ITALIA OGGI 1.11.00

La Consulta riconosce l’eleggibilità se i congiunti rinunciano all'incarico

Sì al sindaco con parenti titolari di appalti comunali

DI GIORGIO COSTA

Il candidato a sindaco con parenti o affini entro il secondo grado che siano appaltatori di lavori o di servizi comunali può essere eletto a patto che i congiunti perdano i loro incarichi.

È questo l'effetto della sentenza n. 450 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 6 dpr 570/1960 (con estensione all'articolo 61, n. 2, del dlgs 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che chi ha ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che rivestano la qualità di appaltatore di lavori o di servizi comunali non può essere eletto alla carica di sindaco, anziché stabilire che chi si trova in detta situazione non può ricoprire la carica di sindaco), nella parte in cui prevedeva in questo caso la assoluta ineleggibilità.

Norme che oggi appaiono irrazionali in quanto contrastanti con il principio di "eguaglianza-ragionevolezza" specie nel momento in cui la normativa che regola la problematica si è radicalmente modificata e consente addirittura al candidato sindaco che sia titolare di un appalto del comune di sanare la situazione dopo la sua elezione o anche la successiva contestazione. Evitando, in ogni caso, la decadenza (articolo 69 dlgs 267/2000).

Spiegano i giudici della Consulta che, "dal momento che la situazione di chi abbia parte in appalti del comune è oggi configurata come semplice causa di incompatibilità, non può ragionevolmente ammettersi che dia luogo invece a una causa di ineleggibilità, non rimovibile dopo l'elezione, la circostanza, analoga ma meno grave sotto il profilo della ratio della causa ostativa all'assunzione della carica, consistente nell'essere prossimo congiunto di chi abbia parte in un appalto del comune".

In altri termini, ciò che nell'originario contesto normativo (testo unico 570/1960 e successive integrazioni) si configurava come "un plausibile aggravamento delle condizioni di eleggibilità del sindaco rispetto a quelle previste per la carica di consigliere comunale, oggi appare come un irrazionale, diverso e più gravoso trattamento giuridico di una circostanza impediente non di uguale, ma addirittura di minor peso rispetto a quella, consistente nell'essere lo stesso sindaco eletto titolare di un appalto per conto del comune, che dà luogo a una semplice situazione di incompatibilità".

Del resto le cose sono cambiate radicalmente a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 81 del 1993.

E logica avrebbe voluto che, prevedendo per la prima volta l'elezione diretta del sindaco, la legge disciplinasse altresì le cause di ineleggibilità e di incompatibilità rispetto a tale carica.

Viceversa il legislatore lasciò ancora una volta immutata la disposizione dell'articolo 6 del Testo unico del 1960, dettato per regolare l'eleggibilità del sindaco nel precedente sistema, caratterizzato dall'elezione di secondo grado.

Mentre il rinvio alle cause di ineleggibilità stabilite per la carica di consigliere comunale consentiva un adeguamento automatico alla disciplina prevista dalla legge n. i 154/1981, che aveva eliminato una serie di cause di ineleggibilità trasformandole in cause di incompatibilità, la causa di ineleggibilità discendente dalla circostanza che un prossimo congiunto abbia parte in appalti del comune, dà luogo ormai a una "contraddizione palese".

Il candidato che sia in proprio titolare di un appalto del comune è, infatti, solo incompatibile in quanto perduri tale situazione, per cui la rimozione di essa prima della convalida dell'elezione, o anche dopo la contestazione della stessa, nei termini all'uopo fissati dalla legge (articolo 69 del dlgs n. 267/2000), consente di evitare la decadenza.