LA NAZIONE – 11.3.01

Il dibattito

Sessantottini, gli impuniti

Di Massimo Fini

La polemica, nata in Germania e Francia, sul passato sessantottino del ministro verde Joshka Fischer e di Daniel Cohn-Bendit, è rimbalzata anche in Italia e il Foglio di Giuliano Ferrara si è preso la briga di difendere quella generazione, in particolare con un articolo di Lanfranco Pace (uno che fu così contiguo al terrorismo che a lui si rivolsero i socialisti nel tentativo di salvare Aldo Moro) che si conclude con queste parole: "Lasciate a noi il Sessantotto e dintorni. E a tutti una libertà fondamentale e piacevole: quella di sbagliare".

Ma proprio qui sta il nocciolo della questione.

Perché la libertà di sbagliare sarà anche fondamentale e persino "piacevole" ma poi bisognerebbe patirne le conseguenze.

Invece i principali protagonisti del Sessantotto e dintorni, che predicarono la violenza ("uccidere un fascista non è reato") e la praticarono (il diciassettenne Ramelli ammazzato a sprangate), non solo non hanno pagato nulla, complice anche una generazione di adulti che, come scrisse splendidamente Oreste del Buono, "non seppero fare gli adulti", ma proprio in virtù della loro partecipazione al Sessantotto hanno fatto rapidissime e straordinarie carriere nel giornalismo e in politica.

Buona parte dell'editoria oggi è in mano a costoro, che fanno clan e mafia come sempre.

Uno come Marco Boato, che in qualità di membro dell'Esecutivo di Lotta Continua si assunse la paternità morale dell'omicidio Calabresi è stato fatto presidente della Commissione giustizia mentre il mandante di quell'assassinio, Adriano Sofri, è editorialista di punta del più importante quotidiano di sinistra italiano, La Repubblica, e del più importante settimanale di destra, panorama, oltre che del Foglio.

Molti di coloro che allora urlavano "fascisti, borghesi ancora pochi mesi" sono passati a destra (Ferrara, Liguori, Maiolo) e come allora ti gridavano nelle orecchie che tu eri un fascista e loro avevano ragione, oggi ti gridano nelle orecchie che sei un comunista e che loro hanno ragione.

Loro hanno sempre ragione.

E in un certo senso è vero perché dei loro sbagli non hanno pagato dazio alcuno e ciò ha contribuito a farne degli eterni irresponsabili.

Volevano abbattere, dicevano, la borghesia ma erano figli di borghesi ("una cosa comica e camorristica" avrebbe detto Luigi Einaudi) e fecero la rivoluzione con la mutua e la rete di protezione.

Dicevano di voler portare "l'immaginazione al potere" e non hanno prodotto assolutamente nulla in letteratura (salvo Erri De Luca, un po' poco), nelle arti figurative, nel cinema.

Basti pensare che il loro cult è Nanni Moretti, uno che al suo terzo film ha fatto un film su un regista al suo terzo film (sogni d'oro) e che a ogni stagione della sua esistenza scopre l'acqua calda e adesso, a quanto pare, anche che la vita è dolore.

Non è certamente un caso che abbiano sfondato invece in politica e nel giornalismo dove la creatività non c'entra nulla e invece contano molto l'opportunismo, il trasformismo, le giuste frequentazioni.

Volevano fare la rivoluzione anti-borghese e hanno conquistato le prime pagine del Corriere della Sera. Sporcaccioni.