ITALIA OGGI 11.10.00

Principio sancito dal verdetto del Tribunale amministrativo della Toscana

Abusi edilizi, per sanarli non vale il silenzio assenso

Non sono sanabili con il silenzio assenso gli abusi edilizi qualora la palese sproporzione tra l'importo autoliquidato e quello effettivamente dovuto denoti, di per sé, la volontà di sottrarsi all'integrale pagamento di tutte le somme dovute. Infatti la condizione richiesta dal comma dodicesimo dell'articolo 35 della legge n. 47/85, affinché la domanda possa intendersi accolta, per effetto del decorso del termine biennale è il pagamento integrale dell'oblazione.

È questo l'interessante principio sancito dal Tar Toscana con la sentenza n. 1879 del 1° settembre 2000 che ha escluso la formazione del silenzio assenso anche nel caso in cui sia trascorso notevole tempo dalla presentazione della domanda di condono ritenendo non operante neppure la prescrizione sulla somma dovuta a titolo di conguaglio.

Il Tar ha ritenuto non operante il termine di 24 mesi, previsto dalla legge n. 47 del 1985, ai fini della sanatoria degli abusi edilizi la quale prevede che la domanda di condono edilizio "si intende accolta" solo "ove l'interessato provveda" al pagamento dell’oblazione.

La formulazione del precetto in termini condizionali va, quindi, secondo i giudici amministrativi, rapportata al primo comma del citato articolo 35, il quale richiede a corredo della domanda di condono la "prova dell'eseguito versamento dell'oblazione nella misura dovuta secondo la tabella, ovvero di una somma pari a un terzo dell'oblazione, quale prima rata".

Non è previsto, quindi, che il primo versamento sia, almeno nelle intenzioni del richiedente, satisfattivo dell'onere economico al medesimo imposto per ottenere il condono, ma si pone espressamente a carico dell'interessato il soddisfacimento integrale di tale onere, per ottenere il beneficio accordato dalla legge, anche alla scadenza del termine fissato.

La normativa di cui si discute, precisa la sentenza, avendo carattere eccezionale di favore, non può essere di stretta interpretazione, sicché la perentorietà del termine dovrebbe operare anche a danno del privato, che alla scadenza del termine non paghi quanto dovuto per essere ammesso alla sanatoria, con conseguente possibilità per l'amministrazione di riesaminare la situazione di abuso edilizio, e di applicare le misure sanzionatorie al riguardo previste.

La lettura dei testi normativi di cui agli articoli 35, comma 16, della legge n. 47 del 1985 e dell'articolo 39, comma 6, della legge 724 del 1994 rende evidente che il pagamento dell'intera oblazione e non solo di una quota come pure possibile in corso di procedimento, viene considerato dal legislatore come un dato suscettibile di valutazione oggettiva anche "ex post", in base alle tabelle allegate alla legge sul condono.

In assenza di indicazioni puntuali, pertanto, deve ritenersi che l’interessato avesse l’onere, alla scadenza del termine prefissato, di estrinsecare la propria volontà di corrispondere l'intero importo dell'oblazione, o quanto meno deve richiedersi che tale volontà risultasse ab origine, e trovasse comunque riscontro, negli importi versati.

Conguagli e rimborsi, pertanto, possono ritenersi corrispondenti a mere rettifiche degli importi corrisposti, per errori di calcolo o anche interpretativi, non tali tuttavia da porre in dubbio, in base a regole di logica e di comune buon senso, la reale volontà del cittadino di corrispondere il saldo di quanto effettivamente dovuto.

La prescrizione del diritto ai medesimi, conguagli e rimborsi, dunque, non può nemmeno entrare in discussione quando non risulti soddisfatta disfatta la condizione procedurale, cui lo stesso tacito condono è subordinato, ovvero il pagamento di tutte le somme dovute.