abrogazione delle relative disposizioni legislative [10] e si demanda la disciplina di quei rapporti e di quelle materie ad un regolamento di futura emanazione. In un secondo momento, di carattere positivo, si emette la norma regolamentare, con ciò determinando l’effettiva sostituzione della nuova disciplina alla vecchia e la definitiva abrogazione di quest’ultima.

La delegificazione non è, tuttavia, priva di aspetti problematici.

Innanzi tutto, occorre vedere quali leggi siano delegificabili.

La delegificazione, infatti, è condizionata dalla gerarchia delle fonti, per cui il regolamento non può delegificare una norma di grado superiore. È perciò necessaria la equiordinazione della norma delegificante (che deve, pertanto, necessariamente essere contenuta in una legge o in atto avente pari dignità) e della legge ordinaria che deve essere delegificata [11].

Ne deriva che quando un atto di livello superiore (ad es., Costituzione o legge di principio) stabilisce che una certa materia deve essere riservata alla legge ordinaria, la legge di delegificazione non può superare questa riserva, e procedere alla nuova disciplina di quella materia con norme di rango secondario.

Altro aspetto problematico si ha con riferimento ai rapporti tra regolamenti di delegificazione e leggi regionali. I regolamenti di delegificazione hanno, infatti, spesso ad oggetto materie per le quali sussiste, ai sensi dell’art. 117 della Cost., potestà legislativa regionale ripartita o concorrente (si pensi all’urbanistica ed ai molti regolamenti di delegificazione che hanno ad oggetto procedimenti di natura edilizia o di pianificazione urbanistica [12]). Potrà in questi casi, senza infrangere l’attuale sistema gerarchico delle fonti, il regolamento sostituirsi ad una legge regionale della quale la legge delegificante (che prende in considerazione le sole leggi statali) non prevede l’abrogazione?

E cosa avverrà quando la legge di delegificazione non preveda espressamente l’abrogazione di tutte le disposizioni di legge che disciplinano quel determinato procedimento? Cosa poi se nel mentre dell’emanazione del regolamento delegificante altre e nuove disposizioni legislative – non previste dalla legge di delegificazione e, pertanto, resistenti all’efficacia abrogatrice della stessa – intervenissero a disciplinare la stessa materia?

Su altro piano, poi, possono ritenersi delegificabili gli atti legislativi che recepiscono le direttive dell’Unione Europea?

Il Legislatore ha cercato, con specifiche previsioni introdotte nell’art. 20 della prima legge Bassanini, di dare risposta a questi interrogativi [13]; ma non sempre il tentativo appare riuscito ed il risultato soddisfacente.

5.2. La codificazione.

L’esperienza di codificazione in Italia è da sempre caratterizzata da sporadicità e disomogeneità, a differenza di quella in atto da tempo in altri paesi, quali la Francia, in cui esiste, sin dal 1948, una apposita struttura specificamente dedicata a tale attività [14].

Di contro, nel nostro paese è stata effettuata, sin dai primi anni del '90 e fin quasi ai giorni nostri, un'opera sistematica di decodificazione, caratterizzata dall'abbandono di forme di legislazione codicistica e dalla creazione di leggi che sono diventate sempre più numerose fino a portare all'attuale situazione inflattiva.

Più recente, quindi, e ancor più scarsamente attuato rispetto al parallelo processo di delegificazione, è il fenomeno della codificazione, originariamente introdotto dall’art. 20, comma 5, lett. d), della legge n. 59/97 [15], e sviluppato e portato a compimento, con fissazione di specifica e dettagliata disciplina, dall’art. 7 della legge n. 50/99 (come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge n. 340/2000).

Ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge n. 50/99, attraverso la codificazione dovrebbe pervenirsi al riordino delle norme legislative e regolamentari che disciplinano le fattispecie procedimentali previste da una serie di disposizioni normative, fra le quali gli artt. 4 e 20 della legge n. 59/97, l'allegato 3 della stessa legge e le successive leggi annuali di semplificazione [16].

Con l’art. 7 della legge n. 50/99 la codificazione viene, invece, elevata a sistema, venendo a perdere quei tratti di estemporaneità che la avevano sin qui caratterizzata.

La relativa attività viene, altresì, puntualmente disciplinata dal secondo comma dello stesso articolo, che detta criteri e principi direttivi uniformi per tutti i testi unici di futura emanazione.

L'articolo 7, comma 2, della legge n. 50/99 prevede, altresì, che al riordino delle norme oggetto di codificazione si debba procedere mediante l'emanazione di testi unici riguardanti materie e settori omogenei, comprendendo, in un unico contesto e con le opportune evidenziazioni, le disposizioni legislative e regolamentari vigenti.

La scelta del Legislatore è andata, dunque, nel senso della contestuale delegificazione di quelle stesse materie che si andavano a codificare: la norma sopra citata attribuisce, infatti, al Governo potestà delegificante, attraverso l'emanazione di testi unici che contengano norme sia primarie che secondarie. Il testo unico si viene così a comporre di un duplice livello di fonti normative, ferma restando la distinzione all'interno dello stesso tra parte legislativa e parte regolamentare[17].

Proprio in ciò sta, tuttavia, l’elemento di maggiore perplessità dei meccanismi di codificazione recentemente introdotti. Infatti, come correttamente rilevato in sede di primo commento alla legge n. n. 50/99[18], non convince appieno la previsione secondo cui debbano convivere in un unico atto disposizioni di rango differente, legislativo e regolamentare.

E ciò soprattutto se il procedimento di approvazione del testo unico sarà, come previsto dall’art. 7, comma 4, della legge n. 50/99, in tutto simile a quello previsto dall’art. 17, comma 2, della legge n. 400/88, e si concluderà con l’emanazione di un d.P.R., assumendo la forma del regolamento governativo. E, quel che è peggio, senza che alcuna disposizione di rango primario abbia indicato le norme legislative delle quali l’entrata in vigore del testo unico dovrebbe comportare l’abrogazione (norme la cui abrogazione dovrebbe pure essere, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. f), esplicitamente prevista ed indicata dal testo unico in apposito allegato).

L’unica soluzione, a voler rispettare la gerarchia delle fonti, sarebbe quella di sostituire le norme delegificate con altre norme legislative che, uniche, potrebbero prevedere abrogazioni di norme di pari rango.

Ma, se così fosse – e così non dovrebbe poter essere, a voler rispettare il procedimento di emanazione del testo unico disciplinato dall’art. 7 della legge n. 50 – non si tratterebbe di vera delegificazione, restandosi comunque legati alla fonte legislativa.

6. Considerazioni conclusive.

Come si è potuto osservare, la strada scelta dal Legislatore per porre rimedio alla situazione gravemente inflattiva della legislazione di diritto pubblico in vigore nel nostro paese, è tutt’altro che facilmente percorribile.

Rimane, infatti, di difficile composizione il principale dilemma della delegificazione, costituito dal rapporto intrinsecamente conflittuale tra leggi delegificate e regolamenti delegificanti.

Sussiste, infatti, l’ineliminabile difficoltà di rinvenire – almeno nel vigente quadro delle relazioni tra le fonti normative – meccanismi che consentano ad una fonte inferiore (regolamento o testo unico di natura regolamentare) di modificare, abrogare o sostituire una norma di rango superiore (legge o altro atto avente pari dignità).

Nonostante tutto, la via intrapresa, benchè di ardua e problematica attuazione, merita di essere percorsa sino in fondo. Ciò comporterà un notevole sforzo e qualche insuccesso [19], ma se, a forza di successivi aggiustamenti (i meccanismi di delegificazione originariamente ipotizzati dall’art. 2 della legge n. 537/93, sono già stati modificati quattro volte: una prima volta, radicalmente, ad opera dell’art. 20 della legge n. 59/97, e quindi, in rapida successione, dalle leggi nn. 191/98, 50/99 e, recentissimamente, dalla legge n. 340/2000), si riuscisse a conseguire il risultato previsto, l’effetto sarebbe di straordinario rilievo.

Si sarebbe, infatti, riusciti, in primo luogo, ad invertire la tendenza, caratterizzante il nostro ordinamento almeno a partire dagli inizi del ’900, a porre con legge (o altra fonte di rango primario) norme di dettaglio, organizzative e procedimentali (disciplinanti i modi di esercizio dell’attività dell’amministrazione [20] piuttosto che i poteri che alla stessa possono essere legittimamente attibuiti); quindi e di conseguenza, a limitare l’uso della fonte legislativa per dettare le sole norme sostanziali e relazionali, che, regolando i rapporti tra l’amministrazione e gli altri soggetti dell’ordinamento, definiscono il perimetro esterno dei confini entro cui i poteri dell’amministrazione possono essere legittimamente esercitati e devono, pertanto, essere necessariamente contenute in una legge.

[1] Si veda, in proposito, la relazione del Governo alla Parlamento per l’adozione del programma di riordino delle norme legislative e regolamentari prevista dall’art. 7, comma 1, della legge n. 50/99, pubblicata in G.D.A. n. 9/1999, pagg. 903 e segg.. Per eventuali approfondimenti sulle tecniche e le modalità di semplificazione nei sistemi diversi dal nostro, si rinvia al lucidissimo scritto di M. Clarich, Modelli di semplificazione nell’esperienza comparata, in Riv. Trim. Dir. Pub., 3/98, pagg. 679 e segg.

[2] Come, d’altronde, espressamente stabilito dall’art. 6 del protocollo annesso al trattato istitutivo dell'Unione.

[3] Secondo dati OCSE, nel Regno Unito la normativa di riferimento per il diritto societario è passata dalle circa 500 pagine del 1980 alle oltre 3500 pagine del 1991 (con un incremento di oltre sette volte) e in Francia, le dimensioni del Journal Officiel (l'equivalente della nostra Gazzetta Ufficiale) sono più che raddoppiate dal 1976 al 1990: la produzione annuale di nuove leggi è cresciuta del 35% dal 1960 al 1990, e quella di regolamenti del 25% circa. La lunghezza media delle leggi francesi è passata dalle 93 righe del 1950 alle oltre 220 del 1991. Negli Stati Uniti, il codice delle leggi federali si è dilatato dalle 55 mila pagine del 1970 sino alle quasi 140 mila pagine del 1995. Fenomeni analoghi si sono, poi, registrati in quasi tutti i paesi industrializzati (Australia, Nuova Zelanda, Canada, Spagna, Finlandia, Grecia). In controtendenza si pone la sola Svezia, in cui il numero di nuove leggi e ordinanze si è ridotto dalle quasi 5 mila del 1970 alle poco più di 2 mila del 1996, grazie ad un sistematico processo di riforma della regolazione.

[4] Una interessante ricostruzione dei suddetti tentativi di riforma può leggersi in G. Melis, Storia dell’amministrazione italiana, Bologna, 1996. Si veda pure, al riguardo, G. Vesperini, La semplificazione dei procedimenti amministrativi, in Riv. Trim. Dir. Pub., 1998, III, pag. 655 e segg.

[5] Ripubblicata nel volume Ricerca sull’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni centrali dello stato. Analisi delle procedure, Formez, 1983, Roma .

[6] L'attuale sistema delle fonti di diritto pubblico risulta così caratterizzato dalla compresenza di: 1) costituzione, leggi costituzionali, e leggi di approvazione degli statuti delle regioni a statuto speciale; 2) leggi di principio e leggi quadro (es. leggi nn. 142/90 o 241/90); 3) leggi ordinarie ed atti aventi forza di legge; 4) fonti statutarie regionali; 5) leggi regionali e delle province autonome; 6) regolamenti statali; 7) regolamenti regionali; 8) statuti e regolamenti di enti locali (comuni, province, comunità montane). A queste devono poi aggiungersi le fonti di origine comunitaria - che non si inseriscono nel descritto sistema gerarchico ma lo condizionano dal di fuori e dall'alto - e, per altro verso, gli usi, le consuetudini e le prassi amministrative (espresse in circolari, direttive, ordini di servizio, ecc.).

[7] In questo caso, il confronto nasce dalla competizione fra sistemi amministrativi, come parte della competizione fra economie nazionali, che caratterizza l’accesso ai possibili benefici economici derivanti dall’appartenenza all’unione europea.

[8] In particolare l’art. 17 della legge n. 400/88 ha specificamente preso in considerazione al comma 2 i regolamenti di delegificazione, disciplinandone nel dettaglio il procedimento di emanazione.

[9] Fino ad arrivare ad auspicare, come fanno alcuni autori (A. Romano, I caratteri originari della giurisdizione amministrativa e la loro evoluzione, in Dir. Proc. Amm., 4/1994, pag. 659), una sorta di riserva costituzionale di regolamento per determinate materie e per tutte quelle disposizioni che non dettano norme sostanziali.

[10] Seppure la concreta efficacia abrogatrice della legge delegificante è rinviata al momento della concreta emanazione della norma regolamentare, per non causare vuoti nella disciplina dell’istituto.

[11] Si veda, sui rapporti che devono intercorrere tra norma delegificante e norma delegificata, V. Italia, La delegificazione, 1992, Milano.

[12] Ci si riferisce, ad es., al procedimento di rilascio della concessione edilizia e di altri atti di assenso delle attività edilizie, la cui delegificazione è prevista dall’allegato alla legge n. 59/97 (n. 105), come modificato dalla legge n. 340/2000, o a quello di approvazione degli strumenti di pianificazione attuativa.

[13] Per esempio prevedendo che "nelle materie di cui all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, i regolamenti di delegificazione trovano applicazione solo fino a quando la regione non provveda a disciplinare autonomamente la materia medesima" (art. 20, comma 2, della legge n. 59/97, come modificato dall'art. 1 della legge 340/2000) o che "le attività di semplificazione e di riordino previste dalla presente legge, dall'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n.59, e successive modificazioni, riguardano nelle materie ivi previste, anche le norme procedimentali o organizzative introdotte fino alla data di entrata in vigore della presente legge, nonché le norme introdotte entro un anno dalla stessa data" (art. 9, comma 1, della legge n. 50/99).

[14] Si tratta della Commission superieure de codification, che ha sostituito una precedente struttura, con analoghe funzioni, istituita nel 1948. Si veda, per eventuali approfondimenti, P. Marconi – C. Lacava, La legge di semplificazione 1998, in G.D.A., n. 5/99 pag. 407.

[15] Che prevede la "riduzione del numero di procedimenti amministrativi e accorpamento di procedimenti che si riferiscono alla medesima attività, anche riunendo in un'unica fonte regolamentare, ove ciò corrisponda ad esigenze di semplificazione e di conoscibilità normativa, disposizioni provenienti da fonti di rango diverso".

[16] Tra le materie oggetto di codificazione troviamo, così: programmazione e gestione dei trasporti pubblici locali e regionali, disciplina delle attività economiche e industriali e dei meccanismi di sostegno e incentivazione dell'imprenditoria, ambiente e tutela del territorio, urbanistica ed espropriazione, finanze e tributi, documentazione amministrativa ed anagrafica, agricoltura e pesca e acquacoltura, università e ricerca, pubblico impiego, istruzione non universitaria, debito pubblico, appalti pubblici di beni, servizi e forniture.

[17] Così, ad esempio, nel testo unico sulla documentazione amministrativa, il primo emanato in attuazione della delega di cui all'art. 7 della legge n. 50/99, sono contenute sia norme legislative che regolametari, contraddistinte rispettivamente dalla lettera "L" e dalla lettera "R". Si veda ancora, sul punto specifico, P. Marconi – C. Lacava, cit., pag. 410.

[18] Ci si riferisce allo scritto, già in precedenza richiamato, di F. Caso, Semplificazione quarto atto, Maggioli, Rimini, 1999, pag. 37.

[19] Si consideri che, a fronte degli oltre 120 regolamenti delegificanti previsti dalla legge n. 59/97, cui si sono aggiunti i 62 della legge annuale di semplificazione 1998 (l. n. 50/99), ed ora i 63 della legge di semplificazione 1999 (n. 340/2000), ne sono stati effettivamente emanati, sino ad oggi, poco più di una ventina.

[20] Sono queste le cd. "norme di azione", che regolano, appunto, l’azione dell’amministrazione, e la cui violazione dà luogo a quei profili di illegittimità, censurabili innanzi al giudice amministrativo, derivanti dal cattivo esercizio del potere amministrativo. Diverse da queste sono le cd. "norme di relazione" che, proprio perché poste a regolamentare le relazioni tra amministrazione ed amministrati, con ciò definendo l’ambito entro cui i poteri dell’amministrazione possono essere lecitamente esercitati, devono essere contenute, per scongiurare il rischio di possibili arbitri od abusi, in fonte di rango primario, promanante dal Parlamento, e non dal potere esecutivo che poi quelle stesse norme sarebbe chiamato ad applicare. Per eventuali approfondimenti, può rinviarsi ad A. Romano, I caratteri, cit., pag. 654 e segg.